k u r o k e n ⋆ di amori estivi e scomode confessioni
⋆ Coppia: Kuroo Tetsuro x Kozume Kenma
⋆ Parole: 3912
⋆ Note: au! ATTENZIONE: tematiche delicate (bullismo)
°••** *- ❀ -* **••°
C'era Kozume Kenma rintanato in un angolo d'ombra sul tetto della scuola, durante l'ora di educazione fisica.
Il suo nome gli piaceva un casino. Kozume Kenma, Kozume Kenma, Kozume Kenma. Aveva una musicalità tutta sua. Kuroo se lo ripeteva all'infinito; risuonava nella sua mente di continuo, una sinfonia che faceva da colonna sonora alla sua vita, da sfondo ad ogni suo pensiero.
Gli si avvicinò senza neanche rendersene conto, a quella figura tanto piccina. Raggomitolato su se stesso -con le ginocchia vicine al petto e la testa infossata nelle spalle- pareva un gattino indifeso alla ricerca di riparo. Era così diverso da lui, che emanava sicurezza e teneva sempre la schiena dritta e il mento alto. Era così diverso e gli piaceva così tanto.
Giunse talmente vicino da poter distinguere i filamenti sottili e biondi dei capelli che, disordinati, gli ricadevano sul volto. Un vento leggero e caldo, preludio d'estate, si insinuava attraverso le ciocche dorate e li faceva danzare.
Le sue dita erano sottili, affilate. Slittavano veloci sul videogioco, stringendolo febbrilmente mentre premevano sui tasti alla velocità della luce. Era difficile seguirle con lo sguardo.
Kuroo avrebbe potuto perdere intere ore a contemplare quella scena.
Mentre il personaggio infliggeva il colpo finale all'avversario, gli occhi d'ambra si sollevarono verso di lui. Per un solo istante percepì quello sguardo percorrere la sua intera figura, rapido abbastanza da poter essere solo un'illusione, ma la sensazione di congelare e allo stesso tempo andare a fuoco sotto quelle iridi feline era sicuramente reale. Durò meno di un secondo e il ragazzo tornò a concentrarsi sul gioco, saltando con un frenetico premere di tasti tutta la parte dialogata.
Se lo aveva incontrato lì, su quel tetto silenzioso e pieno di vento dopo mesi di occhiate fugaci nei corridoi, forse erano entrambi finiti in uno di quei giochi con cui si dilettava destino.
Ora, pensò. È ora o mai più.
E la sua mente si spense completamente.
«Ma dai! Quindi non è che sembri un povero nerd sfigato, lo sei»
Per minuti interi il ticchettio furioso dei tasti fu l'unica risposta che ottenne.
Attese, mentre realizzava ciò che aveva appena detto. Voleva prendersi a schiaffi, sbattere la testa contro la porta di metallo che lo aveva condotto lì su, cancellare le proprie parole a costo di sputare sangue.
Attese, e attese talmente a lungo che iniziò a convincersi di essersi solo immaginato quella frase. Forse non era troppo tardi, forse poteva ancora iniziare una conversazione in modo normale.
Poi, dannazione, Kozume alzò lo sguardo di nuovo. Stavolta i suoi occhi lo scrutarono più a lungo, più a fondo. E Kuroo poteva sentire la sua voce -quella che aveva avuto occasione di ascoltare solo di sfuggita, e di cui conservava gelosamente il ricordo. Stai parlando con me? gli chiedeva.
Scusati.
Scusati, idiota, non è troppo tardi.
Di' che non era quello che intendevi, ridici su, chiedigli di che parla il gioco. Non farla finire così.
«Sì, ce l'ho con te, sfigato»
Lo sguardo di Kenma si fece ancora più intenso.
«Ti conosco?»
«Kuroo Tetsuro, terzo anno, classe cinque»
«Ok»
E, come se niente fosse successo, tornò al suo videogioco.
