PARTE II - Capitolo 4: Il buio
Alice, con la testa appoggiata al finestrino lasciava il suo sguardo perdersi nel panorana, che scorreva via veloce, senza realmente guardarlo.
I suoi occhi erano gonfi e colmi di lacrime.
Con le unghie (o meglio, con quanto ne rimaneva), la donna si torturava nervosamente le dita.
Il suo respiro era affannoso.
Perché? continuava a ripetersi incredula.
Tutto si sarebbe aspettata, ma non quello.
Non da lui... la persona che diceva di amarla, il padre di suo figlio, l'uomo con cui anche quella mattina aveva fatto l'amore.
Come hai potuto? si domandava delusa, mortificata, tradita.
In un attimo il suo cuore si era rotto, finendo in talmente tanti pezzi da non potersi più ricomporre.
«Aly... ti prego guardami» insisteva Bryan, guidando con una mano, e provando a farla voltare verso di lui, con l'altra.
Non dovevo... si rimproverava disperato l'editore.
«Aly ti amo. Ti giuro, io...» disse il quarantenne con voce tremante e fatto un profondo respiro, voleva provare a spiegare come fossero andate le cose, quando la donna lo gelò.
Singhiozzante, in maniera appena udibile, infatti gli disse: «Tu non sai... cosa sia l'amore».
Vedendo una piccola piazzola l'uomo accostò, e spento il motore, senza aprir bocca, scese dalla macchina, mentre Alice (emotivamente annientata), lasciò finalmente libero sfogo alle lacrime.
Tesoro, guarda chi c'è... con quelle parole sua madre aveva accolto lui e la moglie al loro arrivo a "Villa Neri".
Il più grande errore della mia vita così, Bryan avrebbe voluto definire quell'avvenente donna, in piedi accanto alla tavola apparecchiata di tutto punto, alla consorte. Limitandosi ad un sorriso di circostanza, invece... tacque.
Lo sportello del lato passeggeri si aprì all'improvviso e incurante dell'indifferenza della moglie, l'imprenditore poggiandosi alla fiancata del suv, cominciò a raccontare.
«Quando ho conosciuto Vanessa, eravamo soltanto due ragazzini. Lei è stata il mio primo tutto...»
ammetterlo risvegliò nell'uomo teneri ricordi, perciò un timido sorrido disegnò le sue labbra.
Pur essendo al corrente di tali dettagli, in quel momento, quelle parole, per Alice furono l'ennesima pugnalata. Rassegnata, tuttavia sorrise amaramente, in fondo niente l'avrebbe più potuta uccidere, perché i frammenti del suo cuore erano rimasti sul pavimento di una casa dove nessuno l'aveva mai accolta né accettata.
«Dopo la morte di mio padre. Investito da enormi reponsabilità, necessitavo di una persona al mio fianco, perciò le chiesi di sposarmi» il quarantenne smise di parlare ed estrasse dalla tasca del cappotto un pacchetto di sigarette.
In vita sua Bryan fumava solo per tre occasioni: quando doveva sopportare lunghe attese,
dopo un rapporto intimo,
e se era nervoso, trasformando così quel "veleno" in una valvola di sfogo.
In quel frangente non esistevano dubbi sulla ragione per cui avvertisse tale bisogno.
«In pochi mesi Vanessa e mia madre organizzarono il matrimonio e a maggio di quindici anni fa ci sposammo» dicendolo, si voltò verso Alice.
«Questo già lo sapevo!» bisbigliò lei, senza guardarlo e sospirando profondamente mormorò: «Dimmi solo perché? Credevo fossimo felici».
«Ho fatto una cazzata, la più grossa che avessi mai potuto fare. Da quando è successo, non è trascorso un solo giorno senza che io non me ne sia pentito Tu sei la donna che amo. Con te voglio passare il resto della mia vita e... tutti dovevano saperlo» a quel punto il tremulo sussurro dell'uomo venne interrotto.
«Quindi... fammi capire! Tu mi hai chiesto di sposarti solo per lenire i tuoi sensi di colpa?» chiese ansimante la trentenne, stringendo il vestito proprio laddove la stoffa le fasciava la pancia.
«Che succede? Ti fa male?» domandò all'istante lui preoccupato da quel gesto.
La scrittrice scosse il capo negativamente e istintivamente quanto sgarbatamente, allontanò da sé il marito, immediatamente chinatosi su di lei.
Con, ancora inforcati sul naso, quegli occhialetti dalla montatura squadrata (capaci di conferirgli un'aspetto da professorino) che a causa di una leggera presbiopia, da qualche mese era stato (suo malgrado) costretto ad indossare per leggere, e le maniche della camicia arrotolate fino al gomito, Bryan cercava di mostrarsi autoritario: «Non sto scherzando, Alice! Adesso a parlare non è tuo marito... ma il tuo editore. La prossima settimana, voglio sulla mia scrivania la bozza del nuovo capitolo. Intesi!». Chissà perché, Alice ricordò quell'avvenimento. Pur essendo accaduto solo la mattina precedente, adesso... quanto ingenuamente avrebbe definto uno squarcio di normale quotidianità, le sembrava lontano anni luce. Tutta la sua vita, davanti ai fatti scoperti poche ore prima, improvvisamente le appariva finta, come se la sua realtà di reale non avesse nulla.
In questi anni la mia esistenza è stata solo un'enorme bugia e io un'inconsapevole marionetta, nelle mani di chi diceva di amarmi. Lui è si divertito a tirare i fili (a cui nemmeno sapevo di essere appesa), solo per il suo piacere, infischiandosene di calpestare i miei sentimenti, anzi... giocandoci. La donna si sentì soffocare.
Le mancava l'aria.
Il suo muscolo cardiaco non era morto... al contrario, non poteva essere più vivo di così: le martellava dentro al petto, quasi volesse sfondarle la cassa toracica.
Un'improvviso senso di nausea la investì, mentre
la vista le si appannò.
In preda ad un conato di vomito si alzò dal sedile, scattando (per quanto le fosse possibile in simili condizioni) fuori dall'abitacolo, ma il movimento rapido e repentino la fece barcollare.
Il mondo attorno a lei stava girando come una trottola. I suoni divennero sempre più ovattati, fino a scomparire. Chiuse allora gli occhi, strizzando con forza le palpebre.
Bryan, l'afferrò al volo e inebriandosi del suo profumo la strinse a sé, evitandole di franare rovinosamente a terra.
«Adesso ti porto in ospedale» disse l'imprenditore adagiandola con delicatezza sopra al sedile dell'auto. Forse per la prima volta in vita sua, l'uomo conobbe la paura. Una paura folle, assoluta, capace di fargli tremare l'anima oltre alle mani. L'idea di poter perdere Alice, il bambino o peggio ancora... entrambi, lo terrorizzava. Quindi, sconvolto e col cuore in gola, l'editore si mise al volante.
Signore ti prego fa che non succeda niente né a lei né a nostro figlio. Ti prego... non prenderti la mia famiglia destreggiandosi nel traffico cittadino, con un'abiltà degna del miglior Schumacher, il quarantenne, sopraffatto dai sensdi colpa, si ritrovò a pregare come non faceva da tempo.
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