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XXI Century's Cinderella

*** Brano 1° classificato***

Quarta traccia del concorso di amy_celeste "Non il solito concorso".
CONSEGNA: riscrivere una storia classica in chiave moderna.
VINCOLI: I nomi devono rimanere gli stessi. Max 10.000 parole.

Io ho scelto Cenerentola e non ho saputo resistere alla tentazione... Questa os è dedicata a wattpad ;-)

__________________________________

C'erano un volta, alcuni giorni fa, in una bella casa della periferia di Los Angeles, due dolci e delicate fanciulle intente a chiacchierare amabilmente fra loro, mentre la loro sorellastra, cioè io, si stava spaccando la schiena in mezzo ai vestiti da lavare...

"Abbassa la televisione, Jenny! Accidenti a te, sei sorda?"

"Aspetta! Stanno trasmettendo la canzone di nostra sorella! CENERENTOLA! Dove diavolo sei? Senti qua, c'è una canzone per te!"

"I sogni son desideri
di felicita'
nel sogno non hai pensieri
esprimi con sincerità
si vede chissà se un giorno
la sorte non ti arriderà
tu sogna e spera fermamente
dimentica il presente
e il sogno realtà diverrà."

"Jenny! Spegni quella lagna! Tanto non ti può sentire: è in lavanderia, a stendere la biancheria lavata... Mamma, possibile che quella scansafatiche non abbia ancora stirato la mia maglietta preferita? Mi serve subi..."

"Mamma! Io voglio che, nella mia camera, lei non sfiori neanche uno dei poster nuovi che ho attaccato..."

Le voci gracchianti delle mie due sorellastre arrivarono alle mie orecchie attutite dalla distanza, ma potevo già immaginare quale sarebbe stato il risultato... 'Fai questo!'... 'Fai quello!'... 'Sbrigati, lumaca!'

Finii di stendere la biancheria lavata e mi sedetti sulla lavatrice, sospirando. Come ogni volta in cui pensavo alla mia vita, sfiorai con la mano il piccolo ciondolo che portavo al collo ben nascosto dai vestiti, unico ricordo di mia madre e di mio padre che mi fosse rimasto: rappresentava un cuore diviso a metà. Ne avevano sempre tenuta una per ciascuno e, con la loro morte, erano entrambe diventate mie. Non toglievo mai quella catenina e la custodivo ben al riparo dalla vista di chicchessia perché a "nessuno" venisse voglia di portarmela via, com'era successo con tutto il resto.

Negli ultimi dieci anni avevo visto tutta la mia vita precedente venire un poco alla volta cancellata per sempre. Tutto era iniziato con la morte di mia madre, dieci anni prima. Mio padre, poi, decise di risposarsi, nonostante le mie suppliche di non farlo. All'epoca era il sindaco di Los Angeles e, a detta sua, per gli elettori sarebbe stato meglio se lo avesse fatto.
Solo che la nuova moglie era una stronza arrivista provvista di figlie incubo più stronze di lei. Alla sua morte, avvenuta l'anno successivo, quelle tre presero possesso di ogni nostro avere grazie ad alcuni cavilli legali di cui non avevo capito nulla. Successivamente, non potendosi sbarazzare di me, mi privarono di ogni sostanza che non fosse lo stretto indispensabile per vivere. da allora fui costretta a fare tutti i lavori di casa e, successivamente, a trovare impiego come cameriera all'Hilton della nostra città "per non gravare sul patrimonio famigliare", aveva detto la strega. Il mio nome, Danielle, venne dimenticato e "loro" iniziarono a chiamarmi Cenerentola, come nella favola che leggevo da bambina. In effetti le somiglianze c'erano, non mancavano neppure le sorellastre, che fra me e me chiamavo Genoveffa e Anastasia, anziché Jenny e Anne.

Scrollai la testa, sconsolata. Da allora la mia era diventata una vita inutile, vuota, senz'altro scopo che quello di arrivare a sera. E non avevo modo di liberarmi da quel giogo, neppure dopo la maggiore età, perché la mia matrigna era in possesso di alcune prove che avrebbero infangato irreparabilmente la memoria di mio padre.
L'unica cosa consolante era che, ormai, scorreva entro canali relativamente tranquilli e io avevo imparato a farmela andare bene, nell'attesa di compiere ventuno anni e prendere possesso di un lascito dei miei genitori che le tre sanguisughe non avevano potuto in alcun modo accaparrarsi. Sarebbe stata questione di sopportare in silenzio per un paio di mesi, poi sarei stata in grado di andarmene.

Ripensai a qualche giorno prima, quando una notizia mandò in frantumi tutto il castello di tranquillità nel quale ero arroccata: all'inizio del mio turno di pulizie all'Hilton, mi venne comunicato che, da lì a due settimane, si sarebbe tenuta una sfilata dello stilista Valentino e, come se non bastasse, una famosa band avrebbe alloggiato lì prima del concerto del mese successivo a Los Angeles. One Direction, dissero che si chiamavano. Conosciuti da chiunque, pare. Tranne che da me.

