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Capitolo 18

Eravamo quasi arrivati e, francamente, mi stavo sentendo male. Più volte, durante il tragitto, avevo avuto l'impulso di aprire lo sportello della macchina e buttarmi giù, ma, puntualmente, Federico poggiava la sua mano sul mio ginocchio, come se, in un qualche modo, capisse cosa mi stesse passando nella mente in quel frangente e volesse rassicurarmi. Da fuori il finestrino, iniziavo già ad intravedere la casa e un nodo mi si formò in gola. Come promesso, Alex era fuori ad aspettarci, vestito di tutto punto.
"Siete arrivati!"
Esclamò, per poi squadrarci una volta che fummo scesi dall'auto. Federico mi diede un colpo sul braccio, attirando l'attenzione mia e di mio fratello.
"Avevi detto che non era una cosa formale."
Mi rimproverò.
"Alex è vestito in quel modo, solo perché ha appena finito di lavorare."
Il moro di fronte a noi sorrise con sguardo basso.
"Tu lavori?"
Gli chiese il biondo, quasi scioccato.
"Ovviamente."
Rispose.
"E che lavoro fai?"
Chiese curioso.
"Lavoro nell'impresa di famiglia."
Rispose con ovvietà.
"La tramandiamo di generazione in generazione."
Spiegò.
"Quindi anche Ben dovrebbe lavorarci."
Ipotizzò riportando il suo sguardo su di me.
"No, per due motivi."
Iniziai.
"Uno, non voglio, due..."
Stavo per concludere, ma qualcuno finì la frase per me.
"Data la sua fama di serial killer, potrebbe farmi morire anche l'azienda."
Disse tra il serio e lo scherzoso mio padre. 'Iniziamo.' pensai.
"Ciao papà."
Lo salutò sorridente Alex.
"Hai visto chi ti ha portato Ben?"
Chiese mostrando il biondo al mio fianco. Mio padre posò lo sguardo su Federico e lo squadrò dalla testa ai piedi, per poi sorridere.
"Entrate, la famiglia è impaziente di vedervi."
Ci incoraggiò con sorriso falso.

"Guardate un po' chi si è degnato di farci visita?"
Esordì mio padre quando facemmo il nostro ingresso nell'immenso soggiorno. Appena tutti si voltarono verso di noi... Verso di me, i sorrisi presenti sui loro volti, scomparvero in un nano secondo.
"Alex!"
Esclamò una nostra zia.
"Da quanto tempo!"
Esclamò ancora, avvicinandosi a lui.
"Sei sempre più bello."
Constatò la donna, guadagnandosi un sorriso da parte del ragazzo. Ero sempre stato convinto che avesse un debole per mio fratello, beh, come darle torto, era comunque un bellissimo ragazzo.
"E lui è un tuo amico?"
Chiese ancora la donna, sorridendo a Federico.
"No... È un amico di Benjamin."
La informò mio padre con un sorrisetto, come a dire 'Lui ha un amico, vi rendete conto?! Ahahah.'. Eravamo lì da neanche cinque minuti e già la situazione non era delle migliori.
"Mi chiamo Federico."
Sorrise cordiale. La donna gli rivolse un sorriso tirato.
"Da quanto siete amici?"
Chiese mio zio.
"Da due anni."
Rispose il biondo.
"E ancora non te ne sei andato?!"
Rise l'uomo.
"Perché dovrei?"
Rispose tranquillo. Il mio sguardo si ripose velocemente sul ragazzo accanto a me.
"Potrei fare la stessa domanda a Ben."
Disse guardandomi.
"Non è facile sopportarmi."
Disse ridacchiando, seguito da Alex. Io ancora non avevo proferito parola e, francamente, non avevo nulla da dire ai presenti.
"Federico, che ne dici di vedere un po' la casa?"
Propose mio padre. Il biondo annuì sorridendo.

Ci spostammo tutti insieme, in massa, cosa che avevamo sempre fatto. Se si allontanava uno, gli altri si allontanavano con lui, sinceramente non ne avevo mai capito il senso.
"Questo è il giardino."
Enunciò mio padre.
"È immenso."
Constatò il biondo. Sorrisi divertito per la sua espressione buffa.
"È questa è solo una parte."
Lo informò mia zia.
"Wow, sono davvero sen..."
Non ebbe il tempo di finire la frase. Eravamo su un rialzamento e quell'idiota stava per cadere, facendo un bel ruzzolone, ma, fortunatamente, lo afferrai prontamente.
"Fai attenzione."
Lo rimproverai.
"Sì, scusa..."
Disse timidamente.
"Lo sai che mi dà fastidio quando ti scusi."
Gli ricordai alzando gli occhi al cielo.
"Scu... Okay, sto zitto."
Si arrese. Tutto ciò successe davanti agli occhi di tutti i presenti che furono sorpresi dal mio atteggiamento nei suoi confronti, ma quello era niente.
"Sono stupende!"
Esclamò alla vista delle margherite presenti.
"Ti piacciono le margherite?"
Chiese Alex.
"Ti facevo più tipo da rose, come Ben."
Confessò.
"Le trova banali."
Li informai guardandolo.
"Potrei farvi una domanda?"
Richiamò la nostra attenzione il biondo.
"Mi avete mostrato ogni angolo di questa casa, ma mi sembra che la camera di Ben non mi sia stata mostrata."
Constatò.
"Ho creduto che Benjamin non volesse mostrartela."
Si giustificò mio padre.
"Perché no?"
Dissi ricambiando lo sguardo che mi stava lanciando l'uomo.
"Non ho segreti con lui."
Lo informai.
"Bene, allora andiamo."

