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Capitolo 4. Interrotto

Abbiamo fatto danni anche questa volta
Noi due pieni di tagli senza farlo apposta
Stupidi rimorsi, stupidi i tuoi occhi
Cambiano colore, fanno a pezzi i sogni

***

«Gi, stai per fare una grossa stronzata. Colossale!» mi dice Naomi, trovando subito l'appoggio di Michael, che annuisce appena sente le sue parole. Io e miei amici siamo a pranzo fuori e ho appena fatto sapere ai due della decisione che io e Tom abbiamo preso. Quella di andare a vivere insieme, in una casa tutta nostra. La verità è che so che hanno ragione, quello che stiamo per fare è affrettato e...no, non sono affatto sicura. E allora perché mi sono mostrata entusiasta quando mi ha detto che ha iniziato a cercare casa e che oggi ne andiamo a vedere una? 

Mi sento in colpa, ecco perché. Mi sento in colpa per aver fatto venire Daniel a casa mia, per il breve momento che abbiamo condiviso, bevendoci una tazza di tè insieme, davanti ad un tramonto bellissimo, con i Rolling Stones in sottofondo. Mi sento in colpa perché non faccio altro che ripensare a quel pomeriggio. Come se quel ricordo avesse vita propria e, a suo piacimento, torna preponente, nei momenti meno opportuni.

«Mi ha detto che vuole dimostrarmi che ci tiene veramente a me», dico, cercando di far cambiare idea su Tom ai miei amici, ma non ci cascano. «Oggi andiamo a vedere una casa».

«Quindi lo vuoi fare davvero!» esclama Michael, sbarrando gli occhi. «Gi, ti prego, non fare niente di avventato! Tra due settimana partiamo per le vacanze, magari staccare un po' ti farà bene e ti ripigli».

«Oh sì...a tal proposito-».

«Grace, ho come l'impressione che stai per darci buca», mi interrompe Naomi, prima che riesca a concludere la frase. Abbasso lo sguardo, mordendomi il labbro, come a voler sfuggire da lei.

«Mi ha proposto di andare in Italia, sulla costiera amalfitana, da alcuni suoi amici», dico. «Però io gli ho detto che mi ero già messa d'accordo con voi e che abbiamo già organizzato ogni cosa. Lui comunque continua ad insistere».

«Che gran stronzo!» sbotta la mia amica, svuotando con un unico sorso tutto il bicchiere pieno d'acqua. Lo riappoggia sul tavolo con un leggero tonfo, prendendo un respiro profondo. «Chiunque sano di mente sceglierebbe la costiera amalfitana», ammette sospirando.

«Invece io verrò con voi», dico con tono deciso, cercando di calmare un po' le acque. Mentre parlo, i miei amici però rivolgono la loro attenzione da tutt'altra parte, verso qualcuno che è oltre le mie spalle.

«Un bono da paura si sta avvicinando al nostro tavolo», mi informa Naomi. Girandomi, mi ritrovo davanti Daniel, che sì, in effetti si sta avvicinando proprio al nostro tavolo. Mi alzo all'istante, senza un motivo ben preciso, facendo strisciare la sedia sul pavimento rumorosamente. I miei amici sono visibilmente curiosi di sapere di più sul "bono da paura" che si sta avvicinando, ma non ci faccio caso, concentrando invece tutte le mie attenzione su Daniel.

Perché mi tremano le ginocchia?

«Salve Grace», mi saluta, raggiungendoci. Con un gesto del tutto nuovo, che non ci appartiene affatto, mi appoggia una mano dietro alla schiena, sporgendosi verso di me. «Non dovevi scomodarti per me, siediti pure», dice con un mezzo sorriso ed io annuisco, tuffandomi sulla sedia.

«Ehi ciao, sono Naomi», si presenta la mia amica, allungando il braccio e porgendo la mano a Daniel, che gliela afferra al volo. Subito dopo si presenta anche Michael e lui sorride ad entrambi.

«Sono Daniel», fa sapere.

«Daniel», ripete Michael. «Siete amici?» domanda, guardando prima me e poi lui, in modo a parer mio troppo malizioso. A volte lo odio proprio! Questa domanda mi manda totalmente in tilt e Daniel sembra capirlo, infatti risponde lui.

«In realtà abbiamo solo lo stesso maestro di paddle».

«E da quando tu giochi a paddle?» chiede Noemi, alzando un sopracciglio. Io, che non ho più aperto bocca da quando Daniel è arrivato, mi ritrovo a boccheggiare, maledicendolo mentalmente per la scusa che ha trovato!