Il problema fu che, a questa notizia, erano impazziti tutti, comprese matrigna e sorellastre. E così la mia vita di punto in bianco era diventata un inferno, peggio di quanto fosse mai stata.
Mi domandai, per l'ennesima volta, perché tutta questa gente del "bel mondo" avesse scelto di venire proprio qui. Non sentivo proprio il bisogno di avere sotto il naso, tutto il giorno e tutti i giorni, modelle e modelli bellissimi, come io non sarei mai stata, abiti meravigliosi che mai avrei avuto... Né sentivo il bisogno di avere Anastasia e Genoveffa che mi chiedevano, in continuazione, di procurare loro un pass per poter avere la possibilità di sbirciare gli abiti della sfilata. Oppure di guardare fra le prenotazioni, per scoprire quale stanza fosse stata attribuita a questi famigerati cantanti. Mi domandavo perché questi quattro ragazzi avessero deciso, fra tutti gli alberghi a disposizione, di alloggiare proprio all'Hilton... Era tutto oltre la mia capacità di sopportazione: le due arpie ne parlavano come se fossero dei principi, non dei semplici cantanti, e mi devastavano i nervi ogni minuto perché volevano trovare un modo per incontrarli. Chiaramente, pretendevano che io le aiutassi. Io. La situazione stava andando fuori controllo. E la cosa peggiore era che la loro madre le assecondava in tutto e per tutto.

Un giorno entrai in camera loro per fare le pulizie e rimasi pietrificata. L'arrivo di questi One qualcosa le aveva sciroccate ancora più di quanto non fossero già. La stanza era irriconoscibile.

"Siamo in clima pre-concerto" mi disse Genoveffa con sussiego, notando che mi ero bloccata sulla porta con la bocca aperta e gli occhi fuori dalle orbite.

...Perché a loro non era bastato attaccare un poster, come tutti i comuni mortali.

No.
Ovviamente.

Ogni centimetro libero dei muri di quella stanza era stato ricoperto da immagini di uno di loro. Anche sul soffitto sopra il letto: avevano attaccato una gigantografia di questo tizio, che era carino, per carità, con quegli occhi verdi magnetici e la bocca sensuale, ma...

"Così mi addormenterò guardando l'essere più meraviglioso del mondo! Non esiste un altro come Harry Styles sulla faccia della Terra... E io fra poco potrò incontrarlo!" Aveva avuto il coraggio di dirmi Anastasia, sognante, non appena si era accorta della mia faccia allucinata. Poi mi illustrò, per filo e per segno, come si chiamavano, quali canzoni cantavano... finché non fuggii dalla stanza.

L'atmosfera in casa era diventata sempre più pesante. Pur di stare fuori di casa, e dalle loro grinfie, mi ero fatta aggiungere turni su turni all'Hilton, di giorno e di sera. Con il risultato di essere quasi sempre lì, a lavorare praticamente gratis 'grazie' al contratto stipulato fra l'albergo e la mia matrigna, e stanca oltre il lecito. Ero stata una sciocca a cacciarmi in quella situazione, ma ormai c'ero dentro fino al collo e non sapevo come uscirne...

Sospirai di nuovo. Se solo fossi stata abbastanza grande e smaliziata quando era stato il momento di decidere come sarebbe stato gestito il patrimonio di papà, forse poi non mi sarei trovata in una situazione ai limiti del grottesco....

"Cenerentola!"

La voce chioccia della mia matrigna interruppe i miei pensieri. Saltai giù dalla lavatrice e mi avviai verso le scale, portando con me la biancheria stirata.

"Arrivo..." risposi sottovoce. Come aveva fatto mio padre a pensare che questa strega avrebbe potuto prendere il posto della mamma..

Entrai nel grande salotto, arredato con mobili antichi e illuminato da un immenso lampadario di cristallo, e mi diressi verso la poltrona in pelle bianca, sulla quale sedeva sempre lei, quando doveva darmi ordini o rimproverarmi, come una regina nella sala del trono.

Mi fermai al centro della stanza, senza degnare neppure di un'occhiata le mie due sorellastre, appollaiate sul divano in attesa della ramanzina che fra poco mi sarebbe stata scaricata addosso.

"Signorina, nei prossimi giorni sarà il caso che tu sia molto più attiva del solito. Grazie alla nostra posizione sociale, siamo state invitate a una serie di eventi collegati alla sfilata e al prossimo concerto. È possibile che qui riceveremo visita da parte di personalità di un certo spicco, per cui dovrà essere tutto più che perfetto e in ordine. Intesi? Non tollererò il minimo spillo fuori posto."

Annuii senza fiatare, sennò non sarei stata in grado di impedirmi di dire che non erano degne di quella "posizione sociale" con cui lei si riempiva tanto la bocca: ce l'avevano solo perché mio padre era stato un politico capace e benvoluto.

Applausi esplosero, improvvisi, dal divano. Stavolta non potei fare a meno di guardare da quella parte. Neanche i capelli freschi di parrucchiere e i vestiti super griffati rendevano quelle ragazze accettabili alla vista, forse per la cattiveria così evidente nei loro occhi, o per le bocche sempre tirate in ghigni di scherno.

"E non è tutto!" Esclamò Anastasia balzando in piedi. "Siamo state in invitate alla mega festa che verrà fatta dopo la sfilata! Ci saranno tantissime persone famose, ma, soprattutto, ci saranno loro!"

"Quindi, cara mia, dovrai tirare a lucido ogni angolo della casa e tutto il nostro guardaroba." Quando Genoveffa usava quel tono petulante l'avrei presa a schiaffi.

