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13. Shhh stanno dormendo!

Zlatan aveva trascorso l'intera nottata a pensare a quel bacio che aveva visto tra Sveva e Mark.
Come mai lo turbava tanto? Si era quasi sentito geloso. Gelossissimo. Avrebbe voluto essere lui a baciarla, a stringerla tra le braccia, a respirare il suo odore e godere delle sue labbra.
Certo, Sveva era bellissima e non poteva negare un certo interesse nei suoi confronti ma di sicuro lei non provava nessun tipo di attrazione per lui. Eppure, proprio quel giorno, avrebbe giurato che Sveva lo guardasse più del solito. A Zlatan piacevano le sfide e non si era mai tirato indietro al primo ostacolo, solo che questa volta non era sicuro che il gioco valesse la candela. Ma quando aveva visto le labbra di Mark poggiarsi su quelle di lei aveva dovuto far appello a tutto il suo autocontrollo per evitare di spaccare la faccia a quel figlio di puttana. Che diamine, era uno stronzo di prima categoria. Era sposato, cazzo. E lei... beh, anche lei non avrebbe dovuto baciare un uomo sposato. Ma almeno aveva avuto la decenza di scappare via subito dopo.
Oh, al diavolo! pensò Zlatan, innervosendosi per quella notte passata in bianco ad arrovellarsi il cervello per una stronza. Sveva sapeva benissimo che Mark era un uomo sposato, quindi se aveva deciso di avere una relazione con lui erano solo ed esclusivamente fatti suoi. E a lui non doveva importargliene.
E poi ci si metteva anche Serena, che proprio quella sera lo aveva baciato. Che doveva fare adesso con lei? E con Stephan? Doveva dirglielo?
Si alzò di scatto, indossò un paio di pantaloncini da allenamento con una maglietta azzurrina, le scarpe da ginnastica e uscì dalla camera da letto per andare a correre. Mentre scendeva le scale senza fare rumore legò i capelli e guardò l'orologio. Le sei. Bene, un paio di ore di fatica e poi sarebbe tornato come nuovo. Si fermò vicino alla porta, digitò alcuni numeri sul tastierino lì accanto per disattivare l'allarme per quando sarebbe rientrato e lentamente aprì la porta, facendo attenzione a fare il minimo rumore quando se la richiuse alle spalle.
Inspirò a pieni polmoni l'aria fresca della mattina e fece un passo per uscire dal portico ma con la coda dell'occhio scorse una presenza alla sua destra e si girò.
Sveva.
Era rannicchiata su uno dei divanetti, avvolta in una leggera coperta color tortora. Lo guardò, gli sorrise e si raddrizzò.
«Ciao.»
«Buongiorno» rispose lei.
«Che ci fai qui fuori?»
«Non riuscivo a dormire.»
Zlatan ridacchiò dentro di sé. Sensi di colpa, eh? «Come mai? Era scomodo il letto o... la stanza non era di tuo gradimento?»
«Oh no, no. Hai una casa meravigliosa, Zlatan»
«Grazie» sorrise, cercando ti toglierla dall'imbarazzo nel quale l'aveva volutamente messa. Certo, la casa l'aveva scelta lui soprattutto per il posto isolato e l'ampio bosco adiacente, ma per l'arredamento degli interni si era lasciato consigliare dalla sua migliore amica Helena.
«E tu come mai sei già in piedi?» chiese Sveva fissandolo con quei suoi grandi occhi azzurri, così pieni di tristezza.
«Sto andando a fare una corsetta. Comunque se vuoi adesso puoi rientrare, ho disattivato l'allarme.»
«Grazie, ma preferisco rimanere un altro po' qui.»
«C'è qualcosa che non va? Cos'è che ti fa stare così in pensiero?»
«Potrei farti la stessa domanda. Non hai l'aria di uno che ha dormito profondamente stanotte.»
«Per questo vado a correre, per cancellare i cattivi pensieri. Vuoi venire anche tu?»
Lei sorrise e scosse la testa. «Non credo sia una buona idea.»
«Perché no? Correre ti libera la mente. Ti aiuterà a riflettere meglio sulle cose che ti angosciano.»
Lei si morse l'interno del labbro. Stava veramente pensando di accettare il suo invito?
«Dovrei cambiarmi.»
Era un sì? «Ti aspetto.»
Sveva si alzò, ripiegò la coperta e la poggiò sul divanetto; gli passò davanti ed aprì la porta. « accio subito» disse prima di scomparire all'interno.

