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Capitolo 7. Amici

Non penso affatto quello che ti ho detto
Forse ero un po' storto
Forse ero solo un po' fuori di me
E, ti chiedo scusa ma non chiedo scusa
Ti vedo confusa
Ma io sono più confuso di te

**

«Penso che dovremmo uscire insieme».

Un mese che non ci vediamo e queste sono le prime parole che Daniel Ricciardo mi dice non appena entra nel mio studio. È il primo martedì di settembre e si sa, settembre è un po' come gennaio. Ci diciamo spesso durante l'estate che da settembre tutto sarà diverso ed è la stessa cosa che ho fatto anch'io! Agosto è stato lungo, lunghissimo e mi ha dato la possibilità di riflettere. Sono successe moltissime cose, ho raggiunto nuove consapevolezze ed ero sicura, anzi sicurissima, che la fase "Daniel" fosse passata. Invece...

Lo guardo aggrottando la fronte, mentre prendo il mio taccuino e la tazza nella quale dev'esserci della tisana allo zenzero ormai fredda, andandomi a sedere sulla poltrona. Daniel è già di fronte a me, con le dita delle mani intrecciate tra di loro e i gomiti appoggiati ai braccioli. Sembra in attesa, come se non dovesse darmi una spiegazione su ciò che mi ha proposto pocanzi. Rimaniamo a guardarci in silenzio, ad osservarci, come a voler capire se qualcosa è cambiato nell'ultimo mese. Di Daniel è cambiato solo il colorito: la sua pelle è ancora più ambrata, il sorriso però è lo stesso. Forse sono un po' più lunghi anche i capelli, quindi i suoi ricci perfetti risultano più morbidi.

«Come sono andate le vacanze?» chiedo. Lui fa una smorfia, scuotendo la testa.

«Grace, non ignorare ciò che ti ho detto».

«Ciò che mi ha detto, Daniel?» chiedo a mia volta, marcando il fatto che io gli sto dando del lei.

«Ci ho pensato molto», esordisce. «Ho passato tutto agosto a pensare. Ho pensato prima a come fare a smettere di pensarti, poi mi sono reso conto che non ci sarei mai riuscito. Allora mi sono detto che dovevo provarci...quindi, usciamo insieme, Grace». Rimango in silenzio, la penna stretta nel pugno della mano a tal punto che le nocche mi diventano bianche. Ci stiamo ancora guardando, adesso entrambi con il respiro più pesante, accelerato.

«No», dico.

«Perché sono un tuo paziente, esatto?»

«Esatto».

«Io credo che possiamo tenere le due cose separate».

«Io no», dico secca. «Cambia psicologo, poi chiedimi di uscire», azzardo, come se fosse effettivamente semplice. Come se non avessi un bagaglio emotivo enorme sulle spalle, un ex che non smette di chiedermi scusa per quello che ha fatto, e la costante sensazione di star sbagliando tutto nella vita.

«Io voglio sia la dottoressa Turner che Grace, le voglio entrambi. Ne ho bisogno!» fa sapere, serrando la mascella e contraendo un nervo.

«Ma io non sono due persone diverse, Daniel», sussurro. «Sono semplicemente Grace, e proprio come te, anch'io ho bisogno di molte cose. Alcune volte, le cose di cui abbiamo bisogno non sono tutte compatibili e non le possiamo avere insieme». Questa volta è Daniel a rimanere in silenzio, abbassando la testa sulle sue mani ancora intrecciate. «Non credo comunque che sia il momento giusto per questo. Per me e te, fuori da questo studio, oltre ciò che siamo: una psicologa e il suo paziente».

«Mi stai dicendo che non senti la tensione che c'è tra di noi? Quella cazzo di tensione che c'è dalla prima volta che ci siamo incontrati? Mi sto forse inventando tutto?» Sussulto, spalancando gli occhi. Lo sguardo di Daniel, non appena lui rialza la testa, mi inchioda dove sono.

«Non ho detto questo», ammetto. «Ho detto che non è il momento giusto. Io...sono un casino e ammettiamolo, anche tu sei un casino. Insieme siamo un attentato, una cazzo di esplosione in una metropolitana all'ora di punta». Scuoto la testa, con un sorriso leggero sulle labbra. «Se hai bisogno della tua psicologa, io sono qui. Ma posso essere solo questo per te. Per ora». Daniel annuisce, ma lo vedo che non è convinto. Comunque, non insiste. Perché non lo fa? Dannazione!