«Non da molto a dire il vero», sussurro.

«Beh, comunque volevo solo salutare, quindi...ciao», fa sapere Daniel, capendo di dover troncare questa conversazione prima che diventi insostenibile.

«Sei da solo? Vuoi unirti a noi?» chiede Michael.

«No, in realtà sono con i miei amici laggiù». Daniel indica due ragazzi al bancone, che lo stanno aspettando. Il più basso tra i due, con un gesto dolce, passa una mano tra i capelli dell'altro, che lo guarda con gli occhi scintillanti. Non mi ci vuole molto a capire che sono Lando Norris e il suo ragazzo, Chase. 

«Oh, quelli sono i tuoi amici?» Michael allunga il collo, guardandoli. Io gli tiro un calcio sotto al tavolo, beccandomi un'occhiataccia.

«Sì, mi stanno aspettando, meglio se vado. Buon pranzo ragazzi», ci augura, regalando un sorriso a me, e soltanto a me, prima di andarsene, mentre gli altri ricambiano il saluto.

Quando rimaniamo a soli, com'è ovvio che sia, vengo tempestata da domande. E, santo cielo, io sono sempre stata una pessima bugiarda. Soprattutto se si tratta di mentire ai miei due migliori amici.

«Cosa non ci dici, Gi?»

«Ma siete matti, spero! Io vi dico tutto, ogni cosa!» Il che è vero, se tralasciamo il discorso "Daniel". Su quello riesco a mentire pure a me stessa...

«Grace, quel Daniel ti guarda in un modo», dice Naomi, facendomi ridere nervosamente. 

«Che- che modo?»

«Gli piaci». Due semplici parole. Gli piaci. Un pugno farebbe meno male, credetemi! Sto disperatamente cercando di negare che ci sia un qualche minimo interesse da parte sua. Non può esserci, perché è un mio paziente! Però, se qualcuno che nemmeno lo conosce ha notato che mi guarda in un certo modo, forse allora...

«No, ma che dici», sbotto, facendo un segno con la mano, come a voler allontanare le parole di Naomi. 

«Anche tu lo guardi in un certo modo, comunque», interviene Michael, come se non ci fosse abbastanza benzina sulla povera Grace, troppo vicina ad una fonte di calore e prossima a prendere fuoco. 

«Voi siete matti!» ribadisco ridendo. 

«Avete visto quant'è carino il barman?» si distrae improvvisamente Michael, illuminandosi di colpo. Io e Naomi guardiamo verso il bancone, sghignazzando. «Okay, io mi butto», dice il mio amico, e senza aspettare oltre si avvicina al  ragazzo in questione. I due cominciano a parlare ed io e Naomi restiamo a guardarli ridendo.

«Grace, non scegliere quello che ti sembra più sicuro, ma quello che ti fa sentire più felice. Io ho capito che vedi in Tom una vita tranquilla, con una casa e quant'altro, ma non mi sembri molto felice all'idea», sussurra la mia amica, appoggiando la mano sulla mia. Guardo le sue dita laccate di rosa contro le mie nocche, poi guardo lei e le sorrido, stringendole la mano nella mia.

«Grazie».

«Allora? Hai una faccia!» chiede curiosamente Naomi a Michael, quando lo vediamo arrivare un po' affranto. 

«Lasciamo stare», sbuffa, sedendosi. 

«Eddai, che ti ha detto?» insiste Naomi, aggrappandosi al suo braccio e guardandolo teneramente. Questa  cosa ha sempre funzionato per convincerlo a parlare. 

«Che ha già una mezza cosa con uno. Ma era così bello mentre me lo diceva che gli ho sorriso pure. Quanto sono scemo?!»

«Solo un pochino. Un pochino soltanto», dico, sorridendogli. «Ti innamorerai quando meno te lo aspetti, della persona che meno ti aspetti», lo incoraggio, accarezzandogli il braccio. 

Sentendo le mie parole Naomi mi guarda. Io la guarda. E ci capiamo.

Così non va bene!

***

Aspetto l'appunto con Daniel con più ansia del solito, un'ansia mista all'angoscia. Ci ho pensato al lungo dopo pranzo e ho deciso che non posso continuare ad essere la sua psicologa. Mi fa uscire di testa! Il mio stato d'animo gli è chiaro non appena arriva e mi trova seduta in poltrona, intenta a muovere nervosamente la gamba. Un po' intimorito si siedi di fronte a me, appoggiando i gomiti contro le ginocchia e piegandosi leggermente in avanti, nella mia direzione. Io invece sono composta, la schiena dritta contro lo schienale della poltrona, intenta a mordicchiare l'asta degli occhiali da vista. Alla fine decido di inforcarli tra i capelli e mi alzo, camminando fino ad arrivare ad appoggiarmi contro il bordo della scrivania.