❀
Il problema era che Kuroo non aveva proprio idea di come relazionarsi con l'amore.
Almeno, questa era la sua giustificazione, la scusa con cui cercava di discolparsi da tutte quelle azioni crudeli. Si convinceva che ci fosse un problema di cui lui era solo una delle vittime.
Non era colpa sua.
Si rigirò nel letto e la coperta gli si arrotolò attorno alle gambe. Scalciò per cercare di liberarsi, inutilmente. Faceva caldo, quella notte, non riusciva a dormire.
Quando qualcuno brillava ai suoi occhi, quando il suo cuore veniva stregato dal suono di una voce, o da uno sguardo magnetico, o da labbra invitanti, non sapeva più come comportarsi. E l'artefice di quel maleficio diventava il suo nuovo bersaglio.
Diamine, era uno stronzo. Ma andava bene, no? Gli stronzi sono quelli fighi. No? No, forse no.
Non è colpa mia.
Il mio cervello si spegne.
Non sono più io a parlare.
Se quella mattina aveva bruciato una possibilità con Kozume Kenma oramai non aveva più senso lamentarsi. Non poteva dire di non averci provato. Non era neanche andata tanto male, in verità, dopotutto era riuscito a presentarsi. Sì, giusto!
"Amami oppure odiami, entrambe le cose sono a mio favore. Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore. Se mi odi, sarò sempre nella tua mente" aveva detto Shakespeare. Non era romantico? Non andava bene?
Se non aveva possibilità di approcciarsi a Kozume Kenma in maniera normale allora si sarebbe fatto odiare. Si sarebbe fatto odiare così tanto che sarebbe divenuto il fulcro dei suoi pensieri, avrebbe vissuto nella sua mente e sarebbe stato il protagonista di ogni suo sogno. Proprio come Kenma era l'unico abitante del suo cuore.
E alla fine quell'odio sarebbe stato in tutto e per tutto uguale all'amore.
Poteva funzionare. Forse. Sembrava una buona scusa.
Il vero problema era Kuroo Tetsuro. Sotto sotto lo sapeva già, nel profondo di quell'animo fintamente cieco. Ma con quale coraggio poteva ammettere una cosa del genere? No. Preferiva arrampicarsi sugli specchi -era patetico, sapeva anche questo- e fuggire dalle proprie responsabilità.
Si prospettava una notte lunga e priva di sonno.
❀
Era uno dei primi giorni di giugno, quando fu convocato in sala professori.
Dalle finestre aperte entrava una brezza calda che portava con sé il canto delle cicale e il profumo del sole. L'aria profumava già di estate.
Una storia d'amore tra i banchi di scuola, si ritrovò a pensare. Sì, era la perfetta scena d'inizio per un film del genere.
Kuroo percepiva comunque i brividi corrergli lungo la schiena, davanti allo sguardo del professore.
«Sai perché sei qui, Kuroo?»
«Ad essere sincero no, sensei» disse, ed era la verità. Non gli veniva in mente niente che potesse aver fatto. Niente. Niente. Se lo ripeté ancora e ancora, finché non ne fu convinto.
«Conosci Kozume? È un tuo kohai del secondo anno»
Non hai fatto niente, Tetsuro, quindi calmati.
«Solo di vista» ma era una bugia. Kenma non era il tipo di persona che si poteva conoscere di vista, era bravo a rendersi invisibile davanti ad occhi distratti.
«Mi è stato riferito che hai un atteggiamento... piuttosto meschino nei suoi confronti»
Fu come ricevere una secchiata d'acqua gelida, come se tutte le sue colpe all'improvviso— no, non era vero. Non stava succedendo nulla del genere. Quella che usciva dalla bocca del professore non era la verità, cosa poteva saperne lui?
Crede che io...
Non è così. No, assolutamente no.
Non è colpa mia.