"Alla festa dovremo essere perfette, anche perché pare che lui sia di nuovo single e stia cercando 'quella giusta'... Penso di avere tutte le carte in regola per attirare la sua attenzione..."

"Ma io di più, Jenny! Fra l'altro ho in fisico molto migliore del tuo e..."

"Ma per piacere, Anne! Tu saresti meglio di me? Dove si è mai vista una sciocchezza del genere! Ma ti sei vista..."

I litigi delle due arpie erano oltre ciò che potevo sopportare. Perciò decisi di ignorarle e mi spostai, fino ad arrivare di fronte a alla vecchia megera.

"Vorrei venire alla festa." Dissi, cercando di mantenere la voce più ferma possibile. "In fin dei conti, anch'io faccio parte di questa famiglia."

La mia matrigna sollevò un sopracciglio e mi squadrò da capo a piedi. Genoveffa e Anastasia si zittirono all'istante, per poi scoppiare a ridere.

"Tu? A quella festa? E con che vestito, di grazia?" Quella donna riusciva a trasmettere un tale gelo con un semplice sguardo, che un brivido mi scorse giù per la schiena. Ma non abbassai gli occhi. Mi resi conto di volerci andare, a quella festa, a tutti i costi.

"È questa l'unica tua obiezione? Il vestito?" chiesi. La vidi aggrottare la fronte per un attimo.

"Ma certo... Se tutti i lavori saranno stati svolti e avrai trovato un vestito adatto, perché no?"

"Ma... Mamma! Non puoi parlare sul serio!" sbottò Anastasia alzandosi in piedi.

"Infatti!" Rincarò la dose Genoveffa, passando un sguardo inorridito su di me, come se fossi stata una specie di scarafaggio, per poi piantarlo su sua madre. "Come puoi accettare che questa... questa..." si bloccò, gesticolando a più non posso, fuori di sé.

"Scherzavo, infatti." La voce gelida della mia matrigna tacitò all'istante le figlie. Io sentii montare dentro di me una rabbia che non credevo di possedere. Continuò, senza staccarmi gli occhi di dosso. "In quale mondo una come te potrebbe partecipare a una festa a cui sarà inviata la crema dell'alta società statunitense? Non in questo per certo. Guardati. Non dovresti neppure essere ammessa come inserviente, in quelle stanze. Ma ora basta." Alzò una mano per congedarmi. "Vai a lavorare, nei prossimi giorni avrai talmente tanto da fare che non avrai neppure il tempo di pensare alla festa."

Annuii e lasciai la stanza senza una parola, ma con una certezza: avrei trovato il modo di partecipare a quell'evento, a qualsiasi costo.

Qualche ora dopo, stavo raccontando la scena alla mia confidente preferita: l'addetta alla sicurezza dell'Hilton, una matura matrona dura come l'acciaio che, per chissà quale ragione, mi aveva preso a benvolere. Helen conosceva la mia situazione famigliare e, mossa da pietà o da che so io, più di una volta mi aveva tolta dagli impicci con la mia matrigna.

"Ragazza mia, non so se riuscirò ad aiutarti, questa volta" mi disse, meditabonda. "Conosco bene tua madre ed è certo che non tornerà mai indietro, dopo essersi espressa in modo così categorico."

"Lo so" confermai "Ma io ci voglio andare, quando mai mi capiterà di nuovo un'occasione del genere?"

"Non dirmi che anche tu sei andata via di testa per quei ragazzini..." sgranò gli occhi,esterrefatta.

Caddi dalle nuvole. "Per chi?"

"I cantanti che saranno presenti alla festa. Hai presente? One Direction. Tutto il mondo li vuole e noi li avremo qui. E' per questo che ci tieni tanto ad andare alla festa?"

"Per carità! Se non fosse per le mie sorellastre, a tutt'oggi starei vivendo nella beata ignoranza di chi siano questi tizi..."

"Ci saranno tutti e quattro, ma ciò che sta mandando in tilt le fans, e stiamo iniziando a fare fatica a gestirle già adesso, è che, a quanto pare, quello più carino del gruppo sta cercando una fidanzata 'seria' che lo riporti sulla retta via." Alzò gli occhi al cielo e sospirò.

"E quindi queste sperano che la trovi alla festa?" scossi la testa, allibita da tanta stupidità.

"Certo. Tutte sperano che sia così e di essere la fortunata prescelta."

"Non ho parole. Se questa storia è vera, ha del grottesco... Neanche fossimo nel secolo scorso!" Tacqui per un istante, sorridendo per l'assurdità della cosa. Ora capivo gli strani discorsi delle mie sorellastre... Speravano di conquistare questo Harry Styles! Patetiche. Scrollai le spalle, era una questione che non mi interessava né mi riguardava. Proseguii. "Torniamo a noi. Come posso entrare alla festa?"

"Lascia fare a me. Sarà dura, ma ce la faremo."

Nei giorni successivi, quelle parole furono per me come un faro guida. La matrigna non mi aveva mai dato così tanti lavori da sbrigare, e neppure Genoveffa e Anastasia. Per soprammercato, mi trattavano peggio di quanto avessero mai fatto. Ero a pezzi, fisicamente e psicologicamente. Arrivavo a sera stremata e andavo a dormire senza darmi il tempo di pensare a come fare se Helen non avesse trovato una soluzione.

