Capitolo 3
"Ragazzi, che fine avevate fatto?"
Ci chiese Enrico una volta che fummo entrati nell'edificio dove si sarebbe tenuta l'intervista... Peccato che eravamo in ritardo di almeno due ore.
"Ci eravamo persi."
Ci giustificò il biondo, con lo sguardo basso e imbarazzato.
"Sei tu quello che si è perso, io sono solo una vittima del tuo pessimo orientamento."
Dissi, guadagnandomi un'occhiataccia dal ragazzo accanto a me.
"Avanti ragazzi, sono riuscito a farli attendere, ora sbrigatevi."
Ci informò Enrico iniziando ad incamminarsi.
"Certo che sei proprio uno stronzo."
Osservò Federico. Sorrisi.
"Con te sempre, amore."
"Ciao ragazzi."
Ci salutarono gli intervistatori che erano una donna ed un uomo.
"Ciao."
Li salutammo in coro, sedendoci sulle due poltroncine poste di fronte a loro.
"Allora, oggi uscirete le date degli instore, giusto?"
Chiese l'uomo per iniziare.
"Sì, esatto."
Rispose il biondo.
"Abbiamo programmato tipo diciotto tappe."
Li informai.
"Wow, dite che la farete?"
Chiese la donna.
"Sì, certo."
Risposi ovvio.
"Per quanto riguarda il vostro libro invece, 'Vietato smettere di sognare',sappiamo che domani ci sarà l'uscita."
Ricordò. Annuii.
"Siamo in fermento, speriamo possa riuscire a farci conoscere meglio e a far capire alle persone che la nostra vita non è stata poi così facile e ciò che siamo è conseguenza di ciò che abbiamo passato."
Parlò Federico.
"E magari così alcune persone capiranno che non siamo i soliti due ragazzini superficiali e montati."
Commentai io.
"Come mai questo titolo?"
Chiese l'uomo.
"Ha due significati differenti, uno riguarda me, uno riguarda lui."
Spiegò il biondo.
"Il mio significato è che fin da quando ero molto piccolo, ho sempre amato cantare e mio padre era colui che non faceva altro che spronarmi a inseguire il mio sogno, diceva che dovevo superare la mia timidezza, perché il mondo aveva bisogno di sentire la mia voce. Quando è andato via, io..."
Fece una piccola pausa. Poggiai la mia mano sul suo ginocchio, come per dirgli 'Ehi, va tutto bene.'. Ci scambiammo qualche sguardo e poi riprese.
"Non ce l'ho fatta, ho lasciato perdere, non riuscivo più a credere in nulla, avevo smesso di sognare. Quando poi ho incontrato lui..."
Continuò, per poi fare un'altra breve pausa per lanciarmi un'occhiata.
"Ho pensato fin da subito che eravamo abbastanza simili, avevamo sofferto entrambi, in modi piuttosto differenti e, in un qualche modo, eravamo riusciti ad uscirne. Si può dire che è grazie a lui se ho ripreso a sognare, anche perché, come si fa a non sognare con questo qua accanto che sta sempre con la testa fra le nuvole e se ne esce sempre con idee folli?"
Fece notare ridacchiando. I due intervistatori sorrisero divertiti.
"Ed è grazie a lui che ho capito che non potevo smettere di sognare."
Concluse.
"E invece il tuo significato Benji qual è?"
Mi chiese la donna.
"Beh, è abbastanza simile. La mia situazione famigliare non è mai stata delle migliori e non lo è tutt'ora. Mia madre è morta dandomi alla luce, quindi non l'ho mai conosciuta, e in famiglia non hanno mai perso occasione per rinfacciarmi la sua assenza. Da piccolo, nonostante ciò, sono sempre stato un bambino pieno di fantasia, immaginazione, pieno di voglia di vivere, sognatore, crescendo però, non so com'è successo, ho smesso di essere così, sono diventato totalmente l'opposto di quello che ero. Avevo smesso di sognare, di sorridere, di ridere... Di vivere."
Dissi le ultime parole con un sorriso amaro.
"Avevo anche smesso di suonare la mia amata chitarra!"
Esclamai come a dire 'Ceh, vi rendete conto?!'.
"Poi quando ho incontrato questo tipo accanto a me..."
Esordii indicandolo.
"Sono ritornato quello che ero una volta, il fatto è che non me n'ero nemmeno reso conto inizialmente."
Dissi con un sorriso divertito.