«Ci deve essere stato un malinteso, sensei. Non farei mai una cosa simile»
Mai. Non lo farei mai.
«Sì, è quello che credo anch'io» il professore, quindi, lo capiva «Kuroo, sei a dir poco uno studente modello: hai voti alti e sei pieno di carisma, riesci a farti ben volere sia dai professori che dai compagni. Per questo voglio sperare che ciò che ho sentito non sia vero -non riesco proprio a crederci. Ma se dovessi ricevere un'altra denuncia non te la caverai con un semplice richiamo»
Uscì in cortile con le gambe leggere, il petto leggero, la testa leggera.
Era così.
Lo sapeva anche il professore, che non era colpa sua.
Non avrebbe mai potuto far del male a Kenma. Non volontariamente.
Nascose il pensiero che iniziava a far rumore nella sua mente; cercava di attirare l'attenzione, ma lo avrebbe ignorato.
Ma quello lì, cosa cazzo va a raccontare?
No. Pensa ad altro...
Dobbiamo fare due chiacchiere.
Ormai manca poco all'estate.
❀
Lo trovò nella sua aula durante la pausa pranzo.
Faceva caldo, fuori c'erano il sole e il cielo azzurro e un concerto di cicale; gli studenti si radunavano all'aperto. Le classi erano vuote e Kuroo lo aveva visto di sfuggita, quasi per caso, mentre passava davanti alla porta socchiusa.
Kenma lo aveva notato subito -le sue spalle avevano avuto un leggero tremito che non era sfuggito allo sguardo attento di Tetsuro- ma alzò gli occhi su di lui solo quando furono a meno di un metro di distanza, un banco a separarli.
Se ne stava rannicchiato con i piedi sulla sedia e la console del videogioco poggiata sulle ginocchia, il naso quasi sfiorava lo schermo. Come se cercasse di farsi piccolo piccolo e sparire. Adorabile.
Tirò un calcio contro la gamba del banco; l'eco metallico si disperse lungo la superficie di legno, tremando, e giunse fino alle gambe di Kenma.
«Chi è il tuo professore di giapponese?» la voce uscì come un rantolo gutturale, una specie di ringhio.
Parlare con Kenma era difficile, praticamente impossibile. Una bolla di imbarazzo si formava alla bocca dello stomaco e saliva su fino al cervello, inibiva i suoi sensi e smorzava il respiro. E intanto il corpo fremeva di adrenalina; diventava un animale indomabile e nervoso, necessitava una valvola di sfogo che non poteva avere.
In seguito si sarebbe pentito. Già lo sapeva.
Il ragazzo davanti a lui lo osservava con gli occhi spalancati.
«Credi che abbia tutto il giorno? Ti ho fatto una domanda» per Kenma, in verità, Kuroo avrebbe avuto anche tutta la notte.
«O... Okumura-sensei» e Kenma piegò le gambe più vicine a sé.
«Ma dai! Che coincidenza, è anche il mio!» tirò un altro calcio, e poi un altro ancora, perché in quel momento era l'unica cosa che gli permettesse di scaricare la tensione.
C'era qualcosa di rilassante, nel suono vibrante del ferro.
«Gli hai detto qualcosa di strano, per caso?»
«... Tipo?» gli occhi di Kozume slittarono sullo schermo, ma le sue dita non si muovevano. Stava solo evitando di guardarlo.
«Qualcosa di non vero»
«Gli ho detto che il tuo comportamento mi dà fastidio. Gli atti di bullismo vanno denunciati ad un adulto»
Kuroo scoppiò a ridere, ma non c'era niente di divertente e lo sapevano bene entrambi. Altri tre calci. Il bordo del banco colpì le gambe di Kenma, un gemito di dolore sfuggì da quelle labbra piccole e rosa.
