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Secondo comandamento

"Non ti farai alcuna scultura né immagine qualsiasi di tutto quanto esiste in cielo al di sopra o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra. Non ti prostrare loro e non adorarli poiché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano. E che uso bontà fino alla millesima generazione per coloro che Mi amano e che osservano i Miei precetti."

Mi risvegliai in una casa che non era la mia e con l'odore del sangue pesto che m'inondava le narici. L'uomo che mi aveva portato via da un inferno mi conduceva inconsapevolmente in un altro ancora più cupo e pericoloso. Il suo corpo giaceva senza vita ai piedi di un mobile da letto. Era stato contagiato anche lui e la sua pelle era grigia come quella dei ratti, ma soltanto molto più maleodorante. La finestra era chiusa e una minuscola luce filtrava dalle tapparelle consumate dal tempo. Le urla disumane provenienti dall'esterno facevano a gara con la puzza per riempirne l'aria. Vomitai di getto tutta la colazione della mattina sul suo cadavere e di questo mi dispiacque moltissimo. Rimasi sgomentata da tutta quella assurda situazione, ero completamente fuori di me, come se fossi stata catapultata in una realtà parallela dalla quale non si poteva fuggire.

"Non nominare il nome di Dio invano."

Lo cercai ovunque il mio Dio: nelle preghiere, nelle speranze e negli occhi delle poche persone che incontrai. Ma lui non arrivò mai. 

Quella mattina camminai come un fantasma per il corridoio buio e desolato dell'appartamento nel quale mi trovavo. Non lo riconoscevo, non c'ero mai stata prima di allora. Avanzai un passo alla volta tenendo le braccia stese lungo il corpo. Avevo paura di toccare ogni cosa, di prendermi qualche infezione che mi avrebbe trascinato in quel vortice oscuro. Per la prima volta in vita mia ebbi paura d'impazzire, paura di morire.

Le pareti erano completamente sporche di sangue e grasso umano, mentre a terra si vedevano degli stracci usati per le futili e inutili medicazioni. Non so di preciso per quanto tempo restai a dormire e  per quanto rimasi svenuta, governata dalla troppa tensione e dall'angoscia che oramai erano le uniche certezze che avevo, per quanto poco piacevoli fossero. Non so nemmeno io per quale motivo mi trovavo lì in quel luogo, non sapevo niente di niente. 

Vidi la foto di una famiglia appoggiata sul mobile all'ingresso e pensai a mio fratello, poi a mio padre, ma sopratutto a mia madre. L'ultimo ricordo che ebbi di lei era quando allontanandomi, mi fissava con quello sguardo che non era il suo. Ebbi voglia di cercarla e nella mia incoscienza adolescenziale lo feci.

Mi avvicinai alla porta d'ingresso e le voci si appiattirono per un istante. Dal nulla riapparve quel silenzio che mi fece risvegliare da quell'incantesimo amaro e avaro di emozioni positive. Sgattaiolai all'esterno nel mutismo completo per poi ritrovarmi davanti uno scenario immondo.

Vidi persone di ogni età e ceto sociale che a un passo dalla morte fornicavano rabbiosi e sofferenti, bestemmiando senza contegno. Vomitavano sangue e bevevano vino. Mi nascosi.

Tra quelle persone riconobbi lo stesso sacerdote Coppersmith. 

"Possibile che la peste abbia contagiato il suo cervello facendolo scivolare nel peccato di un dannato? Possibile che un uomo della sua età, così impeccabile e rispettato, si fosse trasformato in un servo di Satana?" Pensai di tutto in quell'istante. 

Ricordo costantemente le bestemmie che scendevano dal cielo come se fossero lacrime, le mie. Mi allontanai in tutta fretta. Capii che non potevo più fidarmi di nessuno e mi nascosi in un fienile poco distante dalla chiesa, restando accovacciata in posizione fetale. 

"Non ti prostrare loro e non adorarli poiché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano."

In un momento di sconforto afferrai il piccone che si trovava alla mia destra. Io, io che ero saldamente cattolica non potevo rinunciare alla mia fede e finire come quei poveri disgraziati. Non potevo cedere alle lusinghe del male e prostrarmi ai piedi caprini del demonio. Non potevo e non volevo. 

Poggiai sul petto la punta arrugginita di quel ferro vecchio e chiusi gli occhi. Ero pronta a morire. Determinata nell'uccidermi pur di non vivere tutto quello strazio, quando una mano sbucata dal nulla intervenne salda e prontamente mi bloccò. 

Aprii gli occhi e vidi Chester Forgrays, il fabbro del paese, assieme i suoi due figli. L'uomo mi tolse il piccone dalle mani e mi disse di rimanere in silenzio. Così feci.

William, il più piccolo dei suoi figli, stava sdraiato a terra e non sembrava star bene per niente. Aveva la febbre altissima ed era deposto sulla sua stessa diarrea. Lamentava un lancinante mal di testa e aveva eruzioni cutanee su tutto il corpo. Fissai suo padre e senza che chiedessi nulla mi rispose da solo:

-Tifo.-

L'uomo aveva gli occhi lucidi ma non pianse. Oltre alla peste e a una forma di mattanza generale, sembrava che anche questa febbre tifoide si fosse unita al male. Erano appena passate poche ore da quell'incubo e i problemi si triplicarono in pochi attimi. 

Che colpe avevamo per esser incappati in tutto quell'orrore? Qual'era stato il nostro errore?

"...Uso bontà fino alla millesima generazione per coloro che Mi amano e che osservano i Miei precetti."

Continuai a pregare...

Continuai a sperare.




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