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Capitolo 20

Eravamo nel van, diretti al luogo dove si sarebbe tenuto il primo concerto di quella specie di 'tour prova' che avevamo programmato, iniziato con un giorno di ritardo. Federico non mi aveva rivolto neanche una parola, appena entrato nell'auto, si era messo le cuffie e non faceva altro che smanettare col cellulare. Sbuffai. E pensare che io volevo chiacchierare con lui, mi stavo annoiando. Era almeno un'ora che stavamo in quel modo e, francamente, non ne potevo più... Odiavo il fatto che mi stesse ignorando totalmente. Mi avvicinai a lui e gli sfilai una cuffia, costringendolo a voltarsi verso di me, facendo incontrare i nostri occhi.
"Smettila di ignorarmi."
Dissi scocciato.
"Non ti sto ignorando, stavo semplicemente ascoltando la musica."
Ribatté riprendendosi la cuffietta che gli avevo sottratto.
"Non è vero, mi stai ignorando."
Insistetti, mettendo il broncio.
"Non sei il centro del mio mondo, non è scritto da nessuna parte che io debba riempirti d'attenzioni, non sei un bambino."
Disse velenosamente, cosa che mi spiazzò e che mi ferì un po', ma non lo diedi a vedere. Mi limitai a ritirarmi al mio posto, senza proferire parola. Afferrai anch'io le mie cuffie e iniziai ad ascoltare, a mia volta, della musica. Il problema, chiamiamolo così, era che stavo ascoltando le nostre canzoni, perché volevo ascoltare la sua voce. Cullato da essa, mi addormentai, con la testa poggiata al finestrino.

Un dolore, piuttosto forte, mi colpì alla nuca, costringendomi ad aprire gli occhi. Mi ritrovai il biondo poco distante da me, con un cellulare in mano... Il mio.
"Che stai facendo?"
Gli chiesi massaggiandomi il punto dolorante. Avevano sicuramente preso una buca, causando uno scontro violento tra la mia testa e il vetro del finestrino.
"Perché ascolti le nostre canzoni?"
Mi chiese diretto.
"Mi piace il suono della tua voce."
Risposi ovvio, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo dire una frase del genere al proprio migliore amico, ma, in fondo, nulla che ci riguardasse era normale. Lui mi guardò sorpreso, non si aspettava una risposta del genere, soprattutto dopo quello che mi aveva detto precedentemente.
"Dove siamo?"
Chiesi cambiando argomento.
"Siamo quasi arrivati."
Mi rispose Enrico al posto di guida. Riportai il mio sguardo sul biondo che teneva ancora il mio cellulare in mano.
"Hai bisogno di qualcosa?"
Gli chiesi alludendo al telefono. Lui scosse la testa e me lo porse.
"Ben?"
Mi richiamò.
"Tu che ti metti stasera?"
Mi chiese tranquillamente.
"Non lo so, credo le prime cose che troverò, come al solito."
Risposi ancora assonnato.
"Ti sei fatto tanto male?"
Pronunciò, avvicinandosi di più a me e posando una mano sul punto da me tastato poco prima.
"No, sto bene."
Lo rassicurai. Si allontanò nuovamente, sorridendomi. 'Certo che è strano questo ragazzo.' pensai.

"Finalmente!"
Esclamai una volta che fui sceso dall'auto.
"Se volete andarvi a fare un giro, andate pure, ci pensiamo noi alle vostre valigie."
Ci rassicurò Marco, un ragazzo che lavorava con noi, al fianco di Enrico.
"Davvero possiamo?"
Chiese Federico, con gli occhi che gli brillavano. Loro annuirono. Venne verso di me e, senza sentire cosa ne pensassi, mi trascinò via per un braccio.
"Io, veramente, volevo riposarmi un po'."
Mi espressi.
"Abbiamo tutto il tempo."
Mi rassicurò. Sbuffai.
"Ho fame, ti va di mangiare qualcosa?"
Mi chiese.
"E che me lo chiedi a fare?! A quanto pare la mia opinione non conta."
Dissi scocciato. Ero davvero stanco e mi faceva male la testa, probabilmente a causa della botta presa.
"Dai, non vorrai tenermi il muso per tutto il giorno?"
Mi sussurrò con un sorrisetto, dopo essere passato dietro di me e aver posato le sue mani sui miei fianchi.
"Forse."
Dissi.
"Non ci credo neanche un po'."
Disse ridacchiando e spingendomi all'interno del bar di fronte a noi.

