Just A Little Boy [Only Music Believers]
Scritto per il contest "Only Music Believers" di @Warrior_888 nell'Ottobre 2020. La traccia per cui mi sono ispirato è "Just a Little Boy (for Chester Burnett)" degli Swans dall'album "To Be Kind". Il genere è experimental rock / post-rock con venature blues. Spero vi piaccia :)
Folate di vento impetuoso facevano palpitare i campi di grano sulle terrazze circolari del Campo di Bioagricoltura Artificiale. La luce del sole era oscurata da nubi dense e ciò trasformava il rigoglioso oceano di spighe in un mare di sterpi grigiastre. In realtà l'autore poteva intravedere ombre di tinte dorate in mezzo a quell'infinità, ma sapeva che era solo un'illusione genetica creata dagli scienziati. Avevano impiantato un gene specifico in ogni seme nel tentativo di dare un'apparenza più florida a ogni spiga di grano, visto il mutamento di colore dovuto all'eccessivo inquinamento. Questa modifica non aveva ripercussioni sul sapore del cibo, né sulla crescita della pianta. Era solamente un ritocco all'estetica per mascherare l'errore in cui gli stessi pittori avevano perseverato per anni. Un penoso tentativo di riportare alla luce la tinte originali del grano, quelle che si potevano ammirare negli antichissimi dipinti che la gente ammirava nei musei per potersi lamentare del presente comparandolo al passato. Ma tutti sapevano che era un colore falso, inorganico come l'aroma delle bistecche artificiali e la consistenza della pelle coltivata in laboratorio.
L'autore sistemò la cerniera del giubbotto e affondò il mento nel bavero della giacca. Quel giorno il vento era particolarmente forte. Forse le correnti marine erano cambiate ancora una volta, centinaia di chilometri a ovest, e questo aveva di nuovo generato cicloni improvvisi in tutta la provincia. Continuando a camminare, l'autore voltò il capo per seguire con lo sguardo le mietitrebbie automatiche che da pochi giorni avevano cominciato a mietere il raccolto primaverile. I bestioni di metallo avanzavano lentamente, fagocitando grano con incredibile voracità per poi risputarne i chicchi nel floscio sacco trasparente che si portavano dietro. L'autore si era già abituato allo strano ronzio meccanico che i macchinari emettevano, dato che quel suono lo accompagnava lungo il cammino da dieci giorni ormai. Quello era il tempo che l'autore aveva impiegato camminando nella sterminata distesa di campi artificiali senza meta. Dieci giorni di silenzio, senza alcun essere umano a disturbare la quiete necessaria per la meditazione. L'autore aveva vagato lungo centinaia di terrazze circolari tutte uguali, infradiciandosi ogni tanto per gli irrigatori disseminati in giro e osservando le mietitrebbie che compivano il proprio lavoro. Erano bestie mansuete, molto più pazienti degli umani, e col tempo l'autore aveva imparato ad apprezzare la loro muta compagnia. Eseguivano il proprio lavoro con ammirabile devozione e, nonostante fossero composte da circuiti e giunture metalliche, egli era convinto che traessero piacere dallo svolgere la loro opera.
L'autore continuò a seguire il perimetro del campo per qualche miglio prima di intravedere una baracca di legno all'orizzonte. Doveva essere il locale dove gli addetti alla manutenzione idrica passavano il tempo in attesa di qualche guasto agli irrigatori. Già, nonostante quello fosse il luogo più isolato della terra (in quanto il resto del continente esplorabile era stato colonizzato) era ancora possibile trovare chiazze di umanità se si era abbastanza fortunati. L'autore sentì un languore pervadergli le viscere e fu riempito del desiderio di mangiare, bere e ristorarsi per un po'. Avrebbe ripreso il cammino più tardi, una volta rinvigorito da un lauto pasto e un più che meritato riposo. Cambiò quindi direzione, iniziando ad attraversare il campo per raggiungere la baracca. Era costruita con assi di legno, un materiale molto raro ormai, e un groviglio di cavi elettrici la collegava con le più vicine pale eoliche. Le finestre, inoltre, erano scurite dall'usura e un serpeggiante sentiero di spighe calpestate collegava la soglia alla fermata dell'Aerobus.
L'autore spalancò la porta ed entrò nel locale. Il ronzio delle mietitrebbie divenne un sospiro mentre i pochi avventori si voltavano verso di lui. Non c'era l'ombra di musica o chiacchiere, solo il fischio degli spifferi attraverso le assi di legno e il cigolio di un ventilatore che ruotava per inerzia. L'autore ignorò gli sguardi indagatori dei brutti ceffi che lo circondavano, dopodiché si trascinò lentamente verso un tavolo. Le gambe gli dolevano molto. L'autore si accomodò su una sedia scricchiolante e si tolse il giubbotto con delicatezza, poi iniziò a guardarsi intorno evitando accuratamente di incrociare le occhiate degli estranei.
«Desidera qualcosa?» domandò quindi il barista dopo un paio di secondi d'imbarazzato silenzio.
«Un bicchiere d'acqua, grazie» rispose l'autore con voce roca. Non parlava con qualcuno da dieci giorni, perciò le sue corde vocali erano parecchio arrugginite. Il barista emise un grugnito di approvazione e si chinò a scrutare la dispensa di bottiglie impolverate.
«Cosa la porta fin qui? Non sembrate un operaio»
«Infatti non lo sono» rispose l'autore «sono uno scrittore»
«E che ci fa uno scrittore nel mezzo delle pianure agricole?»
L'autore scrollò le spalle «Non lo so nemmeno io. Probabilmente ero stanco della vita della metropoli. Di tutte quelle auto, delle pubblicità che tartassano i timpani, dell'inutile frenesia dei passanti per strada... Il caos urbano mi ha prosciugato l'ispirazione e il piacere di compiere il mio lavoro. All'improvviso non traevo più piacere nello scrivere. Così ho cercato il posto più isolato del pianeta e visto che odio il mare ho scelto di venire qui. Sto vagabondando in silenzio da molti giorni, ormai. Per me è una specie di pellegrinaggio»
«Un pellegrinaggio?» mormorò il barista, versando l'acqua nel bicchiere «Normalmente il pellegrino compie il proprio viaggio alla ricerca di qualcosa. Lei sta cercando solo l'ispirazione o anche qualcos'altro?»