Spalancò la porta della stanza, rivelando quella che era stata lo sfondo del mio inferno.
"È così come l'aveva lasciata."
Informò i presenti. Federico fu il primo ad entrare e ad ispezionarla con i suoi occhioni. Ero preoccupato per una sua qualsiasi reazione. Il vetro della finestra era rotto, sul pavimento erano presenti chiazze di sangue secco, il disordine regnava sovrano e sul muro c'erano delle crepe, provocate da me.
"Non ci credo..."
Disse quasi in un sussurro. Ecco, lo sapevo, era già arrivato il momento in cui sarebbe esploso.
"Tu hai letto davvero tutti questi libri?"
Mi chiese avvicinandosi alla libreria e afferrando 'Cime tempestose', lasciando tutti di stucco, compresi me e Alex che ci scambiammo un'occhiata.
"No, non ci credo che tu abbia davvero letto libri del genere."
Disse sfogliandolo.
"Cosa vorresti insinuare?"
Dissi avvicinandomi a lui.
"Ho sempre tenuto molto alle mie conoscenze."
Lo informai, levandogli il libro dalle mani e dandoglielo in testa, per poi riporlo al suo posto.
"È l'unica cosa che ti colpisce qui dentro?"
Chiese mio padre.
"Le pare poco?! No, dico, ma l'ha visto?!"
Prese a scherzare il biondo.
"Oggi sei in vena di complimenti, a quanto vedo."
Constatai ironico.
"Lo sai che ti voglio bene."
Disse serio. Quelle semplici parole, furono la causa delle espressioni di sorpresa presenti su tutti i miei parenti, meno Alex, lui era abituato a quelle scene, ormai.
"A volte ne dubito."
Lo incalzai.
"Non devi, è la verità."
Disse tranquillo il biondo, sfogliando un altro dei miei libri. Sorrisi.