Quando mancavano ormai solo tre giorni alla festa, proprio lei venne a cercarmi, al piano dove stavo facendo le pulizie.

"Vieni con me, nessuno ci deve sentire. Veloce, per favore. Ho pochi minuti."

Non potei opporre resistenza. Cos'aveva organizzato?

Mi portò in un angolo riparato e disse in un soffio: "Allora, Danielle. Fai in modo che, la sera della festa, ti diano un turno che termini verso le venti, poi vieni nella camera 629 e... fidati di me."

"Non ho idea di cosa tu abbia in mente, ma mi fido e farò quello che tu dici: al massimo alle 20.30 sarò nella camera 629."

Helen applaudì. "Mi sento tanto la Fata Madrina, Cenerentola mia!" Mi abbracciò rapidamente, poi si allontanò quasi di corsa, lasciandomi lì, immobile, a scervellarmi su cos'avesse escogitato.

I tre giorni successivi passarono in un lampo. Casa mia ribolliva di eccitazione e, di conseguenza, io dovevo correre da una parte all'altra per soddisfare le richieste più assurde delle mie tre amate parenti acquisite. Avevano passato ore e ore fra spa, parrucchieri, personal shoppers eccetera. Quando uscii di casa, il pomeriggio della festa, erano chiuse ognuna nella propria camera a prepararsi per l'evento della sera.

Anche all'Hilton sembravano tutti sull'orlo di una crisi di nervi. Per fortuna io ero una semplice cameriera addetta alle camere "ordinarie", per cui non avrei dovuto fare nulla di diverso dal solito. Il turno finì e, come promesso, andai verso la camera 629, dopo essermi assicurata che nessuno facesse caso ai miei movimenti.

Quando bussai, udii un gran trambusto. Helen fece capolino dalla porta semi aperta e uscì in corridoio, senza farmi vedere nulla di quello che c'era all'interno.

"Brava, sei puntualissima." Sorrise, poi mi osservò attentamente, scostando alcuni capelli dalla mia fronte. "Avremo un po' da fare per toglierti di dosso quest'aria derelitta, ma ce la faremo. Tanto più che c'è dell'ottimo materiale, qui sotto... Allora, sei pronta? Posso usare la mia 'bacchetta magica'?" chiese, mostrandomi il suo badge che, sapevo, apriva ogni porta esistente in quell'albergo.

"Non vedo l'ora, Helen." Ed era vero.

Mi prese per mano e mi portò di fronte a una porta senza numero, di fianco alla stanza da cui era uscita. Prese il badge e lo appoggiò al pomello della porta. Udimmo uno scatto. Si voltò verso di me e mi fece l'occhiolino.

"Bibidi. Bobidi. Bu."

Spalancò la porta e accese la luce.

Sgranai gli occhi, senza fiato. Di fronte a me c'era la serie di abiti più sontuosi e principeschi che mi fosse mai stato dato di vedere: l'intera collezione Valentino che aveva sfilato in passerella appena pochi giorni prima.

"Ma... Io non posso indossare uno di questi vestiti! Come potrei giustificarlo?"

Helen mi sorrise, entusiasta. "Perché qualcuno di questi abiti non è stato usato per la sfilata e, proprio per questo, la Maison Valentino mi ha accordato la possibilità di sceglierne uno per mia nipote, venuta a trovarmi per l'occasione e alla quale è stato concesso un invito speciale per la festa..." terminò, sventolando sotto il mio naso un biglietto in carta patinata dall'aria estremamente lussuosa ed esclusiva.

Le saltai al collo per abbracciarla, entusiasta. "Sei un mito, Helen! La migliore Fata Madrina che sia mai esistita!"

"Sono felice di esserci riuscita, Danielle. Te lo meriti" rispose, ricambiando l'abbraccio. "Ma ora basta perdere tempo. Dobbiamo scegliere l'abito, gli accessori e poi tornare di là e affidarti alle esperte di trucco e parrucco. Sarà un tour de force, perché entro due ore dovrai essere pronta... Coraggio, entra che cominciamo."

Le due ore successive trascorsero in turbinio di stoffe sfavillanti, scarpe gioiello, maschere di bellezza, trucchi, pettini e spazzole, ma non avevo idea di come stessero andando le cose. Helen era stata categorica: non avrei potuto guardarmi allo specchio fino a che non fossi stata pronta per andare alla festa.

Quando ormai cominciavo a disperare che avremmo mai finito, lei mi prese per mano mi disse: "Chiudi gli occhi e lasciati vestire. Ti dirò io quando potrai guardare."

Feci quanto mi era stato detto e sentii intorno a me voci e risatine, mentre una morbida stoffa scivolava sul mio corpo. Helen mi aveva coperto gli occhi anche all'inizio, durante la scelta dell'abito, per cui non avevo idea per quale avesse optato, fra i venti che erano rimasti fuori dalla sfilata.
Stavo morendo dalla curiosità. "Se non vi sbrigate aprirò gli occhi, non riesco a resistere ancora!"

Sentii due mani appoggiarsi alle mie spalle e fui condotta da un'altra parte della stanza.
"Puoi aprire gli occhi" sussurrò Helen.

Feci quanto mi aveva detto e rimasi di stucco.