«Sicuramente qualcos'altro» continuò l'autore «ma nemmeno io so bene che cosa. Forse il vero senso di ciò che sono. Il motivo dietro alla mia necessità di scrivere. Credo che avere delle risposte sia l'unica via per guarire da questa tempesta di dubbi che non mi lascia dormire di notte. La meditazione mi aiuterà a trovarle. Per questo vagabondo. Se non lo facessi non avrei motivo per continuare a vivere»
Il barista annuì lentamente e ripose la bottiglia al proprio posto. Gli altri avventori del locale fingevano di essere concentrati sul proprio bicchiere, ma in realtà ascoltavano con attenzione le parole dello sconosciuto.
«Capisco» disse il barista «la sua è una spedizione nobile e rispettabile. Tuttavia credo che vagare senza scopo non riporterà alla luce le risposte che cerca. La meditazione è uno strumento assai limitato in confronto ad altri mezzi in grado di aprire la mente ai segreti che vi si nascondono»
«Che intendete dire?»
Il barista si frugò le tasche ed estrasse un piccolo astuccio di metallo, poi lo aprì delicatamente. L'autore sgranò gli occhi per scorgere il contenuto dello scrigno e aggrottò la fronte quando vide che si trattava di una grossa pillola biancastra. Il barista la prese in mano con accortezza e la fece cadere nel bicchiere d'acqua, dove subito iniziò a sciogliersi in mille tentacoli di polvere.
«Prendete questa» disse quindi, porgendo il bicchiere all'autore «vi aiuterà a trovare la strada giusta. Ciò che cerca se lo porta appresso, nel nucleo della sua mente, e quest'acqua saprà schiudere il bocciolo del suo subconscio. Si fidi di me e non abbia paura. Intraprendere un viaggio all'interno di se stessi è tutt'altra cosa rispetto a vagare senza meta lungo campi sterminati di grano. Le auguro un buon viaggio»
L'autore accettò il bicchiere d'acqua con malcelata riluttanza e osservò il barista mentre tornava dondolando dietro il bancone. Spostò quindi lo sguardo sull'amorfa nube lattiginosa in cui la pillola si era dissolta. Ormai si era quasi completamente sciolta. L'autore iniziò a riflettere, rigirandosi il bicchiere tra le mani. Non aveva mai pensato di assumere sostanze stupefacenti. Credeva che avrebbero alterato la sua mente, non che ne avrebbero ampliato gli orizzonti così da aiutarlo nel suo percorso. Eppure il barista sembrava sapere ciò che diceva. Forse quella pillola era davvero la risposta a tutto e lui non aveva ancora trovato la propria strada proprio perché non l'aveva mai presa in considerazione. Forse quei dieci giorni di viaggio non erano stati vani e l'avevano condotto alla soluzione grazie alla provvidenza del destino.
Ancora un po' scettico, l'autore portò il bicchiere alle labbra e ne ingollò il contenuto. Era insapore e inodore. La tensione nel locale si dissipò e gli avventori si disinterassarono improvvisamente del nuovo arrivato. Non c'era più nessuna titubanza di cui cibarsi; l'autore aveva trangugiato il liquido maledetto in un sorso solo.
All'inizio l'autore non provò niente se non un magnifico senso di sazietà. Non beveva da molto e lo scorrere dell'acqua giù per la gola gli provocò un'estasi quasi orgasmica. La sensazione dell'esofago che s'idratava fece scorrere dei brividi giù per la sua schiena ed egli chiuse gli occhi in preda al godimento. Chissà quanto avrebbe impiegato la droga a fare effetto. Aveva sentito dire che alcune sostanze psichedeliche impiegano parecchie ore prima di evocare le prime allucinazioni. Nel frattempo la freschezza dell'acqua rese infinitamente libidinoso l'assorbimento di questa da parte delle cellule. Forse era questo il senso ultimo della vita. Perseguire il massimo piacere possibile. La scarica ultima di dopamina, tanto intensa da causare un embolo nell'ultimo orgasmo prima della morte. Questa, tra tutte le strade possibili, era la più primitiva così come la più umana. Se ogni opera compiuta dall'uomo era destinata a dissolversi negli eoni che senso aveva dedicare la vita ad alcunché? Il piacere era fugace e immediato, certo, ma almeno era concreto. Ogni uomo raggiungeva l'immortalità durante una scarica di piacere. Per un millesimo di secondo non era più un essere debole e insignificante, bensì un ente assolutamente compiuto e in pace con se stesso, completamente assorto nel massimo atto d'umanità. Forse era quello il segreto della vita.
L'autore aprì gli occhi e con grande sorpresa vide che il locale era improvvisamente vuoto. Le pale del ventilatore cigolavano ancora, eppure il barista e i compagni avventori si erano smaterializzati senza lasciare traccia. L'unico individuo presente oltre a lui era una donna seduta lì di fronte che egli non aveva mai visto. L'autore rimase incantato dalla perfezione delle sue fattezze. Il suo viso era l'angelico ritratto di una giovane che mai sarebbe potuta invecchiare. I suoi capelli erano mossi, color caramello, e lei indossava un vestito rosso scuro che la faceva sembrare una diva del cinema vintage. L'autore sentì il sangue scorrere più impetuosamente nelle vene mentre la donna si sfilava delicatamente i tacchi a spillo e si voltava a fissarlo con sguardo fiero.
