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[10] Heroes Of Olympus - Camp Jupiter

Il Sole non era ancora spuntato da dietro l'orizzonte, ma il cielo era già abbastanza chiaro per distinguere i profili sinuosi delle alture californiane. Nonostante l'ora, due ragazze camminavano già da tempo tenendosi per mano, sostenendosi a vicenda. Avevano perso da tempo la cognizione dei giorni che passavano, ma ne erano certamente passati molti da quando erano riuscite a fuggire dai pirati. Da allora non avevano fatto quasi altro che camminare spedite verso il luogo che era apparso loro in sogno. Si erano fidate istintivamente di quella donna che aveva infuso loro tutto il coraggio necessario e si erano messe in viaggio.

I loro vestiti erano rovinati e le scarpe consumate. Le trecce in cui avevano raccolto i capelli erano mezze disfatte, la pelle dei loro volti era scottata ed in alcuni punti si stava staccando, malgrado la carnagione scura tipica dell'etnia portoricana a cui appartenevano le due.

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Pochi metri prima di varcare il confine della zona sicura, in cui nessun mostro le avrebbe più potute raggiungere, dove avrebbero trovato qualcuno di simile a loro, la maggiore si fermò di colpo. L'altra fece un altro passo avanti poi sentì che il braccio della compagna di viaggio la tratteneva. Si fermò anch'ella voltandosi indietro.

"Coraggio, Hylla! Ci siamo quasi: qui saremo a casa."

Hylla scosse il capo e le mise le mani sulle spalle. "No, hermanita. Tu sarai a casa."

"Che vuoi dire?"

"Intendo dire che il mio viaggio continuerà. Sento che questo non è il mio posto, che devo andare da qualche altra parte: il mio destino è altrove."

"Ma perché non vuoi nemmeno accompagnarmi fin laggiù?" domandò la tredicenne con gli occhi umidi.

"Non ho voglia di incontrare altri maschi per un po', non dopo quello che è accaduto con i pirati..." sospirò la sorella maggiore guardando nel vuoto.

"È colpa mia, allora! È per quello che ti hanno fatto quando ti sei messa in mezzo e ti hanno portata nell'altra cabina!"

"No! Non dirlo mai, Reyna, mai! Quello che è successo è colpa della crudeltà di quei... Di quei mostri e non accadrà mai più. Io sono tua sorella maggiore e, quando avrai bisogno di me, sarò sempre pronta ad aiutarti, ma è arrivato il momento che tu cammini con le tue gambe. Lo capisci?"

"Sì." mormorò la minore asciugandosi gli occhi con il dorso della mano sinistra.

Hylla le diede un bacio sulla fronte. "Ti auguro il meglio, sorellina. Ora va' e vivi la tua vita. E ricorda che questo non è un addio."

Dopo un ultimo abbraccio le due si separarono.

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Reyna strizzò gli occhi per liberarsi delle lacrime incastrate tra le ciglia ed espirò con energia. Si diresse verso il duo che vedeva a qualche centinaio di metri avanti a sé senza voltarsi indietro. Non ne aveva la forza fisica e aveva imparato che ogni movimento evitato era un passo in avanti in più (specialmente quando si cammina da giorni e si hanno i piedi pieni di vesciche). I due individui che indossavano degli indumenti che riflettevano la luce dell'astro diurno nascente le vennero incontro. Si trattava di due ragazzi, uno, quello biondo, sembrava suo coetaneo, l'altro, quello moro, era più grande di qualche anno. Nel vederli da vicino, la ragazzina realizzò che i vestiti luccicanti non erano altro che armature dorate e che entrambi portavano armi di stampo classico: era arrivata.

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Improvvisamente si ritrovò sola con il ragazzino biondo, il capo appoggiato alla spalla di lui mentre guardavano uno degli ultimi tramonti autunnali scendere su Nuova Roma, seduti sul tappeto d'erba che ammantava la collina. Era passato oltre un anno dal loro primo incontro. Sarebbero dovuti essere all'erta, ma quel momento magico e romantico li aveva colti soli e vulnerabili. "Pensi che quest'anno nevicherà, Jay?" domandò lei in un sussurro. "Me lo auguro. E, se la neve dovesse tardare troppo, potrei provare io a farla scendere" sorrise il giovane. "Se lo fai, non ci saranno dubbi che la prossima estate ti eleggeranno pretore..." lo punzecchiò lei alzando la testa e voltandosi a guardarlo.

"Non ne sarei così sicuro: c'è una figlia di Bellona che potrebbe rubarmi il posto."

"Ah, sì? -sorrise la diretta interessata- Credi che ne sarebbe in grado?"

"Considerando il fatto che mi ha già rubato il cuore e le sue svariate qualità, non credo che le risulterebbe difficile."

"Come a te non è risultato difficile farti assegnare come sostituto al mio turno?"

"Che intendi?"

"Sapevo che oggi avrei dovuto sorvegliare il confine con Alexei, un figlio di Venere della III Coorte..."

"Pare che abbia avuto un imprevisto all'ultimo e abbia chiesto di essere spostato al turno di guardia successivo... -Il Sole era quasi sparito del tutto.- Manca poco al cambio delle sentinelle."

