Capitolo 6. Noi due sul divano
Che cosa ho fatto di male
Per meritarmi questa fame di te? Cos'avrò fatto di male
Per meritarmi questa fame di te di te di te
Di tua bontà mi nutro
Di te finisco tutto
**
Non sono una di quelle persone che si ammala facilmente, quindi sono tutti molto sorpresi che io mi sia beccata l'influenza. Peccato non sia influenza...Sono due giorni che me ne sto chiusa in casa, incapace di mettere in ordine il casino che ho in testa. Mi sento come bloccata, come se non potessi più essere quella di prima. Mi chiedo come farò ad uscirne fuori, quando non riesco nemmeno a lasciar e il mio appartamento.
La calma apparente che mi circonda viene scossa improvvisamente. È pomeriggio inoltrato quando sento suonare il citofono, trasalendo mentre il cuore mi comincia a battere all'impazzata. La prima cosa a cui penso è che potrebbe essere Tom, che non ha fatto altro che scrivere e chiamare, senza però presentarsi da me. O peggio ancora...potrebbe essere mio padre! Dio, come potrei spiegargli quello che è successo senza rischiare che vada a tagliare le palle a Tom? Il citofono suona ancora, facendomi scivolare fuori dai miei pensieri. Mi dirigo in punta di piedi verso la porta, dove mi fermo e prendo un respiro profondo prima di rispondere.
«Sì?» chiedo. Non arriva subito una risposta, sento solo il rumore del traffico in strada. E poi...
«Grace», mi sento chiamare. Un brivido mi scorre lungo la schiena quando capisco chi è. Daniel. Spalanco gli occhi, passandomi nervosamente la mano tra i capelli. «È...è ancora lì, dottoressa Turner?»
«Sì, sì sono qui», rispondo alla fine, maledicendomi subito dopo. Rimango appoggiata al muro, vicina al citofono, in attesa di altre parole da parte di Daniel.
«Mi fa salire o preferisce che ci parliamo attraverso il citofono? Magari quello che ha è contagioso e...»
«Sì, io...non vorrei mai contagiarla», confermo, tirando su col naso.
«D'accordo», sussurra Daniel. «Quindi sta davvero male?»
«Che vorrebbe dire?» chiedo, inarcando le sopracciglia.
«Insomma...ha disdetto il nostro appuntamento dopo tutto quello che le ho scritto e...salve, mi scusi, passi pure», dice lui, parlando chiaramente con qualcun altro. Sicuramente un vicino e...oh, forse continuare la nostra conversazione in questo modo non è il massimo.
«Daniel, salga», dico, aspettandolo sulla porta d'entrata. Non appena lo vedo salire l'ultima rampa di scale, quella che porta dritta dritta da me, il cuore mi si ferma in gola. Davanti mi ritrovo una versione di Daniel che non ho mai visto prima; è vestito in maniera del tutto casual, con un paio di pantaloni al ginocchio e una maglietta oversize bianca, con sopra una stampa del suo numero, il tre, e la scritta RIC.
«Ehi», sussurra, fermandosi sull'ultimo gradino. «Rimango qui, d'accordo? L'influenza è l'ultima cosa che voglio». Gli sorrido, scuotendo la testa.
«Non ho l'influenza», lo rassicuro, facendogli segno di entrare. Mi volto, camminando verso l'interno. Lo sento alle mie spalle, mentre chiude la porta di casa mia e mi viene dietro, fermandosi quando mi fermo anch'io. Lo faccio bruscamente e mi ritrovo praticamente tra le sue braccia. Stremata, per come sono andate le ultime 48 ore, mi lascio andare contro il suo petto, sospirando a fondo e combattendo contro il pianto. Il mio tentativo fallisce e nel silenzio che si è venuto a creare tra di noi si sente un mio singhiozzo, seguito da altre lacrime, che sommate a quelle che ho versato da domenica sera, potrebbero essere la soluzione alla siccità globale.
«Grace», sussurra piano Daniel, avvolgendomi con le braccia. «Tiri tutto fuori, le farà bene», mi consiglia, dicendomelo contro l'orecchio. Io rido istintivamente, scuotendo la testa. Ho la vista annebbiata e sono sicura che se non fosse per le braccia di Daniel attorno, sarei già crollata a terra.
«Sono io la psicologa qui...»