Di fronte a me un'estranea bellissima e dall'aria molto sofisticata mi stava fissando. I capelli biondi erano raccolti sulla nuca in un'acconciatura morbida da cui qualche ricciolo arrivava a sfiorare le spalle scoperte. Un abito di seta color argento lungo fino a terra, con spalline sottilissime di swarowski e drappeggiato sul busto, fasciava in modo perfetto i fianchi e lasciava scoperta quasi completamente la schiena. Era deliziosamente ai limiti della decenza, sexy ed elegante al tempo stesso. Praticamente perfetto. Un trucco leggero, che metteva in risalto i miei occhi grigi, completava il tutto. Ero davvero io, quella?

Mi voltai verso Helen, senza parole. Lei mi sorrise, complice. "Questa sei tu, ragazza. Credici. Ora prendi la borsa, raddrizza le spalle e vai. Il Red Carpet ti aspetta."

"Cosa? No, quello non sono in grado di affrontarlo. Ti prego, trova un modo per farmi 'comparire' all'interno della sala senza che debba sfilare davanti a tutti... sarebbe troppo imbarazzante!" Sarei mai guarita dalla mia timidezza innata? Per quanto fossi assolutamente in tono con il tipo di festa a cui avrei partecipato, la semplice idea di fare il mio ingresso sotto i riflettori mi faceva mancare l'aria dall'ansia.

"E va bene... ti accontenterò, ma solo perché so che, se ti costringessi ad affrontare la folla, arriveresti a destinazione in tilt." Mi accarezzò una guancia. "Vai e divertiti. Ricorda, però, che a mezzanotte e un quarto io stacco, perciò vestito e accessori dovranno essere nuovamente al loro posto per quell'ora. Ti aspetto qui davanti a mezzanotte, intesi? Non fare tardi, mi raccomando."

"Cenerentola fino in fondo" commentai con un sorriso e una scrollata di spalle "A mezzanotte la carrozza si trasforma in zucca e il mio vestito meraviglioso torna a essere uno straccio. Va bene, tanto mi basta stare lì un po' per vedere, almeno una volta nella vita, tutti quei personaggi famosi nel loro habitat. Andiamo ora, non ho tanto tempo."

Ringraziai calorosamente le ragazze che mi avevano trasformata e uscii dalla stanza, accompagnata da Helen. Lei conosceva quell'albergo come le sue tasche e, per non farmi incontrare nessuno, utilizzò corridoi di servizio della cui esistenza non mi sarei mai immaginata.

Si fermò davanti a una porta. Oltre, si avvertiva un brusio piuttosto acceso.

"Ci siamo" disse semplicemente "Vai e divertiti." Usò di nuovo il badge e aprì appena l'uscio, sbirciò all'interno, poi si girò e mi sorrise. "Prosegui per il corridoio, arriverai direttamente nella sala da ballo. Ricordati l'appuntamento."

Le sfiorai la guancia con un bacio e sussurrai "Ci sarò, non dubitare. Grazie, grazie di tutto. Non sarò mai in grado di sdebitarmi."

Mi diede una leggera spinta per farmi varcare la soglia, poi mi chiuse la porta alle spalle.

Feci un profondo respiro e mi incamminai nella direzione indicatami, facendo attenzione a non inciampare e a camminare in modo sicuro.

Il brusio si stava facendo sempre più acceso mano mano che mi avanzavo. Svoltai un angolo del corridoio e, improvvisamente, mi trovai nel cuore della festa.

Non si poteva dire che avessero tralasciato qualcosa, nella sua organizzazione. Dall'enorme vetrata sullo sfondo si notavano le lucidi Los Angeles e l'ampia terrazza, arredata con gazebo, poltrone candide, tavolini e piante sapientemente disposti in modo da creare un effetto scenico che era una poesia per gli occhi.

L'interno, peraltro, non era da meno. Piante immense davano l'illusione di essere in un giardino; qua e là, sculture astratte e piccole fontane nascondevano divani e sedute da occhi indiscreti. Canzoni appena udibili, che non conoscevo, facevano da sottofondo per creare un'atmosfera raccolta. In quello scenario da favola, gli invitati, elegantissimi e perfettamente a proprio agio, sembravano usciti da una foto di Vogue. La maggior parte erano visi noti, anche se non riuscivo ad associare a essi neppure un nome.

Raddrizzai le spalle e mi incamminai ai bordi della sala, a testa alta come se, in quell'ambiente e con quegli abiti, ci fossi nata. Benché stessi cercando di passare inosservata, in tanti si girarono e mi seguirono con gli occhi. Quando mi resi conto della cosa, sudai freddo. Non mi aspettavo di suscitare tutto questo interesse. Era possibile, allora, che sarei stata costretta a intavolare una conversazione con qualcuno, fingendo di essere la nipote di Helen e io odiavo bugie e sotterfugi. Non sarei mai stata in grado di mentire, mi avrebbero scoperta immediatamente. Cosa sarebbe successo, in quel caso? "La cameriera infiltrata alla festa dei vip"... non doveva succedere.

Il piacere di fare parte di un'élite esclusiva non mi interessava più. Presi un bicchiere dal vassoio che un inserviente mi porgeva e mi diressi verso la vetrata, facendo finta di niente.