«Le mie vacanze sono andate bene...tutto sommato. Mi serviva una pausa, ma al tempo stesso ho cercato di rimanere allenato, ho corso molto. Soprattutto in spiaggia, all'alba. L'ho fatto sia quando sono andato a Los Angeles con i miei amici che quando sono tornato a casa dai miei. Stare in famiglia mi ha fatto bene, mi mancavano molto i miei, soprattutto mia sorella. Abbiamo un rapporto speciale io e lei, sa sempre come tirarmi su il morale. Non le interessa sapere cosa non va, le basta vedermi e...fa di tutto per farmi stare meglio». Il fatto che il suo atteggiamento sia cambiato in un secondo mi destabilizza, ma cerco di riprendermi all'istante, scrivendo alcuni appunti.

«Come si chiama sua sorella?»

«Michelle», risponde Daniel. «Ha un paio d'anni più di me, quindi siamo cresciuti insieme. Siamo sempre stati molto uniti. Nei momenti più difficili della mia vita ho potuto contare su di lei, ma ora siamo lontani e...insomma, lei ha una famiglia, è madre».

«Oltre a Michelle, c'è qualche altra persona che riesce a risollevarle il morale se si sente giù?»

«Diciamo che finisco per essere io quello che risolleva il morale agli altri», ammette, alzando le spalle.

«Già...» mi lascio sfuggire, mordendomi subito dopo il labbro. Lui però se ne rende conto, quindi inarca un sopracciglio, guardandomi curioso. Mi schiarisco la voce, drizzandomi sulla schiena. «Credo che lei sia una di quelle persone che ama far star bene gli altri, che pur di far star bene gli altri, finisce per trascurare se stesso».

«Ha ragione», dice, «è più forte di me».

«Ma lo fa anche per nascondersi. Non vuole mostrarsi debole, ma le debolezze ci rendono umani. Non metta tutto dentro ad un sorriso finto, che sia una volta su dieci. Una sola».

«È lei la mia volta su dieci».

«Io mi sto riferendo a qualcuno dei suoi amici, Daniel. Mi ha parlato dei suoi amici, ne ha molti. Sono sicura che qualcuno lo starà a sentire e non solo...credo che cercherà di sollevarle il morale, proprio come fa lei con loro».

«Forse dovremmo essere amici noi due». Rido sentendo le sue parole. Io e Daniel Ricciardo amici? Non credo che potrebbe funzionare. Perché? Beh...

«E la tensione che c'è tra di noi?» lo sfido.

«Non ho specificato che tipo di amici essere». Il suo sorriso beffardo mi fa scuotere la testa. «Comunque sì, ho degli amici, non molti come crede. La maggior parte non sono amici, sono solo conoscenti. Gli amici, quelli per cui darei pure il pollice della mano destra, e badi bene, il pollice della mano destra, così come quello della mano sinistra, è indispensabile per un pilota, sono davvero pochi».

«La penso come lei», ammetto. «Oddio forse non darei il mio pollice destro per Naomi e Michael, ma sì...insomma, farei di tutto per loro», aggiungo, pensando ai miei due migliori amici. Durante l'ultimo mese mi sono stati vicini più che mai, mi hanno ascoltata e consolata. Se non sono completamente crollata è soprattutto grazie a loro.

«Certo, Naomi e Michael...era insieme a loro quella volta al ristorante», ricorda Daniel, facendomi annuire. «Siete amici da tanto?»

«Perché non mi parla dei suoi amici, intendo quelli per cui darebbe il pollice destro», dico invece io, cercando subito di rispostare l'attenzione su di lui.

«D'accordo...ehm...ecco, viaggiare molto mi ha portato a vedere raramente i miei amici di lunga data, e sicuramente non getterai addosso a loro i miei problemi. Quando ci si vede dopo un po', si parla di tutto ma alla fine si parla del niente», esordisce e mi trovo d'accordo con lui. Lo faccio intendere con un accenno. «Ho sempre avuto un buon rapporto con Max, Max Verstappen. Abbiamo corso insieme per un po', quando ero in Red Bull. All'inizio pensavo che quel ragazzino scontroso non avrebbe fatto niente per farmi almeno provare ad avvicinarmi. Alla fine si è rivelato come tutti i ragazzini scontrosi, ai quali è stato insegnato di non mostrare le proprie emozioni per paura di apparire deboli. Prima è crollato lui, poi sono crollato io. C'era un mondo enorme dietro alla compostezza che definisce Max Verstappen. Ha visto in me qualcuno a cui potersi aggrappare, ed io ci sono stato, mi sono pure fatto trascinare a fondo. Mi sono detto che se non l'avessi fatto io per lui, nessuno lo avrebbe fatto. Sì, credo che sia stato come farmi tranciare via il pollice destro, ma non me ne pento».