«Può prendersi una pausa per oggi, non crede?» Annuisco piano, tirando su col naso. «Andiamo a sederci sul divano», dice, facendo un passo avanti e costringendomi così a camminare. Sembra un percorso lontanissimo quello che facciamo per arrivare al divano, ma al tempo stesso mi sembra troppo corto e in men che non si dica non ho più le sue braccia attorno. Adesso siamo entrambi seduti, uno vicino all'altra, così vicini che le nostre ginocchia nude si sfiorano. Io tengo la testa bassa, perché mi sento patetica e non voglio essere vista da nessuno in questo stato, men che meno da Daniel. Lui però non sembra accettare la mia decisione, infatti infila due dita sotto al mio mento, tirandolo su quanto basta per poterci guardare negli occhi. Mi sorride, ma è un sorriso breve, che lascia spazio ad un'espressione seria. «Che succede?» chiede.
«Tutto questo è assurdo, Daniel», sussurro, sfuggendo dalla sua presa e lasciandolo lì, con la mano sollevata a mezz'aria. Chiude le dita a pugno, lasciandole cadere contro il ginocchio.
«Trova assurdo che tutti abbiano bisogno d'aiuto, prima o poi? Lo capisco, è sempre stata lei quella ad aiutare gli altri, è ovvio...insomma, è il suo lavoro. Non può pretendere di poter superare tutto da sola. Un chirurgo non può operarsi da solo, e allo stesso modo uno psicologo non può curare da solo le proprie ferite».
«D'accordo, forse ho bisogno d'aiuto...ma non posso chiederlo a lei, Daniel! Lei è un mio paziente, nemmeno dovrebbe essere qui».
«Io invece credo che dovrebbe parlarmi. Magari c'è qualcosa di cui si vergogna che vuole tirar fuori e ha paura di essere giudicata. Chi sono io per giudicarla? Avanti, mi dica che sta succedendo. Perché se ne sta chiusa in casa, fingendo di essere malata?» chiede. «Ha mangiato?» aggiunge subito dopo ed io alzo le spalle, sospirando.
«Andiamo Grace, ha bisogno di mangiare. Mi creda, qualcosa di buono da mettere sotto ai denti aiuta molto il più delle volte», mi dice, strizzandomi l'occhio. Rido, asciugandomi le ultime lacrime che mi cadono dalle ciglia. «Venga, le preparo qualcosa mentre lei mi racconta tutto». Mi dà una sberletta leggera contro il ginocchio, alzandosi dal divano e facendomi segno di seguirlo, come se sapesse dove sta andando. E invece non lo sa...
«La cucina è dall'altra parte», dico, vedendo che sta andando verso la zona notte. Daniel fa un giro su se stesso, indicando prima una direzione poi l'altra, andando poi in quella giusta.
«Certo, per di qua! Venga!» urla, quando ormai è in cucina. Lo trovo intento a esplorare tutti i cassetti ed il frigo, in cerca di chissà cosa. Alla fine mette a bollire dell'acqua e tira fuori una padella. Io mi siedo al tavolo, dopo aver recuperato il vino e due calici, che riempio in ugual modo. Uno lo tengo per me, mentre l'altro lo spingo verso Daniel.
«Le va del vino?» chiedo, facendolo avvicinare a me con la padella in mano.
«Quindi...la prima volta il te, la seconda il vino...la prossima volta che mi darà da bere? Vodka?» Rido ancora, alzando leggermente il calice, come a volergli far capire che sono intenzionata a fare e un brindisi, anche se non c'è proprio un bel niente a cui brindare. I nostri bicchieri tintinnano e prendiamo entrambi un lungo sorso. Rimango a guardarlo mentre comincia a far soffriggere delle cose in padella, che lascia riposare per potersi mettere a sedere dall'altro lato del tavolo.
«Che cosa sta cucinando?» chiedo.
«Grace», mi chiama con un sorriso. «Diamoci del tu, ti prego. Solo per oggi. Tu hai bisogno di un amico e gli amici non sono così formali, non credi?» Serro la mascella. Beh, ormai ho infranto tutte le regole, questo formalismo di darsi del lei è più un'abitudine che altro.
«Sì, okay», concordo. «Quindi...che cucini?»
«Non hai molto in frigo, ho dovuto un po' improvvisare», ammette. «Un risotto...va bene?» Annuisco, prendendo un altro sorso dal mio bicchiere. Tra di noi alleggia per quello che sembra un tempo lunghissimo un silenzio denso.