«Hai una vaga idea di quanto siano scomode queste scarpe?» esclamò improvvisamente, acerba «Certo che no. Dopotutto non hai mai indossato dei tacchi così alti. E comunque le mie sofferenze non t'interessano minimamente, visto che mi hai scritto così»
L'autore rimase spiazzato. Davvero non si aspettava di venir attaccato verbalmente in quel modo. Rimase basito per qualche secondo prima che la donna accavallasse le gambe formose e accennasse un sorriso pregno di sarcasmo.
«Non mi riconosci? Eppure ero così dettagliata nella tua mente quando mi hai creata»
«Scarlet?» balbettò l'autore, incredulo.
La donna picchiettò con le dita sul tavolo «Certo che non potevi scegliere un nome più azzeccato. Scarlet... Non riesco proprio a immaginare un nome più da puttana. Vestito rosso, rossetto vermiglio, capelli color dissenteria. Ti senti brillante per avermi dato quel nome? Rispondi sinceramente»
L'autore strabuzzò gli occhi. Improvvisamente ogni appetito sessuale svanì dalla sua mente e venne rimpiazzato da un forte timore. Non c'erano dubbi: era proprio lei. Scarlet Wilson, la protagonista del suo primo libro "La Notte è Giovane", lo stava insultando seduta al suo stesso tavolo. Che diamine di droga gli aveva propinato quel maledetto barista? Confuso, l'autore abbassò lo sguardo per osservare il bicchiere ma non lo trovò. Al suo posto, invece, era apparso un posacenere nero ricolmo di sigarette spente.
«Che cazzo sta succedendo?» esclamò l'autore, rialzando forsennatamente il capo. Sobbalzò dalla paura quando vide che un altro individuo era apparso di fianco a Scarlet. Era un uomo scarno e ingobbito, con la barba incolta e un paio di occhiali rettangolari poggiati sul naso adunco. Questa volta l'autore lo riconobbe subito: era Andrea Toniolo, il personaggio principale di un altro suo romanzo, ed era esattamente come se l'era immaginato. Indossava una felpa nera con l'illeggibile nome di una band metal e portava dei pantaloni della tuta beige coperti di macchie d'inchiostro; inoltre era davvero brutto. Sembrava la via di mezzo tra un gracile nerd degli anni '80 e un pescatore di tonni dal viso scavato dalla salsedine.
«Non siete reali» sbottò l'autore, convinto che bastasse una frase scocciata per far svanire quella visione.
«Dici così perché la droga non ha ancora fatto totalmente effetto» gli rispose Andrea senza sorridere «ma tra poco per te saremo l'unica cosa reale qui dentro»
«Non spaventarlo» Scarlet afferrò il polso del ragazzo «deve sapere che non siamo qui per nuocergli»
Andrea scrollò le spalle con fare annoiato, poi sollevò il braccio a rivelare una sigaretta accesa e se la portò alle labbra. L'autore era stordito. Perché i protagonisti di due dei suoi libri erano improvvisamente apparsi di fronte ai suoi occhi? La pillola doveva aver alterato il suo subconscio a tal punto da dare corpo e voce a ciò che aveva immaginato anni fa. Ciò significava che Scarlet e Andrea erano sprofondati laggiù una volta terminate le opere? Oppure che erano nati da esso fin dal principio?
«La seconda» disse Scarlet senza esitare. L'autore sobbalzò sulla seggiola e fissò la donna con occhi sgranati. Lei accennò un sorriso malizioso, evidentemente eccitata dall'apprensione dell'uomo.
«Ti stupisci che possiamo leggere i tuoi pensieri?» domandò «Siamo dentro la tua testa. Non puoi nasconderci nulla. Nessuno ti conosce meglio se non coloro che tu stesso hai generato, nutrito e cresciuto nella tua mente. E infine, ahimé, anche ucciso»
«Che intendi dire?» l'autore chiuse istintivamente le mani a pugno. Improvvisamente provava un immenso timore di fronte a Scarlet e Andrea. Se davvero potevano leggere nella sua mente egli non aveva la possibilità di nascondere alcunché. Né il pudore né le maschere sociali contavano niente di fronte a quei due individui. Un profondo senso di panico iniziò a diramarsi lungo le sinapsi dell'uomo e Andrea sembrò accorgersene.
«Scarlet vuole dire che non ci ha portati la cicogna. Dentro di te è avvenuto un processo di assemblaggio d'informazioni e ricordi che, dopo un lungo travaglio, ha dato luce a noi. Siamo figli delle tue insicurezze, dei tuoi rimorsi e dei tuoi giudizi affrettati, ma tu non lo sapevi quando ci hai creato»
«Che lessico!» squittì la donna «Se fossi reale saresti potuto andare a fare lo scrittore al posto di questo fallito»
Andrea sorrise, scoprendo i denti storti e giallastri, poi sbronzò la sigaretta sopra il posacenere. Un formicolio attraversò le dita dell'autore. Le derisioni di Scarlet stavano davvero iniziando a infastidirlo. Era tentato di prenderla a pugni se avesse continuato a stuzzicarlo in quel modo.
«Io non lo farei» disse lei, quasi divertita «sono un germoglio nato dalla tua corteccia cerebrale. Se non mi sopporti significa che non sopporti te stesso»
«Non hai niente in comune con me!» ribatté l'autore.
La donna si sporse in avanti sul tavolino, per niente turbata dall'atteggiamento minaccioso dell'interlocutore «Prima non hai risposto alla mia domanda» mormorò «rispondi a questa, allora. Ti odi? Rispondi sinceramente. Non c'è fretta, prenditi il tempo che ti serve»
L'autore grugnì, irritato dall'irriverenza di Scarlet. Nel suo libro non era mai stata così acida. L'aveva creata come una donna forte ma indebolita dalla sua voluttuosità, non certo come una manipolatrice così stronza. Nel corso del romanzo, poi, alla fine ella imparava che l'appagamento dato dal carisma e dai corteggiamenti degli uomini non contava nulla di fronte all'amore più sincero del giovane Gregory. Certo, era un ragazzo inesperto e poco interessato all'aspetto carnale della relazione, ma era l'unico che l'amasse con tutto il cuore a differenza dei seduttori che finora avevano amato solo la sua vagina. Perché il suo arco evolutivo sembrava essere svanito tutto d'un colpo? Perché? Perché si stava comportando in quel modo con lui?