«Ti prendo solo un po' in giro, ma si fa per scherzare! Diamine, non devi mica prendertela per ogni singola cosa! Capito? Smetti di sparare cazzate. Che poi i prof se la prendono con me»
«Sinceramente... credo di avere ragione»
Kuroo sbatté con forza le mani sul banco, stavolta, afferrò l'astuccio aperto e lo lanciò contro la lavagna. Penne e matite piovvero sul pavimento.
«Credi di essere nella posizione di farmi paura?» ammiccò in direzione della console «Quel coso non dovresti neanche portarlo a scuola. Ci metto un attimo a riferire al preside che salti le ore di ginnastica per giocare ai videogiochi»
Lo vide impallidire.
«Direi che ci siamo capiti»
Uscì dall'aula a passo di marcia e si infilò nei bagni, il cuore batteva così forte che lo sentiva nelle orecchie.
Davanti allo specchio appeso sul lavandino si rese conto di essere completamente rosso, e le sue mani tremavano. Lavò il viso sperando che l'acqua fredda cancellasse l'imbarazzo, invece fece solo giungere il senso di colpa.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Gli aveva fatto male. Quel piccolo gemito che Kenma si era lasciato sfuggire risuonava nella sua mente come un grido di dolore.
Non sarebbe dovuto succedere.
Aveva esagerato.
Ero teso per via del rimprovero. Mi sono lasciato trascinare dalla paura.
Ma no, non esistevano scuse in quel momento. Mai, per nessuna ragione al mondo avrebbe dovuto ferire quella pelle diafana.
In seguito, mentre suonava la campana che annunciava la fine della pausa pranzo, si affacciò nuovamente alla porta della seconda.
Non c'era più nessuno. Ebbe lo strano presentimento che Kenma fosse fuggito da lui.
In fretta e furia raccolse l'astuccio ed il suo contenuto.
Lo lasciò sul banco come un vile pegno d'amore.
❀
Kenma si stava dimostrando un giocatore di nascondino particolarmente abile, ma Kuroo era più paziente di quanto non sembrasse.
Agosto era alle porte e con esso la pausa estiva. Quel loro gioco andava avanti da oramai quasi due mesi e Kuroo sentiva di poter toccare il cielo con un dito.
Kenma lo odiava, ne era certo. Forse trascorreva le lezioni sovrappensiero, chiedendosi come lo avrebbe evitato quando la campana avesse suonato.
Kuroo Tetsuro era infine riuscito a conquistare la sua mente.
Bene così. Un altro piccolo sforzo, ancora un pochino. Avrebbe preso anche il suo cuore.
Non era sulle scale dietro la palestra.
I nascondigli di Kenma seguivano uno schema sempre nuovo, Kuroo aveva appena il tempo di scoprire quale fosse ed era già cambiato. C'erano alcune caratteristiche invariabili, però. Luoghi silenziosi e poco frequentati, lontano dalla calura dell'estate. Non erano poi molti, i posti all'interno della scuola che rispettassero quei canoni.
Forse è già cambiato.
Ieri l'ho trovato vicino al laboratorio di scienze, in teoria non avrebbe senso andare a nascondersi di nuovo lì...
Il laboratorio di scienze era sullo stesso piano delle classi terze. Quindi Kuroo aveva fatto il giro dell'edificio per poi ritrovarsi al punto di partenza e la cosa iniziava ad irritarlo.
Si rese conto non appena mise piede sull'ultima rampa di scale che qualcosa non andava.
Kenma gli sfrecciò davanti agli occhi e Kuroo era certo di non averlo mai visto correre, ma ciò che gli fece andare il sangue alla testa furono i due ragazzi che gli erano subito dietro in un visibilio di risate.
Con un brutto presentimento salì in fretta gli ultimi scalini e si precipitò nella stessa direzione. Li trovò che costringevano Kenma in un angolo del corridoio deserto.
Il sangue gli ribollì nelle vene. Le orecchie fischiarono, udiva quelle risate crudeli e gli insulti con cui sembravano volerlo seppellire. Uno dei due lo aveva afferrato per i capelli e lo stava costringendo a piegarsi.