«Io e il mio ragazzo abbiamo litigato», comincio a dire.
«Hai un ragazzo?» chiede Daniel, incurvandosi nelle spalle. Faccio cenno di sì. «Oh...è una cosa seria?»
«La nostra litigata?» domando retorica. «Credo proprio di sì», rispondo. «Ha superato i limiti. E penso l'abbia fatto perché gli ho permesso di farlo», sussurro.
«Che...che è successo?»
«Io e Tom non abbiamo mai avuto una relazione stabile, ci sono sempre stati dei tira e molla ma alla fine ritornavamo sempre l'uno dall'altra. Ultimamente le cose non sono andate molto bene tra di noi, credevo fosse finita e invece lui è ritornato e...mi ha proposto di andare a vivere insieme. Secondo lui sarebbe stata la soluzione a tutto. Io gli ho creduto, ma ho capito ben presto che andare a vivere con lui è l'ultima cosa che voglio. Gli volevo dire come stavano le cose, che non lo amo più e che dobbiamo andare avanti con le nostre vite, ma non ho fatto in tempo. Lui è...completamente impazzito. Domenica sera. Mi aspettava fuori casa, era nervoso perché aveva perso le sue chiavi e mi ha chiesto cosa avessi fatto e con chi fossi stata. Io gli ho detto la verità: con la mia amica Naomi. Non mi ha creduto, né la prima, né la seconda volta. Poi mi ha dato una sberla».
«Grace, che cazzo dici?» sbotta Daniel, spalancando gli occhi. Mi guarda fisso, come in cerca di un segno della violenza di Tom su di me. Per fortuna il segno rosso è sparito quasi subito, tutto quello che ha significato me lo porto ancora addosso. Mi vergogno tanto.
«Sì, beh...era la prima volta che succedeva e...»
«E sta' certa che sarà anche l'ultima!» dice lui. Annuisco, abbassando lo sguardo. In un secondo è piegato sulle ginocchia, di fronte a me, una mano aggrappata allo schienale della mia sedia. «Grace, sai meglio di me come sono fatti gli uomini come lui. Molto sicuramente tornerà e vorrà essere perdonato, ti dirà che non succederà più, che ha fatto uno sbaglio ma che ha imparato dai suoi errori. Non devi cedere!»
«Non lo farei mai, Dani», dico, scuotendo la testa. Lui annuisce energicamente, buttandomi velocemente le braccia attorno al collo e abbracciandomi.
«Mi dispiace per quello che ti è successo, Grace. Non pensare di essere il problema o di meritartelo. Ovviamente non puoi far semplicemente finta di niente, ma non lasciare che il tuo ex decida per te, che ti condizioni. Circondati dalle persone che ti vogliono bene, non startene qui da sola in casa. La solitudine è infida: ci fa credere di aver bisogno di lei, ma ci fotte la testa, ci costringe a guardare in faccia tutti i nostri demoni. Non è facile farlo da soli». Mi stringo a mia volta a Daniel, mentre le lacrime riprendono a scendere senza permesso, andando a bagnare persino la sua maglietta. Quando me ne rendo conto, cerco di chiedere scusa, ma lui dice di non preoccuparmi.
Mi cucina il risotto, che anche se non ho molta fame, mi ritrovo a mangiare perché apprezzo molto il fatto che lui l'abbia fatto per me. E non importa che siano le cinque del pomeriggio. Finito di mangiare, quando faccio per mettere a posto, lui mi dice di lasciar stare e mi consiglia di andare a sdraiarmi un po'.
Quando mi raggiunge io sono raggomitolata su me stessa, la TV è accesa ma non la sto seguendo. Daniel si appoggia allo schienale del divano, sporgendosi leggermente in avanti verso di me.
«Non ti facevo una da A passo con i Kardashian», mi dice.
«Tutti sono tipi da A passo con i Kardashian », azzardo, voltandomi.
«Mai visto».
«Che?!» chiedo sorpresa. «Devi assolutamente recuperare. Guardare A passo con i Kardashian è una di quelle cose da fare prima di morire».
«Oh beh, allora...» Daniel fa il giro del divano e si mette a sedere, mentre mi ricompongo anch'io. «Se eri comoda, appoggia la testa contro le mie gambe, non è un problema», propone. «Vuoi che ti tocchi i capelli? A me fa calmare». Inclino la testa di lato, accennando un sorriso.