Sveva indossò un fuseaux nero a tre quarti e una canotta rosso scuro e scese di corsa.
Aveva trascorso l'intera nottata fuori, senza chiudere occhio e tremendamente in colpa per quello che aveva fatto la sera. Inevitabilmente, poi aveva pensato ai suoi fallimenti amorosi, in particolare a Logan. Di sicuro doveva subito chiarire con Mark e dirgli che era stato un gesto avventato e senza senso e che non doveva ripetersi più. Probabilmente anche lui la pensava come lei, aveva dei figli e una moglie che sicuramente amava molto.
Zlatan la stava aspettando seduto sui gradini di legno del portico. Scrutava il cielo terso.
«Eccomi.»
Zlatan si girò verso di lei e sorrise; si alzò e scese l'ultimo gradino. «Andiamo.»
Si incamminarono per un vialetto che si addentrava nel bosco di sua proprietà.
«Ti svegli sempre così presto la mattina?»
«No, quasi mai.»
Zlatan iniziò a corricchiare e Sveva lo seguì ma dopo poco lei non riusciva più a tenere il suo passo. Tentò di continuare a correre ma fu costretta a fermarsi per riprendere fiato. La testa le girava leggermente. Zlatan si girò a guardarla.
«Tutto bene?»
«Sì, non ti preoccupare per me» rispose lei ansimante.
«Ma sei già stanca?» Zlatan scoppiò a ridere. «Sei una schiappa!»
Sveva rise di rimando. «Sì, già non ce la faccio più!»
«Io proseguo, tu vienimi dietro.»
«Ok.»
Zlatan scomparve subito tra la vegetazione ma dopo un po' lo vide tornare indietro.
«Hai già finito la tua corsa?» gli chiese.
Zlatan sorrise. «No. Non volevo lasciarti sola.»
«Ma non ti preoccupare, non voglio disturbare il tuo allenamento.»
«Non era un allenamento, avevo solo bisogno di sfogarmi un po'.»
«Cos'è che ti angoscia?»
Zlatan la fissò negli occhi. Aveva uno sguardo così bello e dolce. Perché stava facendo quella cazzata con Mark? Per un secondo pensò di dirle che sapeva del loro bacio.
«Il lavoro. Sto per trasferirmi a Parigi.»
«Ho sentito. Mi dispiace, ma suppongo che voi calciatori siate abituati a queste cose.»
Zlatan sorrise. «Chi meglio di me. Non è mai stato un problema per me cambiare squadra, città, nazione. Ma ora a Milano mi trovo molto bene e anche al Milan. Non vorrei proprio andarmene.»
Sveva gli sorrise teneramente. «Ti capisco. Ma vedrai che Parigi ti piacerà.»
«E invece New York ti piace?»
«Io l'adoro. Milano è la mia casa ma New York è senza dubbio la città in cui voglio trascorrere gran parte della mia vita. Non avrei mai pensato di trovarmi così bene quando sono partita.»
Intanto avevano fatto un bel po' di strada e decisero di tornare a indietro. Zlatan si era rilassato abbastanza e i due cominciarono a scherzare. Anche Sveva si sentiva meglio, la passeggiata le aveva fatto tornare il buonumore.
Arrivati di nuovo a casa, passarono vicino alla piscina. Casualmente, proprio in quel momento Sveva stava dicendo di aver bisogno di una lunga doccia.
«Vuoi fare un bagno in piscina?» le chiese Zlatan ridendo.
«Oh no, sarà sicuramente freddissima.»
«Non mi dire che hai paura di bagnarti un po'...»
«Se ti butti ti seguo» disse lei seria.
«Buttiamoci insieme.»
Sveva lo guardò di sottecchi e lo seguì a bordo piscina. Lui aveva un'espressione divertita sulla faccia. Era veramente intenzionato a buttarsi? Con tutti i vestiti?
Zlatan si girò verso di lei e le fece un sorriso. «Sei pronta?»
Sveva si lasciò distrarre da quel sorriso ammaliante e non si accorse che Zlatan l'aveva spinta. O meglio, se ne rese conto quando era già troppo tardi. Lanciò un urlo che l'impatto con l'acqua spezzò.
Zlatan non aveva intenzione di farla cadere realmente in acqua, solo di giocare un po' con lei ma gli era scappata di mano. Forse l'aveva spinta troppo forte. Non poté fare a meno di ridere.
Lei, una volta in superficie lo guardò furente. «Questa me la paghi!»
«Shhhh, non urlare! Stanno dormendo!»
«Non ridere!»
Sveva uscì in fretta dall'acqua fredda e iniziò a correre dietro a Zlatan che stava scappando verso casa e continuava a ridere.
«Giuro che non l'ho fatto apposta!»
«Vieni qui!»
Zlatan raggiunse la porta e rallentò. L'aprì piano per non svegliare gli altri che dormivano ancora anche se sospettava che le loro urla li avessero già svegliati, ma Sveva stava ancora correndo verso di lui. Le fece segno di tacere, lei gli si avventò addosso a tutta velocità.
«Preso!»
Zlatan stava per cadere all'indietro, Sveva era su di lui. Scoppiò a ridere e la strinse.
«Sei fradicia.»
«Wow, non me ne ero accorta.»
Solo dopo qualche secondo Sveva si rese conto di avere le braccia intorno alle spalle di Zlatan. Sciolse l'abbraccio ma lui continuò a tenerla stretta e a guardarla negli occhi.
«I tuoi occhi sono meravigliosi» le disse.
«Grazie.»
Il cuore le batteva forte e lei si disse che era per la corsa ma aveva uno strano turbamento, il profumo di Zlatan la inebriava e il contatto con la sua pelle la infuocava.
Zlatan si stava avvicinando impercettibilmente alle sue labbra. Sorrise.
«Dovrei andare ad asciugarmi.»
«Sì» rispose lui, continuando ad avanzare.
«Che succede, ragazzi? Ho sentito delle urla...» chiese qualcuno dietro di loro.
Sveva e Zlatan si allontanarono immediatamente e si girarono verso Mark.
«Ehi Sveva, sei tutta bagnata» continuò lui guardandola da capo a piedi.
«Sono caduta in piscina.»
«E che ci facevi fuori a quest'ora?»
«Siamo andati a correre» disse Zlatan.
«Bene, io vado a fare una doccia.» Sveva guardò un secondo Zlatan e Mark e si avviò per le scale, lasciandoli all'ingresso.
Aveva ancora il cuore che batteva forte e tutti i sensi in subbuglio ma non ebbe il coraggio di pensare a quello che era appena successo. Lo relegò in un angolo della mente e si tenne occupata per tutto il resto della giornata.

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