Osservò quei fili d'oro stetti tra dita che non avrebbero neanche dovuto osare avvicinarsi e prima ancora che potesse rendersene conto la sua mano si posò sulla spalla del ragazzo, artigliando la stoffa dell'uniforme.
Il ragazzo si voltò ed il suo amico con lui, per un attimo sui loro visi si riflesse il terrore di chi è stato scoperto a compiere un delitto, ma parvero riconoscerlo e rilassarsi immediatamente. Anche Kuroo li riconobbe. Compagni di classe, gente con cui ogni tanto chiacchierava tra una lezione e l'altra.
«Oh, Kuroo!» lo salutò il ragazzo e si sentiva una nota di divertimento nella sua voce. Che cazzo aveva da ridere? Kenma era ancora in ginocchio sul pavimento e a Tetsuro prudevano le mani.
«Lascialo»
Più che una parola uscì dalla sua bocca come aria velenosa che in qualche modo era riuscita ad articolarsi in un comando.
«Eddai, amico, volevamo solo—» ma la seconda metà della frase si perse in un gemito di dolore.
«Lascialo» scandì di nuovo e lentamente, mentre la mano sulla spalla stringeva ancora di più e fremeva d'ira.
«Mi... fai... male!»
Non provò neanche un po' di pena, guardando il suo volto contrarsi dal dolore mentre tutta la sua forza si concentrava in quella stretta sulla spalla.
La mano lasciò i capelli di Kenma per afferrargli il polso nel tentativo di liberarsi, solo a quel punto lo gettò a terra.
Spostò lo sguardo sull'altro ragazzo e si assicurò che i suoi occhi fossero chiari nel fargli recepire il messaggio.
«Andatevene»
E non se lo fecero ripetere una seconda volta.
Solo quando il suono dei passi veloci fu perso tra i corridoi e le aule si avvicinò a Kozume.
Lo prese per i gomiti, delicatamente -con una dolcezza che, solo fino a pochi istanti prima, non gli si sarebbe mai potuta attribuire- e lo aiutò ad alzarsi.
Percepì i muscoli di Kenma tendersi al suo tocco, lo sentì irrigidirsi e rabbrividire.
Gli accarezzò i capelli, lì dove poco prima erano stati stretti con forza. Il ragazzo si scostò come scottato.
«Tutto ok?»
Era una domanda stupida. Ovviamente non poteva essere tutto ok. Ma Kuroo diventava incredibilmente stupido quando gli era vicino.
Gli occhi di Kenma erano quelli di un gatto, gli si puntarono addosso e Kuroo si sentì ridurre in cenere. Uno sguardo indecifrabile; forse era arrabbiato -avrebbe fatto bene ad esserlo. Le iridi feline lo trafissero come dardi d'oro, dandogli fuoco dall'interno. I suoi organi bruciavano.
«È tutta colpa tua» lo colpì il tono di voce. Acuto e spezzato, affilato come un pugnale, preannunciava le lacrime «Andava tutto bene, prima che arrivassi tu»
La bocca improvvisamente divenne secca.
«Cosa?»
«Perché credi che mi abbiano preso di mira? È perché tu sei stato il primo, hai iniziato tu» la prima goccia di pioggia rotolò lungo quella guancia d'avorio che iniziava a farsi rossa di pianto. Kenma tirò su col naso, si sfregò prepotentemente le maniche della divisa sugli occhi e Kuroo non aveva idea di come comportarsi. «Ma io... io... che cosa ti ho fatto?»
Era solo un sussurro, un lamento sottile e quasi inudibile. Fu come se qualcuno -o Kozume stesso- avesse preso il suo cuore in una mano e stretto il pugno.
«Non... dare la colpa a me... noi siamo—»
«Noi non siamo amici. Non lo capisci che ti odio? Ti odio e mi fai paura»
Andava bene. Andava bene. Andava bene anche farsi odiare. Giusto?