"Ed all'inizio la cosa non mi andava bene, perché non ho mai ricevuto nessun tipo di affetto, perciò ero abbastanza diffidente delle attenzioni che mi riservava, delle sue premure, dei suoi sorrisi, come un bambino che diffida di qualcosa che ancora non conosce. Poi ho iniziato ad apprezzare tutto ciò e non riuscivo più a farne a meno."
Li informai.
"Poi grazie a lui ho ripreso a suonare e... In conclusione, posso dire che il mio 'Vietato smettere di sognare' vuol dire 'Vietato perdere le speranze', perché lui mi ha fatto ricordare cosa fosse la speranza, ovvero sperare di poter cambiare, sperare di poter riappropiarmi della mia vita, sperare di darle un senso, di renderla migliore."
Conclusi. Sentivo lo sguardo di Federico puntato su di me, quasi meravigliato. Già, non sono un tipo che esprime così apertamente ciò che prova, eppure quando inizio, mi faccio prendere talmente tanto, da non rendermi nemmeno conto di ciò che sto dicendo.
"Queste sono dichiarazioni!"
Esclamò il biondo.
"Ditemi che l'avete registrato."
Li supplicò.
"Sì, sì, tranquillo."
Confermò la donna ridacchiando.
"Benji, tu vieni definito più come un bambino, si può dire che è vero?"
Mi chiese l'uomo.
"Se avere voglia di vivere, di scoprire cose nuove, di dire ciò che si pensa senza curarsi delle conseguenze, di rischiare vuol dire essere bambini, allora sì, si può dire che sono un bambino."
Dissi.
"Confermo."
Disse Federico.
"Lui invece è più simile ad una ragazza psicopatica."
Dissi sorridendo divertito, indicandolo.
"Ancora con questa storia?!"
Risi.
"In che senso?"
Chiese la donna divertita.
"Nel senso che è permaloso, incazzoso, romantico, riflessivo, dà importanza a ciò che pensano gli altri, perciò si veste elegante per dare una buona impressione, sta ore chiuso in bagno a prepararsi, è sempre in cerca di coccole e, se non lo soddisfi, ti tiene il muso per giorni."
Spiegai.
"Quindi sei costretto a coccolarlo."
Notò l'uomo.
"Esatto."
Confermai.
"Mo l'hai detta la cavolata!"
Esclamò il biondo.
"Come se a te dispiacesse! Poi ti ricordo che anche tu mi rompi perché vuoi essere coccolato."
Mi rammentò.
"Ma io sono un bimbo."
Mi giustificai.
"No, sei un pirla."
Mi corresse.
"Siete gelosi l'uno dell'altro?"
Ci chiese la donna. Io e il biondo ci scambiammo qualche occhiata.
"Se dici di no, giuro che ti prendo e ti butto dalla finestra."
Mi minacciò. Risi.
"Ma dai, ceh, non sono propriamente geloso."
Mi difesi. Federico spalancò gli occhi.
"Vogliamo ricordare cos'hai fatto a Benja?"
Mi rammentò.
"Se, va beh."
Mi lamentai.
"Chi è Benja?"
Chiese l'uomo, stranito e divertito allo stesso tempo.
"Un peluche che gli ho regalato con la speranza che durante la notte non si fregasse più il mio cuscino."
Spiegai.
"No, questa ve la devo raccontare."
Disse il biondo.
"Allora, praticamente Ben mi aveva, appunto, regalato questo pupazzo, un orsetto grande quanto un cuscino... Tralasciando la discussione che c'è stata per decidere il sesso di questo peluche che alla fine ho vinto io... C'ero praticamente entrato in fissa. Me lo portavo dapperttutto e lo coccolavo, ne ero innamorato follemente."
Li informò.
"Un giorno, questo idiota, l'ha preso e me l'ha buttato dalla finestra del quinto piano, dell'albergo in cui eravamo e sono dovuto correre giù a riprendermelo."
Raccontò.
"E perché mai hai fatto questa cosa?"
Mi chiese la donna.
"Dava più attenzioni a quel dannato peluche piuttosto che a me!"
Mi giustificai.
"Era diventato insopportabile, era come se io non esistessi più."
Mi difesi.
"E poi ha il coraggio di dire che non è geloso."
Constatò il ragazzo accanto a me.
"Okay, va bene, sono geloso."
Ammisi.
"Anche se, forse hai ragione. Tu non sei geloso di me, tu è solo perché non accettavi che prestassi attenzioni a qualcuno che non fossi tu. Se ci fosse stato qualcun altro pronto a darti attenzioni, non mi avresti calcolato minimamente, cosa che succede spesso."