In fondo alla sala, in mezzo a un capannello di ragazzi sicuramente ricchi e famosi, le mie due sorellastre stavano dando il meglio di sé. Chissà se, fra i poveri malcapitati, c'erano anche i quattro cantanti per i quali erano andate via di testa. Non riuscii a trattenermi dal guardare: quelle due, per quanto tirate a lucido, non avevano perso l'aura di cattiveria che le contraddistingueva; peraltro, i ragazzi che stavano loro intorno avevano un'aria piuttosto annoiata. Feci un mezzo sorriso: allora non ero solo io a trovarle di una pesantezza esasperante.

Mi riscossi dai miei pensieri e mi affrettai a trovare una postazione riparata dai loro sguardi: non ero per niente sicura che non mi avrebbero riconosciuta, se mi avessero vista.

Fra tutti i posti in cui avrei potuto rifugiarmi, pensai di andare fuori e assaporare la magia di quella notte in santa pace. Los Angeles, vista da lassù, era meravigliosa. Presi una coppetta di gelato e mi avviai all'esterno, con la fastidiosa sensazione di essere osservata. Pigramente, girai lo sguardo come a cercare qualcuno che conoscevo in mezzo a quella folla vociante. Mi trovai a fissare un paio di occhi color smeraldo che sembrava volessero perforarmi da parte a parte. Fu questione di un istante, perché subito allontanai lo sguardo e mi affrettai a uscire.

Fuori si stava magnificamente, l'aria era tiepida e la luna illuminava con la sua luce morbida anche gli angoli più bui della terrazza. C'era una grande pace lassù, e il silenzio quasi assoluto, che contrastava fortemente con il chiasso che proveniva dall'interno, metteva tranquillità al mio spirito fin troppo inquieto. In più, la vista era mozzafiato: sotto di me si stendeva la città illuminata con i colori della notte e, da lì, ero in grado di vederla quasi tutta...che spettacolo. Trovai una poltrona appartata e mi sedetti a godermi il gelato e la brezza leggera che aveva appena iniziato a soffiare. Mi diedi della codarda, per non essere stata in grado di affrontare il rischio che le sorelle mi vedessero, o per studiare qualche istante in più quel ragazzo che mi stava fissando, ma me ne feci una ragione. In fin di conti a me interessava solo "esserci", non "partecipare attivamente".

Mi appoggiai comodamente alla poltrona e guardai in alto. Il cielo, la luna, le stelle, io...
e un fantastico gelato italiano alla nocciola. Nient'altro. Un po' di pace, finalmente, per poter raccogliere le idee e decidere se era il caso di affrontare la folla presente alla festa o restare lì, in solitaria tranquillità, fino all'ora stabilita...

No.

Qualcuno aveva aperto la porta che dava sulla terrazza. Chi poteva essere? Sbuffai, il mio speciale momento privato era stato rovinato.

Mi voltai appena e vidi, stagliata sullo sfondo della luce proveniente dalla festa, in penombra, una figura piuttosto alta, forse un uomo. Ma non ne ero sicura, perché aveva i capelli lunghi e non riuscivo a vederne il viso. L'ombra restò ferma, incerta su dove andare, poi fu evidente che si accorse di me perché subito dopo, lo vidi incamminarsi nella mia direzione.

"Gradirei rimanere da sola." Buttai lì e mi girai di nuovo ad osservare la città, disinteressandomi della cosa e sperando che quella persona fosse stata ragionevole e se ne fosse andata.

"Impossibile, in una serata del genere."

Un uomo. Strafottente, pure. Però con una bella voce.

Chiusi gli occhi per cercare di racimolare qualche briciola di pazienza, feci un bel respiro e mi alzi, girandomi per fronteggiare questo scocciatore. Ero inviperita, mi si sarebbe squagliato tutto il gelato. Lo vidi bloccarsi, forse stupito dalla mia mossa.

"Anche se fosse così, cosa ti fa credere che potrei gradire la tua compagnia? Chi sei, il Presidente?"

"No. Solo Harry Styles."

Eh no... ma questo tizio era venuto al mondo per rovinare l'esistenza a me?

Non era stato sufficiente che la mia casa fosse stata deturpata dalla sua faccia in ogni dove. Doveva anche sbucare dal nulla, a rovinare il mio momento privato? Ero veramente irritata. Feci spallucce e lo fissai per un attimo. Continuavo a vedere solo un'ombra scura.

"Sarai anche Harry-o-cometichiami Styles, ma gradirei lo stesso stare da sola."

Distolsi l'attenzione da lui e tornai a sedermi, dandogli le spalle e riprendendo in mano la coppetta di gelato.

"Chiudi la vetrata quando rientri, grazie." Dissi, senza voltarmi di nuovo. Dopodiché ripresi a mangiare il mio gelato, pensando che il grand' uomo avesse capito e se ne fosse andato.

Un rumore di passi e un fruscio indicarono che avevo cantato vittoria troppo presto. Trenta secondi dopo, avvertii un lieve spostamento d'aria. Con in bocca il cucchiaio colmo di gelato, mi girai e vidi una specie di tappezzeria per divani seduta di fianco a me, con in cima alla testa un mocho vileda color cioccolato. Quindi questo era il famoso Harry Styles, quello per cui le mie sorellastre sbavavano peggio di due bulldog in calore. Lo squadrai da capo a piedi. Per fortuna che ero occupata a mangiare, sennò gli avrei riso in faccia per com'era combinato.

