La Bestemmia [Contest La Mia Webradio | Maggio 2019]
Crog'Maroth è grande. Sia lode a Crog'Maroth.
Le mie lacrime amare non possono più levigare quest'orrida pietra ch'è il mio peccato. Vergognoso di presunzione mi batto ora il petto, e i miei denti stridono nel buio. Sia lode a Crog'Maroth! Non c'è più scampo! Oh tu, ascoltatore dei miei lamentosi pianti, gioisci, perché ti è stato risparmiato un destino peggiore della morte. Ed ora vengono a prendermi quelle viscide creature. Già scorgo la loro cupa ombra sagomarsi attraverso i vetri increspati, e odo i pesanti fiati davanti alla porta di mogano, e tremo tutto qui, nel fradicio buio della mia stanza. Porto ora un messaggio. Un avvertimento. Vi prego, ascoltatelo. Sia lode a Crog'Maroth! Fatene tesoro. Evitate che l'occhio del giudizio si posi sulle vostre ossa mortali, e perdonatemi se dal terrore incepperò in qualche lemma contorto.
Perdono.
Il perdono che non ebbero mio fratello, il mio buon padre e la madre amorevole che mi crebbe così sconsiderato. Mutata! Esplosa in un inferno di strazianti vesciche, le sue membra coperte di funghi.
I funghi. Ma certo. Ora ricordo. I funghi che cucinava lei, mia madre, per nutrirmi quando ero infante. Dopo avermi saziato del magro latte dei suoi seni mi convertì a quella strana poltiglia. Una poltiglia che sarebbe perdurata lungo tutta la mia giovinezza. Ricordo ora il sapore, qui, con le labbra incrostate di salsedine. Ora mi pare un ricco sapore, mentre il mio stomaco si contorce nelle viscere, anche dopo tutti quei monotoni pasti. Con amore preparava quella poltiglia la madre mia. Strappava quelle verruche dal pescato di mio padre ogni sera, raschiando ogni scaglia col coltellaccio, e raccoglieva accuratamente ogni verdastro essere fungino dentro al catino di ferro. Lavava quei disgustosi molluschi con acqua pulita, stando attenta a non inspirare le candide spore, che si dissolvevano lente nel lattiginoso liquido di scarto. Io osservavo silenzioso, dall'alto del mio trono di legname, giorno dopo giorno. Osservavo le mani di mia madre raggrinzirsi sempre più mentre gettava le verruche nel paiolo senza guardare, tanto era abituata a quel meccanico ripetersi di movimenti. Che potevo fare? Eravamo una famiglia povera, e il padre mio tornava dal lavoro con lo sguardo incessantemente fisso nel vuoto. Chi avrebbe avuto il coraggio di fiatare? Di far adirare quel pover uomo che troppo sgobbava, spossato come un mulo nei suoi ultimi giorni di vita? Mangiavamo in silenzio, dopo aver recitato le sacre litanie. Ed ogni volta mia madre serbava un po' di quella poltiglia per Crog'Maroth, versandola ancora fumante nell'idolo di pietra, mentre mio padre la fissava senza compassione...
Crebbi sotto l'atmosfera di quest'inarrestabile monotonia, in comunanza con il mio sanissimo fratello maggiore. Egli quotidianamente accompagnava mio padre al nebbioso embarcadero, trascinando le pesanti reti incrostate. Ricordo che, sommerso dalla noia di un'infanzia senza stimoli, giocavo ad indovinare cosa fossero quei maceri resti sgocciolanti dalle maglie della rete. Non m'ero mai allontanato più di qualche metro dal rugginoso recinto che circondava la nostra misera catapecchia, e perciò affibbiavo dei nomi a quelle sozze incrostature. Spesso nella rete restavano incastrate le solite poltiglie, come le lunghe alghe verdognole che ingenuamente chiamavo erbe di mare, ma talvolta strane e grottesche creature grondavano dalla matassa di sartìe. Ed io mi dilettavo a percepire col mio informe inconscio a che sorta di leviatani appartenessero tali membra vischiose, viaggiando con la fantasia ad immaginare ogni sorta di mostro tentacolare pronto ad ingiottire vascelli e chiatte, a sterminare selvaggiamente i più abili marinai...
Una volta compiuti otto anni mio padre mi avrebbe portato a vedere il mare, per aiutarlo nel suo faticoso lavoro, e null'altro volevo vedere se non quel mistico mare, quel mare che troppo stuzzicava la mia limitata bramosia di conoscenza. E così aspettai. Aspettai continuando a mangiare quella poltiglia prodotta da ciò che mia madre chiamava funghi, e recitando profonde litanie a Crog'Maroth. Aspettai scarabocchiando con legni carbonizzati sulle rocce piatte, per dare sfogo alla mia puerile fantasia, e parlando con la mia taciturna madre di quel poco che conosceva del dannatissimo mare.