Andrea e Scarlet si guardarono, probabilmente pensando la stessa cosa, poi lei sospirò profondamente e fissò l'autore negli occhi.
«È inutile che pensi al cambiamento del mio carattere» disse con un'inaspettata punta di sconsolazione nella voce «io sono solo il personaggio di un libro, mentre tu sei un essere umano in carne e ossa. Perché non pensi a te? Riversando tanto lavoro nello scolpire la mia personalità non ti sei reso conto che stavi trascurando la tua. E io so perché lo hai fatto, avendo vissuto nella tua psiche a lungo. Per questo ti odio»
«Non è vero. Ho scritto quel libro durante il periodo della mia vita in cui sono cambiato di più» rispose l'autore.
«Perché menti a me e a te stesso? Sai che non è così»
L'autore si morse il labbro. Probabilmente aveva ragione. In quegli anni aveva preso dei modelli piuttosto sterili come spunto di crescita. Voleva essere uno scrittore adulto, in grado di scrivere storie mature e dare l'idea di un genio distaccato dal mondo. Ciò che cercava di essere era una bugia cinematografica, un vessillo di carisma falso come gli uomini che nel libro corteggiavano Scarlet. Lei sembrò rasserenata che lui avesse ammesso la propria menzogna. Guardò verso il basso e inarcò il collo sottile prima di ricominciare a parlare.
«Forse non vuoi ricordarlo, ma hai passato interi pomeriggi a rifinire l'immagina che avevi creato di me. Ero una donna bellissima e inaccessibile per te, esperta eppure intrisa di un'inconfondibile aura di maternità. Tu non lo sai, ma l'amore che hai descritto tra me è Gregory era evidentemente l'ombra del tuo antico complesso edipico. Tu volevi essere Gregory nelle fantasie che proiettavi su di me e non hai mai voluto ammetterlo. La scrittura era ciò che rendeva palpabile la tua voglia di una donna perfetta, perciò, sapendo che non avresti mai potuto incontrarne una come me, mi hai creato e impresso per sempre sulla carta. Mi hai costretto a mentirti a lungo, a dirti che ti amavo sotto forma di Gregory solo per il tuo amore cavalleresco e francamente idealizzato. Sono solo la proiezione delle tue fantasie e la fasulla consolazione per le tue insicurezze. Se rileggessi il libro adesso ti accorgeresti che Gregory era un uomo come tutti gli altri. Il suo amore non ha nulla di speciale: la sua unica funzione è aiutarlo a conquistare la donna della sua vita. Infine sei cresciuto e mi hai dimenticato nel momento stesso in cui hai trovato la tua prima fidanzata. Sono stata rilegata nel subconscio, laddove ero nata, come un feto reintrodotto a forza nell'utero. Fino a ieri di me ricordavi solo l'ombra, ammettilo. Nemmeno più le fattezze. Hai faticato a riconoscermi»
Una volta terminato il discorso, il viso di Scarlet si fece paonazzo per la vergogna e per il dolore. Lo sfogo l'aveva spremuta fino a far sbucare un paio di lacrime dagli occhi verdissimi. Ora la donna stava lottando con tutte le sue forze per non scoppiare a piangere. Andrea espirò una folata di fumo, poi avvolse il braccio intorno al collo di Scarlet in un gesto di muta consolazione. Lei si aggrappò alla sua felpa e singhiozzò un paio di volte prima di calmarsi e tornare seria. L'autore si era improvvisamente immobilizzato, gli occhi strabuzzati per la sorpresa. Un profondo tormento interiore sembrava essersi risvegliato dalle profondità della psiche. All'inizio si sentì riempire di odio verso Scarlet, ma lei voltò gli occhi lucidi verso di lui e scosse la testa. L'autore si rese conto che senza volerlo aveva appena risposto alla domanda della donna. Era vero: si odiava profondamente. Le parole di Scarlet, turbinanti come un inarrestabile uragano dentro la sua testa, erano intrise di una cupa e dolorosa verità che egli non aveva mai preso in considerazione. Tutto si fece improvvisamente chiaro. L'odio si tramutò in dispiacere nei confronti della donna e subito dopo in un senso di confusione. Perché si stava preoccupando per le emozioni di un personaggio che aveva inventato lui stesso?
«Sei davvero crudele!» esclamò Scarlet, facendo trasalire l'autore. Si era dimenticato che i suoi pensieri non erano al sicuro. Andrea le lasciò appoggiare la testa sulle spalle, poi aspirò un'ultima volta dalla sigaretta prima di gettarla nel posacenere. Quel semplice gesto fece scaturire una tempesta di brividi lungo la spina dorsale dell'autore. A un tratto l'abbandono di quella sigaretta gli sembrò un atto disperato e senza cuore, assolutamente impietoso verso quel rotolo di tabacco intriso di nicotina. Gli venne un nodo alla gola mentre cercava di ignorare le pennellate di fumo che si levavano dal mozzicone come ultimi respiri. Nulla aveva più senso in quel locale battuto dal vento. Il lume della ragione lo stava abbandonando come la spirale di fumo esalata dalla sigaretta che, prossima alla morte, si accartocciava su se stessa.
«Crudele,» una voce mai sentita prima risuonò dietro l'autore «pigro, insensibile...»