«D'accordo», bisbiglio. Mi lascio andare contro le sue gambe, sulle quali intravedo parte dei suoi tatuaggi. Mentre lui comincia a passarmi le dita tra i capelli, sciogliendomi qualche nodo, io passo le dita sull'inchiostro che si è impresso per sempre sulla pelle. Seguo con l'indice la scritta Only Memories. I suoi muscoli sono tesi, ma si rilassa sentendo il mio alito caldo contro il ginocchio, mentre sussurro: «Grazie».
«Grace, ti prego, promettimi che questo non cambierà le cose tra di noi. Penso davvero le cose che ti ho scritto per messaggio. Ho bisogno di te».
«No, certo che non cambierà niente», dico, quando in realtà vorrei dire tutto il contrario. Come posso ritornare a guardarlo con gli occhi di una psicologa dopo che lui mi ha visto in questo stato? Daniel non dice più niente, si limita ad accarezzarmi i capelli. Le mie palpebre si fanno sempre più pesanti, finché non mi addormento.
**
«Allora questo fine settimana andiamo dai tuoi per pranzo?» mi chiede la mia migliore amica. Siamo al telefono da mezz'ora, io nel mio studio e lei nel suo. Sono ritornata al lavoro dopo una settimana di ferie. Vorrei poter dire di star bene, che l'ho superata. Merda no, non ho superato un bel niente! Non ho superato quello che è successo con Tom e non ho superato quello che è successo con Daniel. Il primo non fa altro che cercarmi, il secondo è andato via mentre dormivo, lasciandomi un messaggio in cui mi diceva che gli dispiaceva svegliarmi e che sperava mi riperdessi presto. Non lo sento da allora. Sono passati sei giorni. Oggi è lunedì e fuori sta piovendo. Non ho voglia di fare niente e men che meno essere qui in studio.
«Sì, mi piacerebbe molto avervi tutti vicino», ammetto. Perché sì, è importante circondarsi dalle persone che ci vogliono bene. La solitudine è bastarda e mi è stata compagna per una settimana. Adesso è tempo per altro.
«Ma certo tesoro. Chiamo io Mich, d'accordo?» Annuisco, sospirando.
«Ti voglio bene, Naomi».
«Oh cielo, quando diventi sentimentale mi fai sciogliere come un cioccolatino al sole», scherza lei mentre sento bussare alla porta del mio studio. Aggrotto la fronte, avvicinandomi alla mia agenda per vedere se mi sono dimenticata un qualche appuntamento. No, decisamente no.
«Ehi, ti richiamo, mi stanno cercando». La mia amica mi saluta e mettiamo giù. Vado ad aprire, ritrovandomi davanti un Daniel Ricciardo completamente bagnato, con i capelli attaccati alla fronte.
«Daniel...»
«Piove».
«Già».
«Quindi è ritornata al lavoro». E noi siamo ritornati al lei. Merda! Fingo un sorriso, annuendo. «Sono in partenza, vado in America a fare un po' di surf come mi ha consigliato».
«Oh...sembra fantastico».
«Già». Sospira, passandosi una mano tra i capelli. «Siccome ero in zona sono passato di persona a disdire. Dovevamo vederci domani, però non facevo in tempo con i voli e tutto il resto».
«Non si preoccupi», lo rassicuro. «Ci vediamo quando torna». Un altro silenzio. Noi due fermi a guardarci. Così vicini. Così lontani.
«Non faccio altro che pensare a noi due sul divano. Io che ti accarezzo i capelli, tu che mi sfiori piano la gamba ma che riesci a scuotermi forte. Fortissimo», ammette, lasciandomi a bocca aperta. «Spero che del tempo lontani l'uno dall'altra faccia tornare tutto a com'era prima. Ne ho bisogno».
«Daniel...» Lui alza la mano, fermandomi prima che io possa aggiungere altro. Si sporge, gocciolando sul parquet del mio studio e poi addosso alla mia maglietta. Mi bacia la guancia, strusciando le labbra contro la mia pelle bollente.
«Passi delle belle vacanze, ci vediamo tra qualche settimana».
E se ne va.
Lasciandomi con mille pensieri confusi, con la sensazione di avere ancora le sue labbra addosso.
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