«Daniel, io credo sarebbe meglio che lei si facesse seguire da qualcun altro. Tipo il Dott. Marcus, è davvero molto valido e credo si troverebbe bene».

«Grace...»

«Daniel, non può fare niente di quello che ha fatto oggi, in quel ristorante. Io sono la sua psicologa e lei è un mio paziente, questo rapporto non dovrebbe esistere oltre queste quattro mura. Mi ha messo in difficoltà con i miei amici e mi ha costretto a mentire! Questo non va bene». Daniel si alza improvvisamente, fermandosi di fronte a me, ad una distanza che non ha niente di pericoloso ma che trovo comunque inopportuna. Riesco a sentire il suo profumo, ed è buono da morire.

«Ha ragione, non avrei dovuto», ammette. «L'ho vista entrando e...la volevo solo salutare, non le volevo creare problemi. L'ho fatto in buona fede, mi creda!» Ma sì, certo che ci credo, in fin dei conto è Daniel Ricciardo che mi sta dicendo queste cose.

«Non è solo per quello che è successo oggi. Mi sono resa conto che la settimana scorsa, quando pioveva, ho fatto una valangata di cose che non avrei dovuto fare. Ho accettato un passaggio da parte sua, l'ho invitata a salire da me e...»

«Abbiamo ascoltato musica e guardato il tramonto. Davvero oltraggioso!» Le sue parole mi fanno sorride, mentre abbasso la testa per non farglielo vedere. Ma lui lo nota, inclinando la testa di lato e cercando il mio sguardo. Quando i nostri occhi si incontrano, mi accorgo che anche lui sta sorridendo. «Ho davvero bisogno di lei, la prego, ci ripensi». Mi mordo nervosamente il labbro, restando in silenzio per secondi interminabili. Non riesco a capire nemmeno io cosa mi passa per la testa. Probabilmente niente di buono, considerando quello che mi ritrovo a dirgli.

«Sono pessima in qualsiasi sport. Il paddle? Ma come le è venuto in mente?!»

«Perché io ci gioco a paddle. È divertente, dovrebbe provare». Scuoto la testa, cercando di evidenziare il fatto che sono davvero, davvero, pessima negli sport. Ho un'insensata paura di qualsiasi tipo di palla. Forse perché quando andavo a scuola, ogni volta che durante l'ora di ginnastica cercavo di prenderne una mi arrivava dritta in faccia.

«Ci sediamo?» mi chiede, speranzoso di aver inteso le mie intenzione.

«Sì. Sì, sediamoci», rispondo io, staccandomi dal bordo della scrivania e avvicinandomi alla poltrona. Fa la stessa cosa anche Daniel, mettendosi nella stessa posizione di prima. Però ora anch'io sono leggermente sporta in avanti e le nostra ginocchia finiscono inevitabilmente per sfiorarsi. È questione di un secondo, non di più. Uno stupido secondo che mette in subbuglio tutta dentro la mia testa, ancora una volta. Daniel si ritrova costretto a ripetere quello che sta dicendo, visto che la prima volta non gli rispondo.

«Stavo dicendo che questa settimana corriamo qui, in Inghilterra».

«Oh sì, vero! Verrò anch'io a guardare il gran premio», mi lascio sfuggire, facendolo sorridere. «Ehm...mio padre è sempre stato un grande tifoso e va sempre a Silverstone per il gran premio, ogni anno».

«E lei lo accompagna ogni anno?»

«Uhm...no?»

«Aspetti...è la sua prima volta?» Mi metto a ridere nervosamente, scuotendo la testa, ma Daniel capisce al volo che sì, non sono mai stata prima ad un gran premio. Credo sorga spontanea una domanda, e infatti... «Come mai quest'anno ha deciso di venire?»

«Daniel, mi scusi, perché stiamo parlando di me?» chiedo, cercando di riacquistare un po' della mia autorità professionale, in fin dei conti sono la sua psicologa. In tutta risposta Daniel alza le braccia in aria, con fare arrendevole, lasciandosi cadere contro lo schienale della poltrona.