L'autore si voltò di scatto. Questa volta non fu così sorpreso nel vedere i protagonisti di un altro suo romanzo camminare verso di lui. Erano Boccino e Ululello, i due personaggi principali dell'unico libro per bambini che avesse mai scritto, dedicato a suo figlio. Boccino era una specie di peluche ambulante dalle orecchie lunghe come calze da donna e il pelo sintetico a strisce gialle e rosa. Non aveva il naso e possedeva due occhi enormi e una bocca priva di labbra con cui adorava assaggiare qualsiasi cosa. La sua figura, ora molto più realistica e tridimensionale rispetto alle illustrazioni del libro, fece sobbalzare l'autore per la paura. Era imponente e minaccioso a grandezza naturale, di certo non goffo e adorabile come nel libro. L'altro personaggio era Ululello, il lupo menestrello. Era semplicemente un simpatico lupo antropomorfo che si proferiva vegetariano e preferiva strimpellare la chitarra piuttosto che andare a caccia di pecore. Anche lui era parecchio più terrificante dal vivo, con il pelo arruffato, le zanne aguzze, gli occhi troppo grandi che parevano scrutare fin dentro l'anima...
«...orgoglioso, egoista, privo d'empatia, capriccioso, permaloso...» continuarono a cantilenare i due mostri sotto lo sguardo malinconico di Andrea e Scarlet. L'autore boccheggiò, di nuovo irritato dalle gratuite provocazioni, e fece per aprire bocca quando i due lo interruppero alzando il tono della voce.
«...inaffidabile, arrendevole, superficiale, negligente, insicuro, meschino, burbero, invidioso, pretenzioso, apatico...»
La lista sembrava infinita e i mostri continuarono a sfornare aggettivi negativi per un altro paio di secondi prima di arrestarsi. Entrambi sfoderarono un sorriso soddisfatto e terminarono con un «infantile» che rischiò di far imbestialire l'autore, dopodiché si sedettero al tavolo.
«Sicuro di aver scritto il libro per tuo figlio?» domandò Ululello, iniziando ad accordare distrattamente la chitarra come se non fosse successo nulla.
«Non ne sono sicuro» aggiunse Boccino, facendo ondeggiare le orecchie pelose «ma di certo lo ha scritto per un bambino»
L'autore serrò i pugni e inspirò profondamente. Divenne rosso di rabbia e dovette ricorrere a tutte le sue forze per calmarsi. Erano mille volte più irritanti di Scarlet. Avrebbe dato qualsiasi cosa per dare una lezione a quegli orrendi mostri che non somigliavano minimamente ai simpatici personaggi che aveva immaginato mentre scriveva. Seguitò un lungo silenzio, interrotto soltanto dal fischiare del vento tra le assi e dalle corde pizzicate da Ululello, ancora impegnato ad accordare la chitarra acustica.
«Vedi qualcun altro in questa stanza che si può descrivere utilizzando questi aggettivi?» domandò quindi Andrea, ancora intento a consolare Scarlet.
«Fammi indovinare» rispose seccato l'autore «io?»
«A parte te, evidentemente»
L'autore tacque e passò in rassegna con gli occhi i personaggi che lo circondavano. Non riusciva a comprendere il senso della domanda. Andrea sbuffò annoiato, poi trascinò indietro la sedia e poggiò le scarpe logore sul tavolino.
«Sono io il portatore di questi titoli» disse infine «credevo che ci saresti arrivato. O forse ti sei dimenticato di me com'è successo per Scarlet?»
«Smemorato...» aggiunsero Boccino e Ululello «approfittatore»
«Finitela!» l'autore si decise finalmente a gridare. Stavano pericolosamente valicando il limite della sua sopportazione.
«Guardami» continuò Andrea, indicando se stesso con un ampio gesto delle braccia «sono il ragazzo che nessuno si augurerebbe d'incontrare per strada. Il compagno di classe deriso da chiunque e che odia se stesso più di ogni altra cosa al mondo. Troppo pigro per prendere in mano la situazione e tentare minimamente di migliorare»
L'autore tacque, esaminando il personaggio che lui stesso aveva creato. Stava agendo esattamente come egli avrebbe immaginato. Si stava piangendo addosso nel tentativo di riversare la propria frustrazione su di lui.
«Non è vero. Ti ho creato con dei lati positivi» ribatté infine.
«Cos'è positivo e cos'è negativo? Tu chi sei per deciderlo? Avevi in mente un modello ideale di uomo e hai creato me perché avevi bisogno di visualizzare l'opposto. Ricordi la trama del libro? Hai deciso che non ero abbastanza umano per salvare la vita al povero studente in mezzo alla strada. Che odiavo ogni ideale dei miei genitori senza mai pormi una vera alternativa e senza mai affrontarli»
«Ma poi sei migliorato. Dopo aver toccato il fondo sei tornato a galla. Nell'ultimo capitolo ti sei trasformato in una persona completamente diversa da ciò che eri nel primo»
Andrea socchiuse gli occhi ed espose un sorriso malinconico «Come Scarlet» disse, carezzando la donna ancora poggiata sulla sua spalla. L'autore aggrottò la fronte e si prese un momento per riflettere.
«Proprio non ci arriva» lo canzonò Boccino, scaturendo un'occhiataccia da parte sua.
«Anch'io sono nato dal fondo della tua psiche» Andrea riprese il discorso con tono piatto e distaccato «e come Scarlet rappresento l'impersonificazione di mille tue fantasie. Non capisci? Io rappresento la parte peggiore di te. L'ammasso dei tuoi difetti più grandi condensati in un unico ragazzo timido e apatico. Scrivendo di me, giudicandomi tramite la tua scrittura boriosa, non hai fatto altro che esorcizzare la paura di restare cristallizzato in una personalità negativa. Hai sempre ambito al massimo senza il coraggio di alzare un dito, esattamente come me, e narrare le disavventure di un ragazzo speculare al tuo lato peggiore. Volevi dimostrare a te stesso e al mondo che anche una feccia come me può cambiare per il meglio sotto circostanze soprannaturali»
Anche questa volta le viscere dell'autore si strinsero in una morsa di dolore. Le parole velenose di Andrea lo colpirono dritto al cuore e un'improvvisa tristezza lo riempì. Una pena nei confronti di un personaggio che ora, in carne e ossa, gli rinfacciava le mostruosità che aveva dovuto affrontare per colpa sua.
