Famiglia
Il concetto di famiglia di Orphea era davvero molto nobile.
La famiglia era la casa in cui potevi essere al sicuro, in cui tutto era semplice e perfetto, in cui tutto restava uguale finché non si era pronti ad abbandonare la solita routine.
E la routine di Orphea era davvero molto... singolare, sempre la stessa, uguale e magnifica.
Orphea abitava con i suoi nonni, non con i suoi genitori.
Non che questi ultimi fossero morti o qualcosa del genere, semplicemente non avevano tempo di pensare a lei.
Sua madre aveva sempre da studiare, per l'università o per l'esame di scuola guida, e suo padre era fuori per lavoro.
Orphea ce l'aveva una casa, la casa dei suoi genitori, dove c'erano tutti i suoi giochi, ma i suoi mica potevano lasciarla da sola, in casa.
Quindi lei dormiva dai nonni, viveva con loro, ma i suoi giochi non erano ammessi in quella casa, quindi i suoi unici modi per giocare erano con la palla, con le costruzioni o con le sorpresine che uscivano dagli ovetti Kinder.
Non c'erano bambole, né barbie, né libri per la sua età, né tanto meno pupazzi o puzzle, o giochi da tavolo, niente nintendo o roba del genere.
Erano solo lei e la sua irrefrenabile immaginazione, le costruzioni con cui costruire case per i giocattoli degli ovetti, che chiamava "giochini piccoli".
Magari sembra così lontana dalla nostra realtà, ma la sua vita era così... così stramba!
I suoi nonni erano insegnanti, e alla loro epoca erano stati davvero stimati dagli alunni.
Avevano portato tecniche innovative come la TV nelle scuole per l'insegnamento dei ragazzi, e suo nonno aveva fatto anche i carri di cartapesta insieme ai suoi alunni da far girare in tutta la città.
Peccato quella tradizione da loro si fosse persa, ma Orphea amava le storie del nonno!
Come egli costruiva delle macchine per giocare con dello spago, alcuni rocchetti per il cucito e un pezzo di legno, o di come una volta, anziché "spiluccare" il grano lasciato dai contadini, suo nonno aveva riempito il sacco datogli dalla madre con delle cavallette, o di come, ancora, suo nonno era entrato in un carro armato vero, e si era spaccato la testa battendola sul coperchio che chiudeva l'entrata.
Suo nonno aveva vissuto la povertà della guerra, e scriveva libri storici proprio per questo.
Il suo studio era pieno di pezzi storici che venivano dalle città vicine: dalla preistoria alla seconda guerra mondiale, tutta la storia del suo territorio era in quella stanza!
Non c'era da stupirsi, se, allora, Orphea sapesse già leggere, scrivere e contare fino a mille già da piccolissima.
Amava le storie della Disney, e si faceva sempre leggere i libretti delle storie dai suoi parenti.
Ma dopo un po', tutti erano stufi di farlo, e allora Orphea si decise a fare tutto da sola: prese in mano uno di quei libricini, e ricordando a memoria qualche parola, cominciò ad esercitarsi pian piano, fino ad imparare a leggere per davvero.
Orphea scriveva poesie per divertimento e le regalava ai suoi nonni.
I suoi disegni erano già ad un livello avanzato, e tutti la lodavano per qualsiasi cosa faceva.
Si sentiva bene, studiare era facile, anzi, che dico, noioso!
Orphea voleva sempre sapere di più, tentare in tutti i modi di approfondire ciò che studiava, e chiedeva sempre spiegazioni di qualsiasi cosa.
Sapeva già disegnare una bicicletta senza mai averla vista dal vivo, quando iniziò ad appassionarsi all'arte, soprattutto il bricolage.
Una volta aveva progettato di creare un biliardino con una scatola di merendine e qualche matita.
Un piccolo genio che rendeva chiunque orgoglioso, pronunciava già vocaboli complessi e parlava di cose che non avrebbe dovuto comprendere, ad una tale età.
Come la salute dell'ambiente, quando ancora non c'erano allerte per il riscaldamento globale o l'inquinamento, ma lei andava a togliere i cocci di vetro che stavano nel cortile e li buttava nel cassonetto, perché era sicura che le piante non riuscissero a respirare con tutti quei cocci nascosti sotto la terra.
Quando Orphea iniziò a sviluppare un certo interesse per i disegni, non tutti i familiari lo capirono subito, specialmente i suoi genitori.
I zii di Ancona sì, però, e le regalarono alcuni glitter particolari per abbellire i suoi disegni, insieme ad un grande pagliaccio di carta cui potevi muovere le braccia e le gambe.
Successivamente il pagliaccio fu donato all'asilo da sua madre.
Orphea, comunque, aveva un problema, oltre alla scrittura disordinata e grossolana: essere sola.
Quando fu mandata alle elementari, Orphea aveva conosciuto persone che avevano fratelli e sorelle, e che si conoscevano già.
Non credeva fosse un problema, non né aveva mai avuti a socializzare, ma presto avrebbe scoperto perché ciò sarebbe diventato effettivamente un problema.
Un giorno Orphea chiese a sua madre di avere una sorellina.
Un anno dopo quella nacque.
Intorno alla sua sorellina si era creato una specie di mito familiare, che raccontava come fosse stata Orphea a chiedere ad una stella cadente, il giorno di San Lorenzo e delle stelle cadenti, di avere una sorellina.
E la stella cadente a cui aveva chiesto era proprio sua sorella, nata quello stesso giorno, di sera.
La mattina, in realtà, sua madre era andata in ospedale.
Era estate, Orphea era nella casa del mare dei suoi nonni, ma lì non c'era nulla per intrattenere la bambina.
O almeno, c'era il gatto, Yorik, lo stesso nome del giullare di corte di Amleto, poiché tutti e due erano molto giocherelloni, ma il gatto e la bambina non andavano molto d'accordo.
Orphea spesso lo tirava per la coda e lo inseguiva, tanto che una volta era stata graffiata da Yorik sul viso, quasi sull'occhio, e la bambina era scoppiata in lacrime.
I suoi zii di Bari, quindi, per tenerla buona, decisero di portarla al circo vicino la casa vacanze.
Orphea si ricordava quel momento tanto speciale, perché era stata l'unica bambina di tutti gli spettatori a salire su un cammello.
Suo zio gli scattò una foto, ed Orphea la tenne per anni appesa nella sua cameretta.
Tornata dal circo, Orphea aveva ricevuto la notizia della sorella.
Inizialmente tutto era stato terribile: Orphea non poteva giocare con lei come si era sognata di fare, e tutta l'attenzione dei genitori e dei parenti era rivolta alla più piccola.
Era stata così gelosa di quel mostriciattolo, che per giorni aveva rifiutato di abbracciare sua madre!
Ma dopo un po' ci aveva fatto l'abitudine, ed amata con tutta se stessa, anche se la sorella era davvero davvero intrattabile.
Una volta aveva perfino gettato il suo pupazzo preferito dal balcone, e quando Orphea l'aveva scoperto ed era scesa a cercarlo, non aveva trovato nulla.
Qualcuno doveva averlo portato via.
Orphea, in quel momento, si era sentita malissimo, perché il suo pupazzo preferito (e l'unico ammesso in casa dei suoi nonni) era stato perso in quel modo terribile.
Orphea provò per la prima volta un'emozione che non si sarebbe mai aspettata di provare: rabbia.
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