Ma il destino aveva ben altro in serbo per me. Ricordo la giornata come fosse ieri. Mio padre tornò a casa con una bestia che mai avevo visto prima. Era grossa tre volte me, con quattro zoccoli sporchi e due acuminate corna sulla fronte. Ne fui terrificato prima che mio padre mi calmasse, strappandomi da sotto le coperte laddove mi ero rifugiato, e mi scuotesse impetuosamente per le spalle. Mi disse che quella bestia era un dono di Crog'Maroth. L'espressione della sua misericordia verso la nostra povera famiglia. Mi disse che ora avrei dovuto badare a quella creatura mentre mio fratello avrebbe continuato ad accompagnarlo all'embarcadero. Piansi a lungo, implorando mio padre con tutte le preghiere che conoscevo, supplicando quel cuore di roccia di lasciarmi vedere il mare almeno una volta. Lui non cedeva. Ma io volevo il mare! Il mare che avevo sognato per anni! Vedermi sottratto il premio con cui tanto ingiustamente mi avevano illuso mi accecò dalla rabbia. Fu in quel momento che feci ciò che non avrei dovuto fare. Ora è troppo tardi per rimpiangere la mia scelta, ahimè!
Fu allora che bestemmiai il nome di Crog'Maroth. Lo feci, sì. Ancora oggi rimpiango quel mio sconsideratissimo gesto. Sarebbe bastato un minimo di controllo, un freno a quella infantile ed incompresa lingua per evitare ciò che accadde dopo... Ma era troppo tardi. Il cielo si scurì di cavernose nubi mentre gli occhi di mio padre divenivano vitrei dall'orrore. Prese a picchiarmi con forza, come non aveva mai fatto, accecato dalla furia. Avevo gettato la maledizione di Crog'Maroth sulla nostra casa. Avevo insultato il nostro misericordioso idolo deforme, rigettando la sua pietà con arroganza e sfacciataggine. Mia madre si straziò le vesti e si strappò ciocche di capelli dal dolore quando venne a sapere della cosa. Livida dal dolore, non mi rivolse più la parola per giorni. Avevo macchiato il nome della famiglia. Ero la peggiore disgrazia che ci fosse mai capitata...
Il giorno seguente la bestia con gli zoccoli morì. Mio padre la trovò stecchita in giardino, i vermi che già banchettavano sulla sua carcassa putrescente. Il pescato quel giorno fu magro e carente, e mio padre tornò a casa con una paga più misera del consueto.
Per anni una serie di sfortunati eventi ci afflisse. Rimasi a casa ad aiutare mia madre per tutto quel tempo, mentre le mie ossa si rinforzavano e la mia mente si nutriva di sterili pianti, poiché mio padre non aveva alcuna intenzione di farmi vedere il mare. Sosteneva che avrebbe portato ancora più sciagura. Pover'uomo! Lo avessi ascoltato! Nessuno mi guardava più negli occhi man mano che passava il tempo, e man mano che passava il tempo il pescato si faceva sempre più scarno. Ricordo ore ed ore di inutili preghiere al grande Crog'Maroth. Ore di lamenti e suppliche strazianti, che spellarono le ginocchia di mia madre e le scavarono a fondo le guance a forza di lacrime disperate.
Fu allora che iniziarono a morire. Uno dopo l'altro. Se ne andarono mio fratello e mio padre, improvvisamente scomparsi durante una tempesta in mare. Lo stesso mare che mi aveva troppo affascinato. Il nostromo frettolosamente ci portò dei brandelli di carne viscida e squamosa, dicendo che erano i loro resti. Pace alla loro anima! Poi se ne andò sputando sul selciato per scacciare il malocchio che aleggiava intorno alla nostra catapecchia.
Dopo pochi giorni morì anche mia madre. Il morbo la costrinse a letto, deformandole anche il poco di umanità rimasto, ed io dovetti occuparmene, ma era troppo tardi. Le pustole ed i vermi la divorarono dall'interno, straziandone le viscere finché tutto non si turò finalmente tra le lacrime. Rimasi fermo a piangere per giorni, saturandomi dell'aria ammorbata senza la forza di voler vivere un giorno in più.
Oggi sono venuto qui. A vedere il mare. Non l'avevo mai visto, ma mio padre aveva ragione. È stato il mare a sussurrarmi che sarebbero arrivati a prendere anche me. Ma non c'è in me alcuna serenità nell'aspettare la mia ora. Solo dolore. Misero! Sia lode a Crog'Maroth! Ecco, li sento. Trapelano tra le assi di questa cabina con mille tentacoli spasimanti. Niente li può fermare mentre contaminano e corrompono ogni essere solido davanti a loro! Sia lode a Crog'Maroth. Sia sempre lode a lui. Che questo crudele mare abbia pietà della mia misera anima... Sia lode a Crog'Maroth!
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