«Ti ricordi di Gerania?» intervenne improvvisamente Scarlet, mentre il ragazzo iniziava a respirare più pesantemente «Nel libro era quella donna col figlio affetto di leucemia. Nemmeno hai scritto se è sopravvissuto o no, nel finale. Nel capitolo cinque c'è un lungo dialogo con me in cui se la prende con Dio. "Perché Dio dà la vita a degli esseri umani per poi condannarli subito? Perché genera dei mostri destinati ad andarsene nell'innocenza più pura?"... Quando hai scritto un libro mi hai fatto consolare quella povera donna senza darle una risposta. Ma forse ora puoi farlo. Come ci si sente ad aver creato un mostro senza che se lo meritasse?»
«Non lo può sapere» rispose Andrea, che ora sembrava molto più teso «perché non ha funzionato. Io nel libro sono cambiato, ma lui è rimasto sempre lo stesso. La mia storia è la storia della sua vita se avesse avuto il controllo su tutto. La redenzione giustifica gli errori passati. È l'unica alternativa al restare immobili senza far niente»
L'autore ascoltò con calma le parole dei due personaggi. L'iniziale stizza nei confronti degli insulti si era improvvisamente trasformata in un pietoso vittimismo. Tutt'a un tratto si rese conto di essere il loro carnefice. Che in quel momento si stavano solo vendicando per la prigionia in cui li aveva costretti per lunghissimi anni. Erano figli della psiche di un uomo fragile, creati per scopi ultraletterari e condannati a un'esistenza sulla carta che li rendeva ridicoli specchi di fantasie intangibili. Aveva scritto due romanzi sull'accidia e non l'aveva mai realizzato. Solo adesso le nebbie iniziavano a diradarsi nella mente troppo sicura per occuparsi delle insicurezze.
«Tre, a dire la verità» lo interruppe Ululello.
«Che?»
«Tre romanzi» ripeté il lupo, scoprendo le zanne in un sorriso irrisorio «e comunque non siamo qui per vendicarci. Credo che tu abbia frainteso le nostre intenzioni»
«Non avete fatto altro che insultarmi per tutto questo tempo» l'autore incrociò le braccia. Boccino e Ululello si guardarono a vicenda, dopodiché all'unisono declamarono «sordo, superficiale»
«Credi davvero che siamo qui per nuocerti?» Scarlet scosse la testa, confusa dall'atteggiamento testardo dell'autore «Perché ti ostini a indossare maschere quando ti abbiamo ripetuto che leggiamo dentro la tua mente? Ti conosciamo meglio di chiunque altro. Nei tuoi libri siamo tutti cambiati profondamente. Abbiamo tutti affrontato un arco narrativo che, per quanto elementare sia, ci ha fatto diventare persone migliori. Manchi solo tu»
L'autore ascoltò in silenzio il rimprovero della donna e si poggiò la mano sulla fronte. Perché cazzo aveva accettato di inghiottire quella maledettissima pillola? Non aveva bisogno dei rimproveri di quattro figure immaginarie per ricordare quanto si facesse schifo. Ora voleva fuggire. Voleva tapparsi le orecchie per non sentire la verità. Era un boccone troppo scomodo e doloroso per essere inghiottito tutto d'un colpo, ma qualcosa gli diceva di doverlo fare. Non voleva che la parola "codardo" si aggiungesse alla lista delle qualità.
«Noi stiamo solo elencando degli aggettivi» aggiunse Boccino «se t'irrita sentirli ciò significa che li riconosci dentro di te. Se non fossi pigro non ci odieresti per averlo detto così, ad alta voce...»
«Ogni tanto le buone maniere non sono il modo migliore per cambiare un uomo. Non viviamo mica in un libro per bambini!» Ululello smise di strimpellare la chitarra e tirò una gomitata affettuosa al compagno «E a proposito di libri per bambini, cosa ti ha spinto a creare noi due, invece?»
L'autore guardò in cagnesco i due personaggi e si ritrasse in un silenzio ribelle. Finora aveva risposto raramente alle domande degli spettri evocati dalla droga, preferendo restare in silenzio che dare loro la soddisfazione di ammettere colpe seppellite dal tempo. Non si sarebbe abbandonato al vittimismo più infantile come volevano loro. Era un uomo ed era in grado di tenere testa a un paio di allucinazioni impertinenti.
«L'ho scritto per mio figlio. Perché potesse leggere qualcosa prodotto da suo padre» rispose quindi, tentando di mantenere la friabile fierezza nel tono della voce.
Ululello sogghignò «Non ti ho chiesto per chi lo hai scritto, ma perché»
«In questo caso le due cose corrispondono»
«Sbagliato» aggiunse Boccino, facendo dondolare le lunghe orecchie «credi davvero di essere così semplice?»
«Illuminatemi, allora!» sbottò l'autore, improvvisamente incollerito «Continuate ad accanirvi su di me! Non siete reali! I vostri insulti non possono toccarmi in alcun modo»
Scarlet e Andrea sussultarono all'improvviso sfogo del loro interlocutore, poi si guardarono preoccupati negli occhi. Evidentemente non si aspettavano una sfuriata simile. Avendo letto i suoi pensieri, avevano assistito alla triste consapevolezza che aveva seguito il monologo di Andrea. Era strano che l'autore stesse reagendo in quel modo. A quanto pare non aveva mai smesso di lottare contro la verità.
«Mi avete stancato» continuò. Ora non c'erano dubbi: era davvero incazzato. «Siete solo frutto della mia immaginazione. Una visione che svanirà tra poche ore. Siete la voce della mia coscienza che non mi lascia in pace per un secondo. Non era questa la fottuta illuminazione che cercavo! Non ho fatto tanti chilometri da solo, in pace con me stesso, per poi buttare all'aria tutto per colpa di una pillola di merda!»
«Non sei mai stato in pace con te stesso» insistette Scarlet «è tutta un'illusione. Ogni cosa nella vita è un illusione, anche la quiete della meditazione. Questo è l'unico dialogo con te stesso che tu abbia mai avuto»
«Voi! Voi siete un'illusione!»
