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Quinto comandamento

"Non uccidere. Da considerare c'è anche l'assassinio dello spirito che avviene quando si uccide la propria anima  o quella del prossimo con la colpa mortale che estingue la grazia di Dio. Colui che avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non avrà remissione in eterno, ma sarà reo di peccato eterno."

Quel pargolo mi ridiede la voglia di credere. Di sperare in quello che sarebbe stato un nuovo inizio. Aveva poco più di tre o quattro mesi di vita, e lo ribattezzai Rafael come l'angelo che voleva salvarlo e si sacrificò per lui. 

Cosciente seppur giovane che sarei andata incontro a maggiori difficoltà nel prendermi cura di lui, non potei fare a meno che tenerlo con me. Rappresentava troppe cose, troppe emozioni e speranze di un futuro diverso. Aveva bisogno lui di me quanto io di lui.

Quell'infezione nel frattempo mi aveva anche raggiunto alla gola. Andavo in fiamme come la stessa Barmouth. 

Roghi vennero appiccati in ogni dove. Un odore misto di carne e plastica mi entrava nelle narici togliendomi il respiro. Molti furono i processi sommari che vennero effettuati. Inizialmente si bruciarono gli omosessuali, i ladri e le prostitute, colpevoli di aver portato il peccato nel paese. Poi toccò ai preti stessi, colpevoli di non essere più amati dal loro stesso Dio che tanto pregavano. Quindi fu la volta dei senzatetto, dei clandestini e degli adulteri e adultere, dei non cattolici e di chi secondo loro, se la "faceva" con il demonio.

Nacque in brevissimo tempo una vera e propria fobia sociale, una paura persuasiva e pervasiva nel trovare costantemente colpevoli e creatori di abomini quando, nella realtà dei fatti, lo erano loro stessi. 

Si formò il gruppo degli incappucciati: fanatici assassini convinti di compiere doveri in nome di Dio. Non si seppe mai molto di loro, né chi fossero e quanti. Bastava un niente per finire sulla forca o nei roghi che divoravano Barmouth, quel paese che fino ad allora era sempre stato visto come un Paradiso celeste. 

Fu la fine.

Gli omicidi crebbero a dismisura e quel "Non uccidere", suonò come un "Uccidi in nome di Cristo."

Giovane e insicura com'ero, non seppi nemmeno come comportarti con Rafael. Per me era diventato l'unica priorità, l'unico mio pensiero. Nella mia incoscienza lo vedevo come colui che ci avrebbe salvati. Così piccolo e puro, immune dai peccati e così innocente da non capire che l'inferno era intorno a noi e in quale caos fossimo stati catapultati.

Mi preoccupai di allattarlo con il poco latte che trovai durante le sconfinate ricerche di cibo, non sapevo nemmeno se sarebbe sopravvissuto e quanto sarei riuscita ancora a prendermi cura di lui, ma un giorno lo capii.

Due Incappucciati scoprirono per puro caso dove ci nascondevamo e me li ritrovai davanti. Rimasero in silenzio per un lunghissimo attimo, dove nessuno disse nulla. Istintivamente uno dei due corse fuori e capii immediatamente che stava andando a chiamare la folla, visto che altri due sacrifici sarebbero presto stati fatti... Non aspettai né il coraggio né la forza. Afferrai il coltello che si trovava sul tavolo e mi lanciai contro l'Incappucciato di guardia. Gli sventrai lo stomaco con violenza e urlando come un'ossessa. Morì all'istante in uno straziante gemito di sofferenza. Ebbi il viso e il corpo coperti dal suo sangue e l'unica cosa che mi venne da fare fu quella di levargli il cappuccio. 

Era mio padre. Colui che mi aveva generato e che allo stesso tempo mi avrebbe uccisa.

Aveva la faccia piena di bubboni neri e gli occhi opachi. Non credo sarebbe vissuto lo stesso per molto tempo ancora e l'ultima espressione che spese per me fu di odio, un odio generato da quel male che lo aveva divorato ignorando la sua fede e l'amore per sua figlia.

"Puttana!" Mi disse l'istante prima di morire.

Piansi ancora ma non c'era molto tempo per farlo. Afferrai il bambino e scappai il più lontano possibile. Le gambe mi facevano male e la fame e sete iniziarono a farsi sentire. Corsi così forte fino al sentirmi la polvere della strada in bocca. I polmoni mi scoppiavano e quello che vedevo era soltanto morte, distruzione e alte fiamme con nuvole di fumo che oscuravano il cielo.

Avevo infranto due comandamenti, probabilmente i più importanti: avevo ucciso, mio padre tra l'altro. Oramai vivevo nel peccato, mi aspettavo che il mio corpo sarebbe presto stato invaso da chissà quali malattie e maledizioni. Fu allora che per la prima volta vidi sul tetto della chiesa in fiamme una figura nera dall'aspetto indecifrabile che seguiva i miei spostamenti con i suoi occhi rossi. Capii da subito che fosse lui il responsabile generale di quella mattanza e difatti non mi sbagliavo. Ormai affondata nel maligno non vidi più angeli, ma demoni. Ero esattamente al loro pari, adesso. Ero una maledetta come loro.

Piangevo e correvo, pregavo e mi dannavo per l'orrore che ero stata costretta a commettere per salvarmi la vita, ma sopratutto per salvare quella di Rafael. La morte vagava costantemente al mio fianco, la paura mi schiacciava e la mia anima l'avevo venduta a Satana. Nonostante questo non mi arresi e continuai a credere che Dio, prima o poi, mi avrebbe ascoltata e perdonata.

"Allora la tua luce spunterà come l'aurora e le tue ferite ben presto guariranno; la tua giustizia ti camminerà davanti  e dietro la gloria del Signore. Allora se chiami, il Signore risponderà, e alle tue grida egli dirà: Eccomi!"

Ero nel giusto, ma scivolai nel peccato.



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