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Sesto comandamento

"Non commettere adulterio.Rispettare il nostro corpo, arrivando a percorrere una strada che a volte è impervia e faticosa come un sentiero di montagna. Ci porta a realizzare che nella nostra vita la purezza è una conquista molto impegnativa ma possibile. Dove nell'Ecclesiastico si dice: vergognatevi a guardare la donna peccatrice... ma non l'uomo."

Raggiunsi velocemente l'unica strada impervia del paese che portava lontano dallo scempio visto. Arrivai davanti  una modesta costruzione che vi si affacciava.  Era chiusa dall'interno ma trovai la giusta motivazione per forzarne la serratura ed entrare. All'interno vi trovai l'ultima persona che credetti di ricevere... Anita.

Questa donna era sposata con un soldato mai tornato dall'ultima grande guerra. Per sopravvivere si era messa a fare la prostituta e non avendo accertato l'effettiva morte del marito era probabilmente l'unica e vera adultera di tutto il paese. Non nego che all'epoca, durante la mia innocente quanto forviata adolescenza, mi disgustava la sua presenza. Io, grande Cristiana praticamente provavo da sempre nei suoi confronti un astio inspiegabile dettato dalla mia fede in Cristo e dalle sue regole. Rimasi impietrita tanto quanto lei. Aveva gli occhi spalancati e tremava. Si era nascosta in quell'abitazione per fuggire a quella che probabilmente sarebbe stata la punizione più esemplare in assoluto. La aspettava la lapidazione.

Non ci dicemmo nulla per un tempo indefinibile, ci limitammo soltanto a fissarci negli occhi tremanti. Lei sembrava avere molto più paura di me, mi si avvicinò solamente per un atto caritatevole nei confronti di quel neonato che tenevo stretto tra le braccia e che piangeva, ma io la respinsi malamente:

-Non toccarlo, puttana!-

Fui senza dubbio molto crudele con lei. Con l'unica persona che  probabilmente avrebbe veramente voluto aiutarmi, ma non riuscii a fare altrimenti. A lei davo molte colpe di quella punizione che Dio ci aveva condannati, non riuscivo a non guardarla con schifo e odio ma non avevo scelta. Non potevo andar via da lì se volevo quanto meno provare a salvarmi. Non sapevo per quanto sarebbe durata la mia pace in quel momento ma era pur sempre l'unica soluzione possibile.

-Ti hanno seguito?- Mi disse a diversi passi da me. La sua voce era tremolante come il resto del suo corpo.

Stringeva un crocifisso e questo mi diede ancora più fastidio. Come faceva una puttana a chiedere l'aiuto di Dio? Sul momento non lo capii, non potevo capire. Ero troppo piccola e accecata da un'educazione per certi versi sbagliata. Non risposi e cercai del latte per Rafael mentre lei seguì con lo sguardo e nel silenzio totale i miei movimenti.

-Io non sono il male. Io dovevo sopravvivere e per questo davo il mio corpo.- Mi disse piangendo.

-Tu sei causa di questo male. E' anche colpa tua se Dio ci ha lasciato alla mercé del demonio!- Risposi rabbiosa.

-Quelle persone che vogliono la mia morte sono le stesse che hanno fornicato con me. Non esiste più nessuna giustizia divina in tutto questo. Dio non c'entra niente con quello che sta succedendo. Il demonio è qui perché sapeva chi avrebbe incontrato. Sono coloro che vogliono la mia morte che stanno facendo i diavoli in quello che una volta era un luogo Sacro.-

-E come te le spieghi le malattie? Ho dovuto uccidere mio padre per causa tua!-

Ricordo che piansi ancora e la gola e la bocca continuavano a bruciarmi incessantemente.

-Hai qualche infezione? - Mi chiese avvicinandosi di quale passo. -Posso controllare il problema hai se ti fai avvicinare.-

Avrei voluto respingerla e bruciarla io stessa, ma in quel momento il dolore mi paralizzò e assistetti inerme alle sue attenzioni. Mi aprì la bocca e si allontanò per poi tornare con un medicinale.

-Prendi questo sciroppo tre volte al giorno, non è niente di grave. Hai altre infezioni o sintomi? Peste? Ebola? Rabbia?-

Continuò ad elencarmi una sfilza di infezioni virali o meno che nemmeno conoscevo. Non seppi rispondere.

Capendolo mi osservò le braccia e le gambe. Afferrò uno straccio bagnato e mi ripulì dalla terra e della polvere. Rimasi in silenzio a guardarla.

Il mio odio per lei finì improvvisamente in quarantena. Avrei voluto odiarla ma non ci riuscivo. Ero combattuta con me stessa. Una parte di me l'avrebbe voluta morta e un'altra lì a prendersi cura di me e a capirla, ma un altro problema, ancora più importante nacque a breve.

Quella tregua non durò molto. Ci volle poco tempo a che ci trovassero. Una folta schiera di persone si avvicinò torce in mano. Alcuni zoppicavano ormai prossimi alla morte, ma nonostante ciò speravano ancora che con le nostre di morti sarebbero potuti guarire. Illusi! Alcuni tossivano e sputavano sangue e due di loro morirono proprio durante la marcia stessa.

Non riuscivo a capire inizialmente del perché mi odiassero così tanto o di quali colpe avevo, ma successivamente capii anche questo. Durante quei giorni era come se davanti a me avessi avuto un puzzle che poco a poco si componeva. Gli Incappucciati e i loro servitori erano tutti malati terminali, gente appestata e affetta dalle peggiori malattie virali. A noi che non avevamo contratto alcun male ci vedevano come complici del demonio e quindi dovevamo pagare. Questa era la nostra colpa, essere ancora sane.

Quella folla s'infoltiva sempre di più. Riuscii a riconoscere anche mia madre tra quella gente, era irriconoscibile. Impugnava la più alta delle torce e urlava parole indicibili. Rimasi impietrita nel vederla in quello stato.

Ero stanca di scappare ma quelle urla mi davano la forza di fuggire ancora e ancora. Anita mi afferrò per il braccio e mi trascinò fuori dall'uscita sul retro in compagnia di Rafael. In quell'occasione venni salvata da un'adultera, una sgualdrina, una peccatrice... da una donna che mi curò, lavò e mi diede ancora la speranza di vivere.

Smisi per sempre di odiarla.

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