"Buon appetito."
Ci augurò il padrone di casa. Ovviamente il menù era completo, degno di un ristorante d'alta cucina. Vedevo il biondo, seduto accanto a me, ovviamente, buttare qualche occhiata verso il mio piatto,così da imitare quello che facevo io.
"Puoi mangiare come fai di solito."
Lo rassicurai.
"Ma..."
Lo interruppi.
"Ti preferisco quando sei te stesso."
Ammisi, attirando l'attenzione dei presenti, ancora una volta.
"Ovvero quando mi imbratto tutto, manco fossi un bambino di cinque anni?!"
Scoppiai a ridere.
"Sei tenero."
Lo giustificai.
"Meglio che non parlo."
Risi ancora. Manco l'avessi predetto: nell'esatto momento in cui iniziò a mangiare come suo solito, si sporcò naso, mento e gli angoli della bocca.
"Pulisciti, maiale."
Lo presi in giro.
"Grazie, mucca."
Mi chiamava spesso così, diceva che masticavo tanto, proprio come una mucca.
"Ben, poi mi devi inviare le date e i luoghi dei concerti, così posso venirti a trovare, come con gli instore."
Annuii.
"Certo."
Sentii il biondo sbuffare.
"Ti sto così antipatico?"
Chiese il moro a Federico.
"Non mi pare tu abbia fatto molto per starmi simpatico."
Constatò.
"Touché."
Ridacchiò Alex.
"Concerti?"
Chiese una mia cugina.
"Sì, Ben e il biondino sono un duo musicale piuttosto apprezzato e conosciuto."
Informò Alex i presenti per noi.
"Ben suona, il biondo canta."
Spiegò.
"Mi chiamo Federico."
Gli ricordò il ragazzo accanto a me.
"Addirittura!"
Esclamò mio padre.
"Allora sei stato capace di fare qualcosa di buono nella tua inutile vita."
Constatò.
"Stai dicendo che sei orgoglioso di me?"
Lo incalzai. Scosse la testa divertito.
"Non potrei mai esserlo."
Vidi le mani di Federico trasformarsi in due pugni.
"Chi lo sarebbe?!"
Domandò divertito.
"Io e Alexander."
Lo informò.
"Io e Alexander siamo orgogliosi di lui."
Si spiegò meglio.
"Vero?"
Chiese al moro.
"Verissimo."
Confermò.
"Sono davvero orgoglioso dei traguardi che ha raggiunto."
Continuò Alex con un sorriso rivolto a me. Ricambiai il sorriso.
"Beh, bisogna dare i giusti meriti anche a lui, però."
Dissi rivolgendo la mia attenzione al biondo che mi guardò confuso.
"Ce l'ho fatta grazie a te."
Confessai.
"Ovviamente."
Parlò mio padre.
"Non sei mai stato in grado di fare nulla da solo."
Federico si irrigidì ancora.
"Sei sempre stato un debole, inutile, stupido ragazzino."
Le sue parole erano come acqua fredda che scivolava via, lungo il mio corpo, ma per Federico erano come pugnalate.
"Beh, io a questo debole, inutile, stupido ragazzino devo davvero tanto."
Iniziò con sguardo basso Fede, tagliando la carne.
"È vero, è uno stronzo, orgoglioso, dalle idee folli, rompiscatole, privo di tatto, non si fa problemi a dire ciò che pensa, è impulsivo, non è in grado di dire ciò che prova e, alle volte, non è nemmeno in grado di dimostrarlo, ma a me va bene così."
Ammise.
"Ben è fatto così, anch'io ho i miei difetti, tutti li abbiamo."
Concluse con un'alzata di spalle.
"Mi ha portato via mia moglie, lo sai questo?"
Disse duro mio padre. Federico lasciò cadere le posate nel piatto.
"Ma come diamine fa a dirlo come se fosse colpa sua?! Era un fottutissimo neonato! È stato il volere di un crudele destino, non certo il suo!"
Urlò quasi il biondo.
"Quale bambino vorrebbe vivere senza sua madre?!"
Lanciai un'occhiata ad Alexander, come ha dirgli 'Ecco, sta esplodendo.'.
"Non la facevo così stupido."
Constatò il biondo.
"Se sua moglie sapesse di tutto il male che ognuno di voi ha fatto a Benjamin, cosa credete che farebbe? Non vi prenderebbe a pugni uno per uno, per aver fatto soffrire il suo bambino?"
Sbottò.
"In ventitré anni... Quasi ventiquattro..."
Si corresse.
"L'unico che ha cercato il perdono di Ben e che, piano piano, lo sta ottenendo è Alexander, mentre voi non avete mosso un dito!"
Sputò con rabbia.
"Okay, Fede, meglio se andiamo via."
Dissi alzandomi e facendo alzare anche lui. Vidi mio padre scattare in piedi e venire spedito verso di noi... Verso di lui. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, mi misi tra loro.
"Non provarci nemmeno a toccarlo."
Dissi a denti stretti.
"Puoi dirmi quello che ti pare, puoi farmi del male quanto vuoi, ma prova anche solo a pensare di fare del male a lui e io..."
Rise istericamente.
"Tu cosa?!"
Lo trafissi con lo sguardo, con quegli occhi che gli ricordavano tanto la donna che lui amava ancora, dopo anni ed anni.
"Non mi sono mai ribellato, ma se provi ad avvicinarti a lui, non mi farò troppi problemi a colpirti in pieno viso."
Dissi il più minacciosamente possibile. Non ribatté, rimase lì, a guardarmi negli occhi.
"Preferisci lui alla tua famiglia?"
Mi chiese come offeso.
"Lui è l'unica famiglia di cui io ho memoria, l'unico che abbia mostrato affetto nei miei confronti, l'unico che si è preoccupato per me, l'unico che è stato premuroso con me, che mi è stato accanto, che, nonostante il mio pessimo carattere, è sempre tornato da me, perché è stato l'unico a vedere del buono in me, l'unico che ha perdonato e giustificato ogni mio errore. Lui è l'unico che non si fa alcun problema a dirmi e dimostrarmi quanto ci tiene a me."
Gli confessai.
"Ora, con permesso, leviamo il disturbo."
Dissi afferrando il biondo dal polso.
"Ciao Alex."
Salutai mio fratello.
"Ciao fratellino."
Ricambiò.

Una volta fuori, feci un sospiro di sollievo, mi sentii libero in quel momento.
"Sono un coglione!"
Esclamò il biondo al mio fianco.
"È tutta colpa mia, scusa, mi dispiace."
Disse frettolosamente.
"Colpa di cosa?"
Chiesi confuso.
"Di quello che è appena successo!"
Esclamò ovvio.
"Tu mi avevi detto di ignorarli e di starmene buono, mentre io ho fatto tutto il contrario."
Constatò. Sorrisi dolcemente.
"Ti avevo detto anche di essere te stesso e il difendermi da tutto e tutti fa parte del pacchetto."
Dissi prendendogli il viso fra le mani. Alle spalle di Federico, notai un sentiero, che non era un sentiero qualunque, ma era il sentiero verso il mio rifugio lontano da tutto e tutti.
"Tempo fa, ti dissi che ti avrei voluto portare in un posto e, visto che siamo qui, ti va di andarci?"
Gli chiesi entusiasta. Lui annuì.
"Con la macchina?"
Chiese.
"No no, a piedi."
Dissi iniziando ad avviarmi verso il sentiero.
"Ricordo ancora la strada."

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