"Ma certo che sei veramente un disastro!"
Esclamai, vedendo del cioccolato ricoprirgli labbra, mento e naso.
"Che c'è?"
Mi chiese ingenuamente.
"Mi spieghi come diavolo fai a sporcarti in questo modo, a ventitré anni?"
Gli chiesi afferrando un fazzolettino e iniziando a strofinarlo sui vari punti macchiati. Sembravo un padre intento a rimproverare il proprio bambino.
"Grazie, papà."
Ecco, appunto.
"Tu non lo finisci?"
Mi chiese guardando la metà del cornetto presente nel piattino davanti a me.
"No, non mi va."
Mi giustificai, per poi spostare il piatto verso di lui, dandogli il permesso di divorarselo. Non aspettava altro.
"Grazie."
Disse afferrandolo. Notai che fece una cosa un po' strana, ma dannatamente eccitante: iniziò a leccare il cioccolato fuoriuscito e, mentre faceva ciò, mi guardava in un modo in cui non mi aveva mai guardato, difficile da descrivere. Avrei voluto chiedergli che diavolo gli era preso, ma lasciai perdere.

Era da un po' che giravamo per le strade di Milano e, fortunatamente, riuscimmo a passare inosservati.
"Ben, vieni a vedere!"
Esclamò il biondo tirandomi verso una vetrina di un negozio di giocattoli, dov'erano esposti diversi pupazzi, tra cui un Minions versione gigante ed alzai gli occhi al cielo, era entrato proprio in fissa per quelle pillole gialle. Mi bastò spostare di poco lo sguardo, per incontrare l'amore della mia vita. Mi attaccai praticamente alla vetrina, con sguardo sognante.
"Dev'essere mio."
Dissi con tono fermo e deciso. Il ragazzo accanto a me rise.
"Lo sapevo."
Mi voltai di scatto verso di lui.
"Lo voglio."
Dissi quasi in supplica.
"Okay, entriamo e lo compriamo."
Disse ovvio.
"Ma non ho soldi!"
Gli ricordai avvilito.
"E allora? Te lo compro io."
Disse indicando la porta d'entrata. I miei occhi ripresero ad illuminarsi.
"Davvero?"
Dissi con fare da bambino. Lui annuì sorridendomi.

Uscii dal negozio abbracciato al peluche, con fare soddisfatto.
"Contento?"
Mi chiese il biondo, infilando il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans.
"Sì."
Ammisi entusiasta. Sorrise intenerito.
"Sei carino con quel peluche."
Commentò. Sorrisi.
"Beato lui..."
Disse in un sussurro appena udibile, dopo che mi ebbe osservato per un po', sorpassandomi. Lo guardai confuso, non capii a cosa si riferisse.
"Perché non ti sei preso anche tu il pupazzo che volevi?"
Gli chiesi raggiungendolo.
"Non avevo abbastanza soldi."
Mi spiegò.
"No, dai, sei serio?!"
Mi lamentai.
"Torniamo indietro e chiediamo se si può cambiare."
Dissi, ma lui mi fermò.
"Sei felice del fatto che ti abbia comprato questo peluche?"
Mi chiese indicandolo.
"Ma..."
Feci per ribattere, ma me lo impedì.
"Sì o no?"
Chiese.
"Sì."
Risposi.
"Questo mi basta."

"Pronti a spaccare?"
Ci chiese Enrico mentre eravamo intenti a controllare il funzionamento delle cuffie.
"Prontissimi."
Risposi per entrambi. Io e il biondo ci scambiammo uno sguardo, per poi annuire e fare la nostra entrata in scena.
"Buonasera Milano!"
Esclamò il biondo.
"Pronti a divertirvi?"
Chiese ricevendo un urlo d'apprezzamento dai fan. Sorrisi. Iniziammo con 'Adrenalina', dove, al punto in cui dice 'Y lo importante està a dos metros de mi, A dos metros de mi', Federico prese a guardarmi ed indicarmi. Proseguimmo con 'Tempo di cambiare' e, successivamente, con 'Lettera'.