"Dovresti licenziare il tappezziere e il parrucchiere che ti hanno conciato così." Non riuscii a trattenermi.

"Hai del gelato sul mento" disse di rimando mentre si sedeva, con un sorrisetto divertito che gli illuminava gli occhi. Anche al buio si notava che avevano un colore incredibile, di questo bisognava dargliene atto.

Feci spallucce e distolsi lo sguardo. Forse, se non lo avessi badato, sarebbe tornato all'interno a godersi la festa. Era anche in suo onore giusto? E non avrebbe dovuto trovarsi una fidanzata? Perché allora stava lì,immobile, a fissarmi, come se fosse in attesa di qualcosa?

Sentii un tocco leggero sul mento e saltai indietro, come se avessi ricevuto una scossa elettrica. Mi voltai di scatto verso di lui. "Ehi! Cosa stai facendo?"

"La goccia di gelato ti avrebbe macchiato lo stupendo vestito che hai." ripose serafico, senza smettere di sorridere. Se non si badava alla camicia inguardabile e ai capelli incolti, in effetti era carino. Molto carino. Non se l'era neanche presa per ciò che gli avevo detto e questo gli stava facendo guadagnare qualche punto. "Ora che ti ho salvata da un guaio tremendo, posso chiederti come ti chiami senza che mi azzanni alla gola?

Tacqui per un attimo, sorpresa. Il grande, famoso, super osannato Harry Styles voleva fare conversazione con me? Era la serata più strana della mia vita. Persino il mio soprannome, in quel momento, era azzeccato.

"Chiamami pure Cenerentola" risposi un po' titubante. Lo vidi sgranare gli occhi, così aggiunsi: "E' sul serio il soprannome che mi hanno dato in casa..." Non sapevo il motivo, ma non mi andava di dirgli il mio nome. Una specie di protezione, forse. Forse a causa dello sguardo magnetico che non mi lasciava un attimo, ma la sua vicinanza iniziava a farmi uno strano effetto e non ero abituata a sentirmi così... esposta.

"Ok...Cenerentola... quindi questa è la festa da ballo in cui incontrerai il tuo principe?"

"Chi lo sa, sono appena arrivata..." scherzai. In fin dei conti non era tanto antipatico. Sembrava quasi una persona normale.

"Non l'hai ancora incontrato? Allora sono ancora in tempo." Mi fece l'occhiolino e sorrise.

"In tempo per cosa?" appoggiai di fianco a me la coppetta di gelato, dopo averne preso un ultimo boccone, e tornai a fissarlo. Aveva un'espressione strana.

"Per chiederti di ballare..."

Mi andò di traverso il boccone di gelato, dalla sorpresa. "Eh? Tu vuoi ballare con me?"

Fra tutte le risposte possibili avevo scelto la più idiota. Ma non ero abituata a ricevere attenzioni da nessuno, per cui, ormai, ero convinta che fosse normale che per il resto del mondo non esistessi. Ora, improvvisamente, non era più così. Grazie a una semplice frase, pronunciata da un ragazzo che proprio brutto non era, amato e desiderato da metà popolazione femminile mondiale, io non ero più invisibile.

"Perché ti stupisci?" Ora era lui a essere esterrefatto "Da quando hai fatto la tua apparizione in sala, il resto delle partecipanti alla festa è semplicemente svanito. Ti sei guardata allo specchio?" Sembrava sinceramente incuriosito.

"Beh, sì... non sembravo io." ammisi, abbassando lo sguardo e guardandomi le mani.

Sentii di nuovo un tocco gentile sul mento. Con due dita mi fece voltare la testa per guardarmi negli occhi.

"Io non so come tu sia abituata a vederti, o come gli altri ti abbiano convinta di essere" disse serio, la veridicità di quelle parole stampata a caratteri cubitali dentro quegli occhi verdi che mi stavano fissando come se volessero leggermi l'anima. "Quello che so è che, da quando ti ho vista passare, cercando di non farti notare e sfuggendo addirittura il mio sguardo, ho desiderato conoscerti e ballare con te. Quando sei uscita ho deciso che valeva la pena rischiare di fare la figura del rompiscatole e venire a cercarti... Allora, balli?"

Dalla festa giungevano le note di una vecchia canzone dei Roxette che mi piaceva molto.

"Non ballo volentieri con Harry Styles, grazie. Rischierei il linciaggio da parte delle fans, se mi scoprono... niente di personale, ma sei troppo 'ingombrante' per me."

Vidi la sua espressione cambiare. Ma non era arrabbiato, solo triste. Come se avesse ricevuto una cattiva notizia.

"Sono così stanco che tutti mi vedano come Harry Styles, il famoso e strapagato cantante dei One Direction..." Il resto delle parole si perse in un sussurro. Poi rimase lì, fermo e in silenzio, a guardarsi le mani a testa bassa e con le braccia appoggiate sulle ginocchia. Non sapevo cosa dire, le sue parole erano assolutamente vere.

All'improvviso rialzò la testa e allungò una mano verso di me.

"E con Harry-E-Basta balleresti?"

Stavo per dire di no, ma poi lo guardai. Forse fu l'inattesa proposta, o forse fu l'espressione di quegli occhi, che scrutavano incerti nei miei per capire quale sarebbe stata la mia risposta.