«Daniel, siamo sempre allo stesso punto: lei fa tanto per gli altri, ma cosa fanno gli altri per lei? Ha detto che prima è crollato Max, poi lei. Quando l'ha fatto? Perché l'ha fatto? E soprattutto come ha reagito Max?» Daniel rimane per un po' in silenzio, forse per raccogliere le idee.

«Quando ho capito che il mio team non voleva più investire prima su di me, ma su di lui. Lo vedevano come una grande promessa, "un fuoriclasse della sua generazione". Ed io ero praticamente finito. Max aveva diciotto anni, io ormai mi avvicinavo ai trenta e concretamente non ero nemmeno ad un centesimo di ciò che avrei voluto essere. Ricordo che era una domenica, avevamo corso da qualche parte fuori Europa. Io avevo fatto una buona gara, lui no, eppure ero io quello prossimo alla scadenza. Ero deluso, arrabbiato, più che altro con me stesso, per aver sprecato le risorse e il tempo che mi era stato offerto. La notte era caldissima, si faceva fatica a respirare per quanto faceva caldo. Non ragionavo bene dal briefing post gara e l'ultima cosa che volevo era parlare con qualcuno. Parlare con Max? Non sarebbe andata a finire bene. Eppure lui mi venne a cercare, restò per un po' in silenzio, entrambi con lo sguardo su niente in particolare. "Siamo arrabbiati l'uno con l'altro?" mi ha chiesto. "Sei arrabbiato con me?" ho chiesto allora io. Lui ha scosso la testa. "Nemmeno io, Maxie" ho detto sinceramente. Perché non lo ero, non ero arrabbiato con lui, come avrei potuto? Siamo rimasti in silenzio ancora un po', poi lui mi ha preso per la spalla e mi ha stretto forte. "Io so quanto vali, e se gli altri non l'hanno ancora capito sono proprio degli stronzi". E proprio in quel momento, dopo quelle parole, ho capito che Max avrebbe capito se io gli avessi detto ciò che mi preoccupava, che mi tormentava, perché in realtà i nostri tormenti erano simili. I tormenti di tutti noi piloti lo sono, solo che altri reggono meglio il colpo. Max è uno di quelli. Forse per altri aspetti ha bisogno di conferme, di sostegno, ma per quello che fa e come lo fa no, vuole essere lui e solo lui». Daniel fa una pausa, inumidendosi le labbra, io forse dovrei scrivere, ma non ci riesco, sono troppo presa da ciò che ha da dirmi.

«Gli ho detto tutto, siamo rimasti a parlare per quelle che potrebbero essere state ore. Forse mi sono immaginato tutto e la mia confessione è stata di una manciata di minuti soltanto. Non importa, importa che lui sia rimasto a sentire e che abbia fatto di tutto per farmi credere che fossero stronzate: quelle che pensavo io di me, quelle che pensavano tutti di me. Lui non le pensava, non le ha mai pensate». Prima che possa esprimermi, riprende a parlare. «Ultimamente invece ho legato molto con questa ragazza...» A sentire le sue parole mi irrigidisco, mentre una vampata di calore mi colpisce. Non so se Daniel lo nota, probabilmente sì, perché sorride. «Si chiama Valerie, le ho già parlato di lei».

«Sì, certo, Valerie», dico. «In realtà non mi ha detto molto di lei. Se le va di...»

«Io e Valerie siamo molto affini», fa sapere. «E credo che ci troviamo in un momento della nostra vita in cui stiamo vivendo le stesse cose. Insomma....entrambi andiamo dietro a qualcuno che forse non è la persona giusta». Rimango in silenzio e spero anche inespressiva. «Lei e il mio collega Carlos Sainz hanno una mezza cosa, ma lui è proprio un coglione. Però, insomma non voglio parlare di questo ora. Parliamo del mio rapporto con Valerie». Annuisco, incitandolo ad andare avanti. «Ci siamo conosciuti a casa di amici in comune e lì per lì non abbiamo stretto molto, ma poi siamo usciti qualche volta insieme, sempre con questi nostri amici in comune, e prima delle vacanze siamo andati nel Kent insieme. Lei era completamente a pezzi, ho fatto il possibile per farla stare meglio. Abbiamo parlato molto, Val ha fatto di tutto per farmi cedere sul discorso "vita amorosa", è pur sempre una ragazza. E io cosa le avrei potuto dire?» chiede retorico. «Che ho ascoltato i Rolling Stones insieme alla mia psicologa al tramonto e ho perso la testa per lei?» Chiudo rumorosamente il mio taccuino, alzandomi dalla poltrona velocemente.

