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Il prigioniero

La Drunk Seagull vagava a ovest dell’Île Sainte-Marie, in attesa che il sole calasse all’orizzonte e la notte conquistasse l'Oceano per permettere alla nave di attraccare indisturbata.

L’ultima volta che avevano toccato terra era stato settimane prima, gli uomini erano stanchi, e il capitano Thompson aveva decretato che sarebbe stato opportuno piazzare la nave al porto per lasciare l’equipaggio a rifocillarsi tra taverne, osterie e bordelli, per spendere i soldi guadagnati dai saccheggi.

L’Oceano Indiano si estendeva in tutte le direzioni, eccezion fatta per il puntino verde all’orizzonte verso cui erano diretti ormai da un po’.

Il capitano aveva dato ordine di abbassare le vele, che pendevano flosce sugli alberi per permettere alla nave di restare immobile nonostante la brezza incalzante che veniva da est. 

Il blu profondo dell’Oceano si univa all’azzurro terso della volta celeste, senza una nuvola, e il sole allo zenit azzerava le ombre e faceva lacrimare gli occhi riflettendosi sull’acqua appena increspata.

L’aria puzzava di sale e del fetore degli uomini in mare da settimane, senza acqua pulita né servizi, oltre che dell’odore pungente del pesce pescato quella mattina per sfamare l’equipaggio. 

Adam era chino sul ponte, intento a grattare dal legno gonfio di acqua salata gli escrementi dei gabbiani, che durante la mattinata si erano seccati e calcificati sul ponte. 

Il ragazzo si passò il braccio sulla fronte per asciugare il sudore, le giunture gli dolevano perché era inginocchiato da ore, aveva ripulito il ponte di ogni schifezza immaginabile da solo, centimetro dopo centimetro.

«Ehi, giovane!» l’urlo del capitano lo portò a sobbalzare, rischiando di rovesciare il secchio di acqua saponata. 

Si alzò in piedi a fatica, le gambe formicolavano. «Sì, signore?»

«Vai a dare la razione al prigioniero, poi torna al lavoro! C’è da pulire anche sottocoperta!»

«Sì, signore; subito signore» farfugliò in risposta, e corse nelle cucine a prelevare la razione per l’ostaggio rinchiuso nelle celle della nave.

Si guardava bene dall’esitare davanti a un ordine diretto, e sapeva che la gerarchia della nave, precaria di natura, poteva essere sovvertita e rimescolata senza preavviso o motivo apparente.

Sarebbe bastato un capriccio del capitano per farlo capitolare allo stesso livello dello sfortunato rinchiuso in cella, e non aveva intenzione di permetterlo. Quello sì che gli avrebbe scombinato tutti i piani.

Il cuoco sbatté su una ciotola di ottone delle frattaglie di pesce e legumi bolliti, lui storse il naso ma non protestò.

Se suo padre non avesse deciso di fare l’idiota quella notte dell’anno precedente, lui non si sarebbe mai trovato in quella situazione ingrata. Invece no, eccolo sulla Drunk Seagull a riparare i torti di quell’inetto. Il primo figlio maschio, questo era stato tutto ciò che il capitano aveva deciso di domandare come pagamento.

Suo padre non aveva neanche tentato di protestare o di fermarlo.

Portava ancora i segni degli scherzi crudeli che, soprattutto all’inizio, gli aveva riservato l’equipaggio. L’avevano affamato, deprivato del sonno, costretto sotto al sole sino a vederlo svenire per puro divertimento.

Prese la ciotola e ringraziò, ubbidiente, poi infilò le scale per recarsi sottocoperta e raggiungere le celle. 

L’interno della nave era buio e umido, e il mare quasi piatto aveva ridotto la solita oscillazione al minimo.

In terra era coperto dei giacigli dove gli uomini che non erano di vedetta dormivano la notte, bottiglie vuote che lui avrebbe dovuto raccattare e vestiti sporchi erano sparsi un po’ ovunque, e i suoi occhi individuarono sterco di ratto che avrebbe dovuto pulire più tardi.

Attraversò la camerata con la scodella in mano e scese delle scalette in legno che portavano al fondo della nave. 

Una lampada a olio era appesa al soffitto, dondolava appena e aumentava con un gioco di luce la sensazione ipnotica di straniamento che provava.

Si trovava sotto il livello del mare, senza finestre, e se non fosse stato per la lampada sarebbe stato immerso nel buio. L’aria era pregna di un forte odore di muffa e sudore, e c’era là sotto un caldo umido soffocante, più che nelle altre zone della nave. 

Dietro una griglia di sbarre ormai consumate dalla ruggine, rannicchiato in terra in un angolo della celletta, stava lui.

Ammiraglio Phillip Parmenides Preston, il più giovane ufficiale della Royal Navy, unico sopravvissuto dell’assalto alla Ivory risalente la settimana precedente.