«Ho trascorso una settimana tranquilla, ho guardato il tramonto ogni sera. Dovrebbe vederlo quant'è bello il tramonto su Montecarlo, sembra una cartolina», dice. «E non riesco più a smettere di ascoltare  Streets of Love», mi confessa, facendomi immediatamente irrigidire. «Lei la riesce a sentire ancora senza ritrovarsi a pensare al tramonto che abbiamo visto insieme?» 

No, certo che no, sarebbe impossibile. La sera dopo che è successo, appena sono rincasata, più tardi rispetto al solito, mi sono preparata una tazza di tè anche se era ora di cena, ho messo il vinile dei Rolling Stones e ho guardato il tramonto. Ho avvertito uno strano vuoto all'altezza del petto, come se stessi guardando un tramonto a metà. Da allora non ho più guardato i tramonti, nemmeno per sbaglio. Il vinile dei Rolling Stones l'ho rimesso nella propria custodia, infilandolo in fondo alla libreria. Il più lontano possibile.

«Prende ancora le pastiglie che le ho prescritto per dormire?» chiedo, dopo un breve silenzio, ignorando la sua domanda. Lui sembra deluso dal mio comportamento e si fa serio di colpo.

«Sì, mi aiutano molto».

«Quindi sta bene?»

«A tratti», dice. «Alcune volte mi sento interrotto, come se smettessi di esistere per poi ricominciare a farlo. Come se certe cose che mi succedono non mi appartenessero davvero, mentre altre le sento così mie da non saperle lasciar andare. Non so essere equilibrato: amo i tramonti ma odio le albe. Non lo trova strano? In fin dei conti un'alba è solo un tramonto capovolto».

«Trovare un proprio equilibrio è difficile, non si biasimi. Se lo ricorda? Un passo alla volta. Quindi...perché non prova ad ascoltare Streets of Love all'alba? Magari si accorge che può avere il sapore di un tramonto». Daniel annuisce, visibilmente sovrappensiero. «Quindi lei è il numero tre?» domando. Mi sorride, accendendosi improvvisamente in volto, di una luce strana e solo ora capisco quel suo essere "interrotto".

«Sì, terrà gli occhi su di me? Spero di non fare una brutta figura!»

«Come se fosse possibile», azzardo a dire, sorridendo appena. Prima che lui possa aprire bocca, lo precedo e gli chiedo di parlarmi di alcuni momenti in cui non si è sentito bene, bene davvero. Daniel sceglie con cura tra i suoi ricordi, raccontandomi per lo più di momenti passati in famiglia. È raggiante mentre parla ed è così che voglio che esca da qui: con il sorriso, distante da ogni tipo di momento interrotto.

Eppure, mentre siamo sulla porta dello studio intenti a salutarci, dandoci appuntamento per la settimana prossima, per l'ultima volta prima delle vacanze, qualcosa muta nel suo sguardo. Potrebbe essere impercettibile, ma lo sento forte, così forte da sentirmi a mia volta interrotta.

È un vuoto enorme, al quale non riesco a smettere di pensare per il resto del pomeriggio. Assorta nei miei pensieri mi dimentico persino che devo andare con Tom a vedere un appartamento in centro. Quando mi chiama, dicendomi che sta arrivando così possiamo andarci insieme, mi affretto ad uscire, sotto lo sguardo confuso di Alice, che saluto velocemente.

Cammino fino a raggiungere la mia macchina, fermandomi non appena mi accorgo che c'è qualcosa incastrano tra il tergicristallo e il parabrezza. Mi allungo sul cofano, prendendo tra le dita le tre rose rosse che mi stavano aspettando. Le porto al volto, annusandole e mi scappa un sorriso non appena sento qualcuno cingermi i fianchi. 

«Ciao», mi saluta Tom, baciandomi la guancia.

«Ciao», dico, girandomi per poterlo guardare, con le rose ancora strette in mano. Non ci posso credere che abbia fatto una cosa così romantica per me. Non è proprio il tipo.

 «E queste?» chiede, indicando con la testa le rose. Il mio sorriso scema, fino a scomparire. Oh...quindi non è stato lui.

«Le- le ha portate in studio Alice, la mia segretaria», mento. Per la seconda volta nella stessa giornata.

«Andiamo? Siamo già in ritardo» dice Tom, facendomi annuire piano. 

«Guida tu», sussurro, allungandogli le chiavi. Mi vado a sedere dalla parte del passeggero, tenendo strette nel pugno le rose, per tutto il viaggio, indifferente al fatto che ci siano le spine.

Questo è un momento interrotto. E niente ha importanza.

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