«Eppure siamo più reali di qualunque altra cosa qui intorno. Perché siamo dentro di te» lo interruppe Andrea.
Un lungo silenzio seguitò. L'autore strinse le mani a pugno e si accorse di essere zuppo di sudore. Aveva i capelli incrostati di sporcizia, il volto pallidissimo e gli occhi iniettati di sangue. Due lacrime iniziarono a fare capolino dalle palpebre. Lacrime di rabbia e frustrazione. Era improvvisamente esausto dalla lunga marcia e dallo sforzo colossale di controllare le proprie emozioni. La stanchezza sembrava essergli crollata addosso tutta insieme come un macigno, stremandolo e riaprendogli gli occhi contro la sua volontà.
«Tuo padre non ti ha mai dedicato un libro» incominciò Boccino, spezzando il silenzio. L'autore lo lasciò fare, ascoltando la voce sfocata mentre percepiva il respiro farsi sempre più pesante.
«Non ti ha proprio dedicato niente, a dir la verità. È stato un genitore parecchio, e intendo parecchio assente. Non ti ha mai dato un buon esempio su come fare il padre. Perciò quando è stato il tuo turno non sapevi che fare. Hai anche pensato di lasciar perdere tutto, ma questa volta la coscienza ti ha dissuaso. Ah, avessi dato ascolto più di frequente alla tua coscienza!»
Ululello annuì sobrio, poi sgranò gli occhi enormi quando vide che l'autore si era accasciato sulla sedia. A un tratto aveva la bocca spalancata per respirare e la fronte bollente. Tutti e quattro i personaggi percepirono il dolore che stava lievitando nel petto dell'uomo. L'illuminazione stava finalmente arrivando. Nel momento di maggiore abnegazione della verità, la provvidenza aveva fatto sì che l'autore si sentisse sommerso dalla realizzazione della propria essenza più profonda.
«Quando è nato tuo figlio avevi il terrore di essere un padre assente. Sin dal primo momento lo hai soffocato, ascoltandone ogni capriccio e giustificando i suoi errori dato che li vedevi come uno specchio dei tuoi. Eri ossessionato dal pensiero che potesse crescere come te, tanto fingevi di disprezzarti sotto il tuo orgoglio»
L'autore percepì la vista farsi più nebbiosa. Il suo cervello stava macchinando furiosamente, ripercorrendo la sua vita istante dopo istante e illuminandone ogni episodio con l'occhio della realtà subconscia. Scarlet e Andrea si sussurrarono all'orecchio, forse preoccupati o forse soddisfatti del suo improvviso abbandono. Era l'apice dell'effetto della droga. Il climax in cui le allucinazioni erano più chiare e al contempo più diafane all'ombra dell'assoluta enormità della vergogna interiore.
«Hai creato noi due per generare fiabe in grado di indicare la strada giusta a tuo figlio. Noi siamo stati le distrazioni mirate a sviarlo dal prendere te come esempio. Non ti sei mai reso conto che io e Ululello avevamo molte più cose in comune con te di quello che sembra. In ogni episodio incarnavamo uno dei tuoi vizi e durante la conclusione lo superavamo crescendo. Inconsciamente pensavi che tuo figlio avrebbe seguito ciecamente le morali che gli propinavi tramite quei libri pregni d'ipocrisia. Esattamente come Scarlet e Andrea, noi siamo parte di te. La proiezione della tua accidia come monito per gli altri. E così ogni tua opera, dai lavori infantili alle poesie per la mezz'età. Per tutta la tua vita non hai fatto altro che scrivere libri che senza saperlo parlano di te. Cercavi la risposta al perché sei uno scrittore? Perché trovi piacevole raccontare storie e ti ecciti al pensiero che la gente ami i tuoi racconti? Eccola la risposta: per te è un bisogno fisiologico. Il bisogno di fuggire dalla realtà indagando la versione ideale di te stesso e fantasticandoci sopra finché non la trovi piacevole. È molto più soddisfacente che affrontare le difficoltà della vita vera, non trovi?»
L'autore si rese conto che finora non aveva mai sperimentato il vero dolore. Tutti quegli anni di depressione erano una mera finzione di fronte alla verità sepolta negli abissi della sua psiche. Le parole del mostro a righe gialle e viola penetrarono come coltelli attraverso la sua corteccia cerebrale e squarciarono la vescica dov'erano imprigionate le insicurezze. Per tutta la sua vita non si era mai reso conto di quanto fosse stato insignificante. Le pareti di legno del locale sembrarono contrarsi come a rinchiuderlo nell'angusto spazio dei suoi rimpianti. Ad un tratto tutta la sua esistenza non era altro che una perenne lotta claustrofobica in cui egli stesso aveva fallito. Una calda tana d'ideali in cui si era rinchiuso per troppi anni.