«Il tempo non è scaduto», protesta Daniel, alzandosi a sua volta. Quando mi volto mi ritrovo praticamente tra le sue braccia, la mia fronte appoggiata alla sua e i nostri occhi gli uni negli altri.

«Credo che possa bastare per oggi», sussurro. «Ti prego», aggiungo pianissimo, sospirando. Il suo profumo mi invade, stordendomi. Lui non si muove di un centimetro, io nemmeno. Per quanto tempo rimaniamo così? Finché non sentiamo bussare alla porta.

Daniel fa un passo indietro, appoggiando le mani sui fianchi e abbassando la testa, io invece guardo in direzione della porta, da dove vedo apparire Alice, la segretaria, non appena le dico di entrare. La ragazza guarda prima Daniel e poi me, se ha qualche ipotesi su ciò che sta succedendo non lo esprime.

«Dottoressa Turner, mi dispiace doverla disturbare durante una seduta, ma il suo ragazzo Tom è qui e ha detto che non andrà via finché non la vedrà. Sono venuta ad avvisarla perché mi sembra abbastanza nervoso e...»

«Grazie Alice, adesso arrivo, puoi dirglielo?» Lei annuisce, sparendo e chiudendo la porta.

«Grace», mi chiama Daniel, avvicinandosi nuovamente a me e prendendomi per il gomito. Credo di essere diventata bianca come un lenzuolo. Non sono pronta ad affrontare Tom e sicuramente non posso farlo qui! Mi sembra di non riuscire più a respirare, mentre quello che Daniel mi sta dicendo mi sembrano parole lontane, ovattate. «Grace!» mi chiama nuovamente. Giro la testa verso di lui, guardandolo senza sbattere le ciglia.

«Devi andare», dico soltanto.

«Che vuoi fare?» chiede. «Quel violento del tuo ex è qui. Che vuoi fare?»

«Non ti riguarda, Daniel!» sbotto, sottraendomi dalla sua stretta per poter raggiungere la porta e aprirla. Gli faccio segno di uscire. Lui non sembra volermi accontentare, ma alla fine me lo ritrovo davanti.

«Sta' attenta, Grace», dice, lasciandomi una carezza sulla guancia prima che io possa anche solo muovermi. Se ne va senza voltarsi, mentre io rimango dove sono, con la mano stretta attorno alla maniglia. Mi ci vogliono alcuni secondi, forse un minuto, per riprendermi. Dopo un respiro profondo mi incammino verso l'atrio dove Alice ha la sua scrivania. Tom è lì, intento a fare avanti e indietro, con le braccia intrecciate al petto. Vedendomi si ferma.

«Grace!» mi si avvicina, sotto lo sguardo curioso di Alice.

«Tom, sto lavorando», sussurro, quando siamo abbastanza vicini. I suoi occhi blu, profondi e freddi, mi scrutano con insistenza. Allo stesso modo di Daniel, anche lui mi accarezza la guancia, ma la sua carezza è totalmente diversa e mi fa sentire in modo strano. Ho paura.

«Avevo bisogno di vederti, piccola».

«Non chiamarmi piccola», sibilo. «E vattene, perché io non voglio vederti. Credo che fosse chiaro dal fatto che non ti ho mai risposto alle chiamate nell'ultimo mese».

«Dobbiamo parlare, Grace», dice, serrando la mascella. «Non possiamo semplicemente chiuderla, senza nemmeno cercare di aggiustare le cose tra di noi».

«Non c'è niente da mettere a posto, Tom», dico secca. «Non voglio più stare con te e questo è quanto. Ti chiedo di rispettare il mio volere». Non dice altro, ma rimaniamo a guardarci. Con la coda dell'occhio noto che Alice è interessata a noi, sembra quasi preoccupata.

«Combatterò per la ragazza che amo, non puoi chiedermi di lasciar perdere come se niente fosse, come se non avessimo condiviso anni e anni di vita».

«Ti prego di andartene, non...non c'è niente che tu possa dire o fare per sistemare le cose». Alzo un po' la voce e Alice si alza all'istante, facendo strisciare la sedia della sua scrivania.