"Già -sospirò la ragazza mentre si accomodava tra le braccia forti del ragazzo,- come vorrei fermare questo istante. Se solo potessimo far durare il tramonto qualche minuto in più..."

"Chiudi gli occhi." le ordinò dolcemente Jason.

"Come?"

"Fidati."

"Ok." la semidea chiuse gli occhi. Poco dopo le parve di essere su un ascensore: aveva la sensazione di sollevarsi senza, tuttavia, perdere l'appoggio del terreno.

"Ora aprili." la voce del ragazzo non nascondeva che fosse soddisfatto. Dopo un breve momento di esitazione, Reyna alzò le palpebre.

Ciò che vide la riempì di meraviglia. L'orizzonte si era allontanato di molti chilometri al punto che potevano vedere il Carro di Apollo pronto a tuffarsi nell'Oceano Pacifico. Con la coda dell'occhio notò di essere al di sopra delle nubi: per lo spavento, gettò le braccia attorno al collo di Jason e nascose il capo nell'incavo nel suo collo. Quest'ultimo trattenne una risata divertita e la strinse a sé.  "Tranquilla, Rey, non ti lascerò cadere: non lo farei per nulla al mondo. Ora guarda: oggi il tramonto durerà di più solo per noi due."

Trovando il coraggio di guardare, Reyna restò incantata e i due si godettero in silenzio il secondo tramonto della giornata.

"Grazie, Jason. -sussurrò la ragazza poco prima che gli ultimi raggi sparissero in acqua- È meraviglioso."

L'altro mormorò qualcosa di impercettibile. "Cos'hai detto?" gli chiese lei distogliendo lo sguardo dall'orizzonte e tornando a guardarlo negli occhi azzurri limpidi quanto un cielo estivo.

"Tu sei meravigliosa." ripeté il figlio di Giove prima di baciarla con trasporto.

Anche se non fosse stata in aria, avrebbe avuto la sensazione di volare. "Vorrei che fosse sempre così" ammise mentre riprendeva fiato. "Sì, anch'io." dichiarò l'altro.

"TEMO CHE NON ACCADRÀ -tuonò una voce autoritaria di donna- NEL VOSTRO FATO V'È SCRITTO ALTRO."

Tutto si fece nero e vuoto attorno alla coppia. L'unica cosa che Reyna continuava a vedere con chiarezza era il suo ragazzo, come dalla figura di Jason provenisse una luce dorata, ma non abbagliante. D'un tratto percepì uno strattone: un'energia sovrumana la stava tirando per la cintura, la stava trascinando lontano dall'altro che stava combattendo con una forza analoga. Erano aggrappati l'uno all'altra solo con la forza di mani e braccia. Lui le stava gridando qualcosa, ma non le arrivava nessun suono. Si sforzò di leggergli le labbra, l'unica frase che comprese fu "Ti amo", poi entrambi persero la presa.

L'oscurità divenne totale e la semidea iniziò a precipitare in una direzione indefinita.

. . .

Reyna si svegliò, madida di sudore. Cercò di mettere in ordine i propri pensieri: aveva sognato il suo arrivo al Campo Giove, il giorno avevano ufficializzato la loro relazione e poi tutto era sfociato in un incubo confuso. Si girò di fianco per raccontare a Jason quel sogno assurdo.

Non lo trovò.

Allungando un braccio sentì che il letto era ancora caldo: non doveva essersi alzato da molto. Lo chiamò ad alta voce, per quanta voce potesse avere appena sveglia, ma non ottenne nessuna risposta. Dopo un altro paio di tentativi, si alzò. Senza prendersi la briga di sistemarsi la camicia da notte, indossò una vestaglia di lana in dotazione con la casa del Pretore: faceva piuttosto freddo anche per gennaio. Iniziò a cercarlo per l'edificio dapprima divertita, pian piano, però, una terribile sensazione dovuta al finale del suo sogno le strinse il petto diventando sempre più pesante.

In capo ad un'ora comprese non lo avrebbe mai trovato cercandolo a quel modo.

Passò il resto della mattinata a chiedere ai commilitoni se avessero visto il Praetor Jason ottenendo solo risposte negative.

Arrivata a sera, nonostante le diverse squadre di ricerca mobilitate, crollò. Appena fu sola cadde in ginocchio sul pavimento della stanza, piangeva sommessamente abbracciando una maglia del ragazzo intrisa dell'odore di lui.

Poco a poco nel suo cuore si fece largo l'orribile premonizione di averlo perso: sentiva che era vivo, ma non sapeva dove fosse. Si trattava di qualcosa di più grande di lei, qualcosa sulla quale non aveva alcun potere.

In un momento di sconforto come quello, Jason l'avrebbe abbracciata, l'avrebbe calmata con un bacio sulla fronte ed insieme avrebbero trovato una soluzione. Quell'immagine la rattristò ancor più e Reyna iniziò a singhiozzare più forte, più sola che mai.


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* * *

24/07/2019

I viaggi lunghi sono fonte di ispirazione e di riflessione: ho inventato questo ⬆ e realizzato che i nomi di alcuni personaggi di PJ & co. condividono l'iniziale con il loro genitore divino.

Ad esempio:

Percy -> Poseidon
Jason -> Jupiter
Annabeth -> Athena

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