Sbagliato.
Farsi temere?
Kenma piangeva.
Mi dispiace.
«Non è colpa mia...»
«È SOLO COLPA TUA!»
Il cuore gli si strinse ancora. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma Kenma pareva calmarsi un poco solo se manteneva una certa distanza da lui.
Ha ragione.
Scivolarono entrambi contro la parete e si sedettero sul pavimento del corridoio. Kuroo non poté impedirgli di raggomitolarsi su se stesso e abbracciarsi da solo. Kenma pareva fragile ed indifeso, scosso dai singhiozzi come se fosse sul punto di soffocare; ma non c'era nulla che Tetsuro potesse fare, era stato chiuso fuori da quel mondo interiore che tanto avrebbe voluto conoscere.
«È perché mi piaci. Mi piaci e allora cerco di attirare la tua attenzione»
Improvvisamente faceva molto più caldo e stava soffocando -dopotutto erano gli ultimi giorni di luglio, ormai piena estate.
Strofinò i palmi sudati sui pantaloni, non osò neanche provare a deglutire. Nella sua mente stava avendo luogo una dettagliata riproduzione dell'apocalisse.
Il pianto di Kenma parve essersi fermato, ma il corpo minuto era ancora scosso da singhiozzi silenziosi.
«È... è una cosa stupida» fu flebile il sussurro che ruppe quel silenzio imbarazzante.
Kuroo gli rispose senza neanche pensarci.
«Sì»
«È la cosa più stupida che abbia mai sentito»
«Già» e sentì il bisogno di giustificarsi in qualche modo «Non so più ciò che dico o faccio»
«Allora basta che la smetti»
«Non è così mica facile!»
«Mah... non sembra neanche così impossibile...»
Quando ebbe il coraggio di spostare lo sguardo su Kenma trovò un paio di iridi feline che lo osservavano curiose. Quegli occhi rancorosi di poco prima parevano ora dimenticati.
E Kuroo si rese conto che per quanto strana potesse essere la conversazione -e nonostante Kozume avesse ancora le lacrime incastrate tra le ciglia e gli occhi gonfi e il naso rosso- quella era la prima volta che parlavano così tranquillamente.
Era bello e un sorriso gli sfuggì dalle labbra.
Due giorni dopo -a seguito di notti insonni e ore perse dietro a pentimenti e scuse che crollavano come il più effimero dei castelli di carte- Kuroo tornò a dedicarsi al loro nascondino.
Fu la partita più difficile di tutte.
Lo trovò mentre il trillo della campana si perdeva nel vento caldo di luglio -la pausa era volata e lui non aveva neanche pranzato- ed era rintanato in un angolo d'ombra sul tetto della scuola.
È colpa mia. Ed è imbarazzante come abbia cercato di discolparmi.
Ma posso cambiare.
Vorrei cambiare.
Non era sicuro se fossero solo pensieri o li avesse pronunciati ad alta voce.
«Vorrei essere tuo amico»
❀
Il furin che Kuroo gli aveva regalato era stato appeso alla finestra della sua camera. Tintinnava vivacemente anche nell'aria immobile grazie alla brezza leggera e fresca del ventilatore.
«Sei a posto con i compiti?»
Kenma non rispose. Lo sguardo incollato sullo schermo della televisione, le dita che slittavano veloci sul controller e la sua navicella che faceva strage di quelle nemiche. Con la coda dell'occhio Kuroo lo vide annuire distrattamente.
«Sicuro che non ti serva ancora aiuto in matematica?»
«Sì»
«La scuola ricomincia domani»
«Lo so»
«Che ne dici di uscire un po' dopo questa partita?»