«Dottoressa Turner, tra cinque minuti c'è quella riunione insieme agli altri psicologi dello studio. Dobbiamo andare», mi sento dire, quindi sposto lo sguardo su Alice, annuendo. Quando ritorno a guardare Tom, lui finge un sorriso, facendosi un po' da parte.

«Io adesso inizio il turno, però possiamo parlare domani», dice.

«Io...devo andare», rispondo, camminando dietro ad Alice lungo un corridoio che ci porta dritte in una sala che solitamente utilizziamo per le riunioni. Una volta al sicuro, con la porta chiusa alle mie spalle, mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo.

«Dottoressa Turner...» Alice mi si avvicina con un bicchiere d'acqua, ma io invece che prenderlo mi butto in avanti, stringendola a me.

«Grazie», dico semplicemente. La ragazza mi abbraccia a sua volta, senza dire niente, senza bisogno di spiegazioni o critiche.

Ma non posso semplicemente ignorare quello che è successo. Non so cosa si sia messo in testa Tom, ma ho paura che non accetterà tanto facilmente un rifiuto.

Appena i miei amici lo vengono a sapere, pur avendo altri impegni per la serata, decidono di venirmi a prendere in ufficio e portarmi a cena, accompagnandomi poi a casa. Naomi è sul piede di guerra, mentre Michael rimane più razionale e mi consiglia di richiedere un ordine restrittivo. Faccio sapere di non voler mettere di mezzo questioni legali e soprattutto non voglio che i miei lo sappiano, si preoccuperebbero troppo.

«Sicura che non vuoi che rimanga con te stanotte?» mi chiede Naomi quando siamo quasi arrivati sotto casa mia.

«Oh...ma ciao sexy», dice invece Michael, che sta guardando in tutt'altra direzione. Anche io e Naomi spostiamo lo sguardo, ritrovandoci a guardare...Daniel! È appoggiato al muretto davanti al palazzo dove abito, in attesa.

«No, direi che non ne hai bisogno», sussurra Naomi, con un sorrisetto. Fulmino con lo sguardo entrambi i miei amici, voltandomi subito dopo e rendendomi conto che Daniel ci sta venendo incontro. Mette le mani nelle tasche dei pantaloni, visibilmente imbarazzato. Dio, è così strano vederlo così!

«Ehi», saluta, alzando il mento in direzione dei miei amici.

«Ciao Daniel», risponde prontamente Naomi. Michael invece fa un cenno con la mano, guardando ripetute volte da testa a piedi Daniel. Andiamo Mich! «Allora noi...andiamo?» mi chiede la mia amica. Annuisco piano, sorridendole. Lei mi lascia un bacio sulla guancia, dicendomi di scriverle. Poi tocca a Michael, che mi abbraccia, facendomi sapere che ho ottimi gusti e che Tom dev'essere per forza un'anomalia. I due salutano ancora una volta Daniel, che ricambia. Rimaniamo quindi soli. Tiro fuori le chiavi dalla borsa, andando ad aprire. Daniel mi raggiunge, appoggiandosi al muro con il braccio, poco lontano da me.

«Ehi, stai bene?» chiede.

«Non dovresti essere qui, Daniel», dico io.

«No, non dovrei, però ero molto preoccupato», mi confessa, facendomi bloccare di colpo. Mi volto e lo guardo, rimanendo seria. «Che...che è successo con Tom?»

«Niente, Daniel! Che vuoi che sia successo?» sbotto, sospirando. Non capisco nemmeno perché sto reagendo così. O forse lo so fin troppo bene. Ho bisogno di allontanarlo il più possibile da me e credo che l'unico modo per farlo è trattandolo male. «Te lo ripeto per l'ultima volta: o continuiamo con un rapporto del tutto professionale, oppure la finiamo qui». Daniel mi guarda, socchiude le labbra e...alza le braccia, come in segno di resa, facendo qualche passo all'indietro.

«Ci vediamo tra qualche martedì, Doc», dice. «Partirò per il Belgio a giorni, poi sarò in Italia», mi informa e saperlo mi fa sentire improvvisamente male, come se ci stessimo salutando e stessimo parlando di mesi e mesi di lontananza. Che stupida!

«Prendi appuntamento con la mia segretaria quando hai bisogno», taglio corto, entrando nel palazzo in cui abito e sbattendo il portone.

Vorrei poter dire che sto facendo le cose giuste, perché tutte quelle che sono successe tra me e Daniel finora sono sbagliate, sbagliatissime. E invece...invece penso che allontanarlo sia la cosa peggiore che io abbia mai fatto. 

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