"Per favore" aggiunse, poi allungò una mano per sfiorare la mia. Per me fu la fine.
Sorrisi e gli presi la mano. Non c'era bisogno di pensarci.

"Sì."

Fui gratificata da un bellissimo sorriso che gli fece spuntare due fossette ai lati della bocca. Stavo iniziando a capire perché tante ragazze lo giudicassero irresistibile.

Si alzò senza lasciare la mia mano, così anch'io feci lo stesso e, pochi istanti dopo, mi trovai avvolta dalle sue braccia, a muovermi al ritmo di quella canzone meravigliosa.

Sentivo le sue mani sfiorarmi appena i fianchi, timorose di arrivare a toccare la pelle nuda della schiena, tocco troppo intimo che, probabilmente, temeva che mi avrebbe fatto scappare. In effetti, ero tesa come una corda di violino, incapace di rilassarmi e di godermi quel momento.

"Lasciati andare" lo sentii sussurrarmi all'orecchio. Mi stava leggendo nel pensiero? "Non pensare a niente, non preoccuparti di niente... non voglio farti del male, puoi fidarti per favore?"

Mi staccai di qualche centimetro per guardarlo. Non vidi più il personaggio famoso, ma solo un ragazzo che desiderava la mia compagnia. Era una sensazione bellissima. Sentii la tensione abbandonare il mio corpo e, finalmente, mi sentii più sciolta e rilassata.

"Mi fido, Harry-E-Basta" dissi sorridendo. In risposta, lui mi strinse di nuovo a sé e riprendemmo a ballare, una canzone dopo l'altra, in una danza che nessuno dei due aveva voglia di far cessare. Un po' alla volta lasciai che il mio corpo si plasmasse sul suo e, quando sentii le sue dita sfiorare la mia pelle, non mi ritrassi perché era ciò che anelavo. Una scarica elettrica mi percorse tutto il corpo, non mi ero mai sentita così viva e desiderata in vita mia. La sua mano salì lungo la mia spina dorsale e accarezzò prima il collo e poi la nuca, per passare poi al viso.

"Se ora tu non mi fermi io ti bacio, Cenerentola..." sussurrò.

Quelle parole mi fecero tornare sulla terra. Non potevo, non con lui, anche se ogni fibra del mio essere non voleva altro che assaggiare quelle labbra.

"No, non farlo, ti prego" dissi, mettendo un po' di distanza fra di noi. Non mi era mai capitato di sentire un così cocente senso di perdita.

"Perché no? Mi piaci un sacco e mi sembra che anch'io non ti dispiaccio proprio del tutto... allora perché?" scrutava ogni centimetro del mio viso con la fronte aggrottata, per cercare di leggere una risposta.

"Perché tu non sei Harry-E-Basta, anche se lo vorrei con tutto il cuore. Tu sei Harry Styles e domani non ti ricorderai neppure chi hai incontrato a questa festa... ma io domani non avrò il tuo turbine di eventi da seguire e ricorderò ogni cosa e... non sarei in grado di lasciarmi tutto alle spalle."

"Ma io non voglio dimenticare, non voglio perderti ora che, per non so quale caso fortunato, ti ho incontrata! Voglio sfruttare i giorni di permanenza qui per conoscerti meglio... non mi era mai capitato di sentire qualcosa di così forte per una persona mai vista prima e ho bisogno di capire se era solo immaginazione oppure se sei come sembri, così... fantastica."

"Tu dici queste cose preso dal momento, ma domani dimenticherai."

In lontananza udii il rintocco di un orologio. Mezzanotte meno cinque, dovevo andare da Helen.

Mi accarezzò il viso. Era triste, glielo leggevo in faccia. Come avrei potuto fare finta che questa serata non fosse avvenuta, se tutto di lui mi arrivava dentro l'animo come un tornado? Quando se ne fosse andato, sarebbero rimaste solo macerie.

"Come posso provarti che non è così, che sono sincero?" chiese a bassa voce "Ti hanno dato il nome di Cenerentola... lasciami la tua scarpina di cristallo e io ti troverò, dovessi rivoltare Los Angeles come un calzino. Se lo facessi, mi crederesti?"

"Forse... ma non ho una scarpina di cristallo che vada bene solo a me, fra tutte le ragazze di LA..." Staccò le mani da me e se le mise in tasca, sconfitto. Probabilmente fu il fatto di vederlo così che mi fece prendere una decisione folle. Del resto, tutta la situazione era surreale, perché non continuare?

"Però ho un'altra cosa..." sussurrai. Notai il suo cambio di espressione e come le sue spalle si irrigidirono. Speranza, dicevano i suoi occhi.

Prima di cambiare idea, mi tolsi la catenina dal collo, che avevo tenuto anche in quell'occasione, e sfilai da essa una delle due metà del cuore.

Iniziarono i rintocchi di mezzanotte.

"Devo scappare via. Tieni questo ciondolo, io ho l'altra metà."

"E...?"

"Questa è la mia 'scarpina smarrita'... sono della zona. Trovami. Io ti aspetterò."

Gli diedi un lieve bacio sulla guancia e mi avviai verso la porta che dava verso l'interno. Mentre la aprivo e venivo travolta dal vociare degli invitati, udii chiaramente la voce di Harry:

"Ti troverò, Cenerentola. I finali delle favole non possono essere cambiati."

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