Mi fece notare. Lo guardai confuso.
"Ma che dici?"
Chiesi.
"La verità."
Disse ovvio.
"Quando usciamo con i nostri amici, appena c'è qualcuno pronto a dargli attenzioni, io non esisto più."
Disse rivolto agli intervistatori.
"Stai dicendo che per me le tue attenzioni valgono quanto quelle degli altri?"
Chiesi conferma di ciò che avevo capito.
"Esatto."
Confermò.
"Ma sei scemo?!"
Chiesi retorico.
"Se le tue attenzioni per me valessero come quelle di chiunque altro, non credi che mi sarei trovato tempo fa qualcun altro pronto a riempirmi d'attenzioni? Se sono rimasto con te, vuol dire che voglio solo le tue di attenzioni."
Spiegai ovvio. Lui si limitò a farmi una linguaccia. Faceva sempre così quando si rendeva conto che avevo ragione e non sapeva come ribattere.
"E tu Fede, sei geloso di lui?"
Chiese la donna.
"Un po'."
Ammise.
"Un po' tanto, data la scenata che hai appena fatto."
Gli feci notare divertito, guadagnandomi una spintarella da parte sua.
"Sono a pezzi."
Dissi stiracchiandomi, per poi buttarmi a peso morto sul letto dell'albergo, mentre il biondo si sedette poco distante da me. Notai che era piuttosto pensieroso.
"Che hai?"
Gli chiesi, alzandomi sui gomiti.
"Non hai paura?"
Mi chiese facendo incontrare i nostri occhi.
"Di cosa?"
Chiesi confuso.
"Domani uscirà il libro... Inizieranno a farci domande su tutto ciò che abbiamo scritto."
Mi ricordò. Sospirai, per poi mettermi seduto, avvicinandomi a lui.
"Sta tranquillo, non devi preoccuparti di nulla. La tua reazione a ciò che ti è successo è stata del tutto normale e..."
Mi interruppe.
"Io non sono preoccupato per me."
Smontò ciò che gli stavo dicendo.
"Io sono preoccupato per te."
Ammise. Rimasi sorpreso, non perché lui non si fosse mai preoccupato per me, ma non mi aspettavo che si preoccupasse anche in quel caso, anche perché non ne vedevo motivo.
"Perché?"
Chiesi appunto. Distolse lo sguardo.
"Io non ti capisco davvero."
Sbottò alzandosi in piedi.
"Come diavolo fai?"
Mi chiese guardandomi negli occhi, posizionandosi davanti a me.
"A fare cosa?"
Chiesi ancora confuso.
"Ogni volta che parli della tua vita, ne parli come se fosse del tutto normale ciò che ti è capitato, altre volte è come se stessi raccontando la storia di qualcun altro. Sei così tranquillo, non fai trasparire alcun tipo di emozione, solo totale indifferenza."
Mi fece notare. Sorrisi amaramente, distogliendo lo sguardo.
"Tu quando racconti la tua storia, è normale che stai male, perché, ad un certo punto della tua vita, ti è stato tolto qualcuno che per te era fondamentale. Mentre a me..."
Feci una breve pausa, per poi far rincontrare i nostri sguardi.
"Non mi è mai stato tolto nulla, semplicemente perché non mi è mai stato dato nulla."
Gli feci notare.
"Odio, disprezzo, indifferenza, solitudine, rimproveri, botte, abusi, niente attenzioni, niente affetto, niente premure, sono sempre stati la mia realtà, quella era la mia vita, non posso stare male per qualcosa che per me era la normalità."
Ammisi.
"Ma ora sai che quella non era la normalità."
Mi rammentò.
"Non esiste una vera e propria definizione della parola 'normalità', perciò poteva non essere normale la tua vita, come poteva esserlo la mia e viceversa."
Dissi. Poteva sembrare come se mi stessi arrampicando sugli specchi, magari per non affrontare la realtà, ma non era così, pensavo davvero quello che dicevo.
"Oltretutto oramai è passato, non posso farci nulla, è inutile che io ci stia male, non risolverei nulla."
Gli spiegai.
"Io però... Mi fa male vederti in quel modo."
Disse distogliendo lo sguardo.
"Fede, non devi preoccuparti di nulla, andrà tutto bene."
Dissi alzandomi e andando ad abbracciarlo. Non ricambiò, semplicemente si limitò a poggiare la testa sulla mia spalla, lasciando che lo stringessi a me.
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