'Vorrei inventare parole per scrivere

la luce della luna quando ti illumina'

Si voltò nella mia direzione, indicando la luna e poi me.

'Vorrei trovare una frase, una lettera

solo per ricordati quanto sei unica'

Prese ad avanzare verso di me.

'E dedicare il tuo sorriso alle stelle e poi

fermare il tempo e ritrovarci soltanto noi'

Indicò nuovamente il cielo e poi ancora me. Lo guardai confuso, non capivo davvero che cosa stesse facendo, era strano, diverso dal solito... Non era da lui.

'Come l'ultima volta sparire in un sogno sai

vorrei che non ti importasse degli altri

e vorrei convincerti che l'amore è semplice'

Quelle parole erano state scritte da me, ma sembrava come se dette da lui avessero un senso, come se diventassero un messaggio per me.

'Vorrei che il sole fosse ancora più grande perché

forse non basta tutto per regalarlo a te

e dedicare il tuo sorriso alle nuvole

che ci nascondono e restiamo soltanto noi'

Eravamo l'uno di fronte all'altro, pochi centimetri ci dividevano e un sorriso si fece strada sul suo viso. Dopo quella passammo a 'Lunedì', seguita da 'Tutta d'un fiato', eseguita con ancora Federico che si comportava in modo strano.

'La vita è tutta d'un fiato

è il tempo sprecato

l'amore infinito che provo per Ben'

Cantò, modificando il 'te' in 'Ben', scaturendo, così, un boato d'apprezzamento. Sorrise divertito, seguito da me.

'La vita è tutta d'un fiato

vestito sbagliato, è il cielo stellato stanotte con te, stanotte con te'

Cantò ancora, inginocchiandosi davanti a me.

'Dicono di noi che siam satelliti impazziti

alla ricerca di un pianeta nuovo, per ricominciare

e coltivare i sogni che, sono svaniti e son rimasti

intrappolati in mille pagine, pronti per rinascere e...

non cambiamo mai

noi... non cambiamo mai

ma ci basta poco per riprenderci quello che è nostro'

L'ultima frase la pronunciò portandomi un braccio attorno al collo. Sembrava mandarmi dei messaggi, non faceva altro che cercare contatto fisico o visivo, non solo durante il concerto, ma durante tutto il giorno. Francamente non ci diedi molto peso, anche perché non mi dispiaceva poi tanto, però era strano, lui non esagerava così tanto. Continuava ad abbracciarmi, a lanciarmi sguardi, a sorridermi in modo provocante e a sfiorarmi e toccarmi.
" 'Fede, dai un bacio...' "
Iniziò a leggere uno dei cartelloni che spuntavano in mezzo al pubblico.
"Potresti alzarlo un po'? Non riesco a leggerlo bene."
Chiese gentilmente.
" 'Fede, dai un bacio a Ben.' "
Lesse. Un altro urlo si levò dalla folla.
"Certo che te li vai a cercare."
Dissi sorridendo divertito.
"Sulla guancia, vero?"
Chiese al pubblico.
"Che c'è, vuoi darmelo sulle labbra?"
Chiesi provocandolo.
"Magari."
Stette al gioco.
"Proposta allettante, ma non mi sembra il caso ora."
Convenne indicando la folla in delirio.
"Dovrò accontentarmi della tua guancia."
Si arrese con fare avvilito. Scossi la testa divertito, andandogli incontro. Si avvicinò a me e mi stampò un dolce bacio sulla guancia, mandando in estasi le fan.
"Se vuoi, più tardi, possiamo rivedere la tua proposta."
Mi sussurrò all'orecchio, per poi allontanarsi quel tanto da osservare le mie labbra, torturandosi il suo labbro inferiore. Okay, era ufficiale, Federico era impazzito.

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