Portava ancora la sua divisa da ammiraglio, blu ricamata in oro, ma le medaglie erano state strappate e rubate dai membri dell’equipaggio e ormai era sporca e gli si era appiccicata addosso come una seconda pelle. I capelli ramati umidi dal sudore erano arruffati là dov’era appoggiato in terra, la pelle pallida macchiata del nero della polvere da sparo e i suoi occhi un tempo accesi di orgoglio andavano a spegnersi con il crescere delle sevizie e delle risate di scherno dei membri dell’equipaggio.

«Cibo?»

Il rantolo rauco del prigioniero lo portò a raggiungerlo più in fretta.

Gli sembrò più emaciato, non poteva accettarlo. Phillip era il suo lasciapassare per una vita migliore, non poteva morire quel giorno, né tantomeno il prossimo.

Adam raggiunse la cella e gli passò la ciotola attraverso le sbarre arrugginite. «Sì. Niente di speciale, come al solito. Mi dispiace.»

L’ammiraglio Preston era un pezzo grosso, e Adam sapeva che il capitano Thompson aveva intenzione di tenerlo in custodia nella speranza di poterlo scambiare con qualcosa di succulento.

Quello che il capitano ignorava, però, era che lui l’avrebbe aiutato a fuggire non appena l’equipaggio fosse sceso sulla terraferma. Avevano un accordo, loro due: Adam lo avrebbe aiutato a defilarsi, e in cambio Phillip avrebbe chiuso il debito di suo padre nei confronti della nave e avrebbe ripulito il suo nome da ogni accusa.

Le dita smagrite del prigioniero afferrarono tremanti la ciotola che gli veniva offerta. «Avete novità per me, oggi?»

«Grosse novità» il tono del ragazzo si fece cospiratorio. «Abbiamo avvistato terra. Ormai è questione di pochi giorni, forse addirittura ore.»

Lui si sedette composto sul pavimento fradicio. Non era piegato sul piatto come un animale, aveva la schiena dritta e prendeva il cibo con due dita della mano destra per sporcarsi solo il minimo necessario. Adam non sapeva come si potesse mangiare con le mani in modo elegante, sperò di riuscire a impararlo. Forse, quando fosse diventato un uomo libero, ci sarebbe riuscito anche lui.

O forse... forse invece no. Forse un’eleganza e una dignità come quelle non si potevano imparare.

Gli occhi del compagno ritrovarono quella luce persa da tempo. «Giorni? Ore?»

Adam sentì gli angoli delle sue labbra piegarsi all’insù. «Ce l’avete fatta, ammiraglio. A breve riavrete la libertà.»

«La riavremo» incalzò lui. «Ce l’abbiamo fatta.»

«Questa notte o al massimo la prossima l’equipaggio scenderà a divertirsi giù al porto. Solo in pochi resteremo sulla nave, quelli che non si sono meritati la terraferma. Sarà allora che vi farò fuggire.»

Il prigioniero allungò il piatto vuoto verso le sbarre, dopo aver spazzolato il suo maleodorante contenuto. «Come ha fatto un gentiluomo come voi a diventare un pirata?»

«Non sono un gentiluomo, sono solo un ragazzo» sentì di specificare. «E, a dirla tutta, non sono nemmeno un pirata. Sono quello che pulisce le cose che lasciano in giro...»

«Il che vi dà più dignità di tutti quei maiali messi insieme» mormorò in risposta.

Adam afferrò la scodella che lui gli porgeva e la portò al petto. L’ammiraglio aveva bisogno di cure, cure urgenti. Non avrebbe retto altre sevizie, non altra tortura.

Non avrebbe permesso a nessuno di toccarlo, mai più.

Mai più.

«Starete bene» buttò fuori, in un impeto di sincerità. «Mi prenderò cura di voi, lo giuro.»

«E io riabiliterò il vostro nome. È una promessa.»

«Ragazzo!» l’urlo del capitano, come sempre, lo spaventò e per poco la ciotola non gli sfuggì dalle mani sudate. «Che ci fai ancora là sotto? Sottocoperta è un merdaio, non sei qui per cazzeggiare!»

«Tenete duro. Io… devo andare.»

Lui sorrise, il labbro spaccato e rosso di sangue si allungò sul suo volto come uno strappo. «Tornate alle vostre mansioni. Quando sarà ora, io sarò pronto.»

Note autrice
Bene, questo è il raccontino che ho scritto sul prompt “X viene catturato dai pirati e torturato, Y lo libera e si prende cura di lui” che mi ha fatto venire voglia di scrivere una storia sui pirati il più possibile hurt/comfort e caruccia.
Che ne pensate? Ce lo faccio un pensierino?
Sono carini Adam e Phillip?
Devo dire che già revisionare questa oneshot per postarla mi ha messo il buonumore, quindi grazie come sempre di darmi occasione di farlo!
Ci aggiorniamo presto e buon inizio settimana ~

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