«Manca però un dettaglio. Un'altra cosa che non sapevi quando hai scritto le nostre storie. Non l'hai fatto per tuo figlio» continuò Boccino, sempre più solenne «ma per te. Per convincerti che eri in grado di essere migliore di tuo padre. Hai pensato che il miglior modo di aiutare tuo figlio fosse dedicargli l'attività che sapevi fare meglio: scrivere, eppure non hai mai davvero pensato a lui mentre ideavi i racconti. La verità è che sono delle fiabe scritte per te stesso, piene zeppe di morali che calzano a pennello con i tuoi difetti. Nemmeno l'amore per tuo figlio è stato immune al tuo infinito egoismo e al tuo ossessivo bisogno di mascherare ogni insicurezza con i tuoi libri»
L'autore improvvisamente comprese tutto. I quattro personaggi tacquero e lasciarono che la droga toccasse il massimo picco di efficacia, illuminandolo. Le lacrime iniziarono finalmente a sgorgare dai suoi occhi, inzuppando i luridi vestiti e rigandogli le guance bollenti. Ogni pilastro che cercava di evitare la collisione con la verità si frantumò in un istante e l'autore eruppe in un pianto infantile. Si accasciò sul tavolo, quasi inconsapevole della realtà attorno a lui da quanto era rapito dall'estasi di apprendere finalmente se stesso. Tutti quegli anni di menzogne e simulazioni erano finalmente terminati. Una sensazione di estrema pace lo invase. Non era una tranquillità fittizia come quella che pensava di aver ottenuto durante quei giorni di meditazione. Era la sensazione di conoscersi appieno e di aver abbracciato finalmente la verità. Aveva perso un'infinità di anni seguendo chimere e crogiolandosi nell'accidia e nella cecità volontaria, ma ora era tutto finito. Ora aveva compreso se stesso e la strada che lo attendeva. Finora, attraverso i suoi libri, aveva implicitamente scritto la propria storia. I suoi difetti, i desideri, le fantasie... tutto era contenuto tra le pagine di ogni romanzo che aveva scritto, e ogni pezzo insieme formava il mosaico fluido e in continuo mutamento che era la sua vita. Scarlet e Andrea si presero per mano e sorrisero all'autore, che aveva improvvisamente rilassato i muscoli facciali.
«Così» mormorò Ululello «lasciati andare»
Come i personaggi che aveva scritto, il suo arco narrativo era giunto all'apice. La vita non era altro che un lunghissimo romanzo di formazione. Un apprendimento continuo che si era appena concluso in quel momento d'intuizione cosmica. L'autore visualizzò il suo ego, marcio e purulento come il nocciolo di un frutto avariato, e sentì la forza della psiche soffiarci sopra. Ogni dubbio venne risolto in un lampo e per un momento egli si sentì pienamente realizzato. Fu un istante brevissimo ma indimenticabile. Dopodiché la droga iniziò a scemare e l'autore sentì il corpo materiale riprendere conoscenza. La sua coscienza stava tornando sulla terra dopo aver sfiorato l'assoluto. L'autore si sentì come un bambino che scopriva il mondo per la prima volta. L'innocenza tutt'a un tratto era il bene più prezioso esistente, e l'autore si addolorò di essersene allontanato. Ma ora sapeva. Sapeva perché aveva dedicato la propria vita alla scrittura. Sapeva perché i personaggi gli avessero rivelato la verità. Sapeva il vero gusto del pentimento più sincero e la risposta a domande che non si era mai posto. Il suo viaggio non era terminato. Era appena cominciato.
«Così. Lasciati andare» ripeté Ululello in coro con gli altri personaggi. L'autore riuscì a osservarli tutti per un'ultima volta con le poche energie che gli erano rimaste. Scarlet gli sorrideva come una madre amorevole, mentre Andrea aveva un'espressione malinconica ma soddisfatta. Boccino e Ulullello sembravano sogghignare compiaciuti e ripresero a cantilenare «Dormi, dormi, dormi». L'autore provò un piacere infinito nell'essere cullato come un neonato e le palpebre si socchiusero sempre di più. Finalmente, dopo un altro paio di secondi, la mente si richiuse in se stessa e un velo nero calò sugli occhi dell'autore, che perse dolcemente conoscenza mentre nell'aria ancora risuonava l'eco della nenia di conforto.
L'autore si risvegliò dopo parecchie ore. Subito si pulì le lacrime che gl'incrostavano il viso e riprese a respirare freneticamente. Il distacco dal corpo sembrava aver sospeso le funzioni di alcuni organi, perciò egli dovette sdraiarsi a prendere fiato. Lentamente i suoi occhi ripresero a vedere, le orecchie a udire e la pelle a percepire la brezza che faceva danzare le spighe attorno a lui. Tornare a percepire il contatto col suolo materiale era una strana sensazione dopo il viaggio extracorporeo che aveva percorso. L'autore si sentì rinato come una fenice riemersa dalle ceneri. L'aria era più saporita di prima e i colori gli sembravano più vividi. In più si sentiva la testa leggera, svuotata di ogni preoccupazione superflua. L'autore trasse un profondo respiro, assaporando l'emozione di essere vivo, e rise come un bambino alla luce del sole.
Una volta ripresosi, quindi, egli si alzò in piedi e iniziò a guardarsi intorno. Si trovava nel bel mezzo di uno dei Campi di Bioagricoltura Artificiale, circondato da migliaia di spighe. Non c'era traccia del locale nel quale aveva vissuto le allucinazioni. Per un momento egli si sentì sperduto. Come ci era finito lì? Aveva vagato nel sonno abbastanza a lungo da allontanarsi inesorabilmente da quel fatiscente pub? O forse il locale stesso aveva fatto parte della visione onirica e la sua meditazione non era mai stata vana? L'autore non capiva. Eppure un sorriso gli sorse genuino. In fondo non aveva importanza, pensò, perché quel luogo gli piaceva. Le mietitrebbie vagavano tutt'intorno come bovini affamati, fagocitando il grano con il solito ronzio che lo aveva accompagnato per tutti quei giorni.
«Ora sono come voi» disse l'autore, incamminandosi verso l'ignoto. Finalmente anche lui era in pace con se stesso, consapevole della propria insignificanza nel piano del creato eppure soddisfatto di essere ciò che era. Come aveva detto Andrea, la redenzione giustificava una vita dissoluta. E lui era appena riemerso dal sepolcro. Quella era la resurrezione promessa agli uomini da Cristo nel Vangelo, carnale e spirituale. L'autore trasse un respiro profondo prima d'incamminarsi verso l'ignoto. Sarebbe tornato a casa e avrebbe scritto l'ultimo romanzo della sua vita. Dopotutto scrivere era ciò che amava fare di più. Mentre l'autore si prestava a riprendere il cammino, inconsapevole se sarebbe giunto vivo al confine delle pianure ma infinitamente sereno, gli capitò di specchiarsi in una pozzanghera. Vide riflesso il viso di un uomo diverso e riempì la borraccia con un po' d'acqua prima di avviarsi verso il tramonto.
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