Non fu facile convincerlo. Kenma odiava uscire, soprattutto quando fuori l'aria era tanto calda da rendere la pelle appiccicosa; ma Tetsuro aveva vinto una partita -una sola vittoria strappata quasi per miracolo al campione imbattuto- e quello era il premio che aveva rivendicato.
Il fiume scorreva poco lontano dalla casa di Kozume, la riva era uno spiazzo d'erba di un bel colore verde smeraldo.
Trascorsero quasi una mezz'ora o forse di più passandosi la palla, senza parlare né concentrarsi realmente sul gioco.
Kuroo sapeva che Kenma non aveva gradito l'uscita -glielo si leggeva facilmente in faccia- ma era l'ultimo giorno di vacanza e dovevano godersi quell'aria afosa che sapeva di libertà fino all'ultimo respiro. Eccezion fatta per le gite nei fine settimana, erano usciti davvero troppo poco.
Non che non si fosse divertito. Era stata una bella estate, dopotutto.
Kenma si sedette a gambe incrociate sull'erba, il pallone tra le mani -il suo modo per far intendere di voler fare una pausa.
Non si faceva più intimorire da lui. Gli parlava senza problemi, pur essendo taciturno per natura. Forse Kuroo era addirittura l'unico con cui si apriva così tanto, e quel pensiero aveva un retrogusto di vittoria.
Kenma reggeva il suo guardo e non tremava al suo tocco. Di tanto in tanto si lamentava anche di quanto fosse rumoroso.
È molto meglio che farsi odiare.
Kuroo si stese vicino a lui e chiuse gli occhi.
Sarebbe stato meglio se l'erba fosse stata appena irrigata -come un tappeto fresco e dall'odore pungente- invece nonostante il bel colore gli steli erano secchi, non davano neanche un po' di sollievo dal sole cocente.
«Sai...» Kenma gli si avvicinò e gli strinse giocosamente la punta del naso tra le dita, Kuroo poteva sentire il sorriso leggero che gli stava increspando le labbra «Non mi dispiace essere tuo amico»
Sperò che il rossore che percepiva sulle guance non fosse così evidente come temeva e gli sorrise di rimando.
Se glielo avessero detto mesi prima, che si sarebbe sentito esplodere dalla felicità perché la sua cotta lo considerava un amico, non ci avrebbe creduto. Ma in quel momento era diverso: Kenma si fidava di lui.
Lo aveva perdonato. Di più, aveva deciso di essere paziente e aiutarlo anche se forse Kuroo non avrebbe meritato niente di tutto ciò. Non era stato facile all'inizio e non lo era nemmeno allora -un mese più tardi- ma entrambi ci si stavano abituando.
Tetsuro non era una cattiva persona, gli aveva detto una volta Kenma, poteva essere anche migliore. Con il suo aiuto lo sarebbe diventato pian piano, e poi forse avrebbe trovato il coraggio per chiedergli un appuntamento.
Sulla via del ritorno Kenma fu più silenzioso del solito.
«Non è vero» fu la sua risposta quando glielo fece notare.
«Invece sì»
«No»
«Sì»
«No»
«Sì» e non gli lasciò il tempo per ribattere nuovamente, perché erano già giunti davanti al cancello di casa Kozume ed era il momento dei saluti «Domani mattina ti aspetto qui alle sette precise, allora. Non fare tardi»
«Ok...» Kenma osservava il furin appeso alla finestra della sua camera «Kuro, avvicinati un attimo»
Non fece domande, perché Kenma pareva soprappensiero e lui iniziava ad essere curioso, e prima di rendersene conto un paio di labbra sottili si erano posate sulla sua guancia.
«A domani» e Kenma svanì oltre l'ingresso.
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cErCheRò dI OrGanIzZArMI iN QuAlCHe mOdO -cit.
Il manga è finito ma the show must go on!
Detto ciò spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno... 🙇🏽♀️
(also Kuroo mi dispiace, lo so che sei un bravo bimbo e non faresti mai del male ad una mosca perdonami—)
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