Posso tenerlo?; George Russell
Dedicato a Baby_Leclerc
Io e George stavamo insieme da tre anni ed avevamo deciso di fare il gran passo, andando a convivere. Era stata una decisione ponderata, nessuno dei due aveva intenzione di fare il passo più lungo della gamba trasferendoci troppo presto. Volevamo conoscerci bene, essere sicuri che la convivenza non avrebbe logorato il nostro rapporto. E sono sicura che avessimo preso la decisione giusta, perché andavamo molto d'accordo e raramente avevamo problemi. Litigavamo, ciò era ovvio, sarebbe stato strano il contrario, ma non riuscivamo a rimanere crucciati a lungo, tanto che, dopo una litigata, finivamo a ridere, non ricordando mai il motivo preciso per cui ci stessimo urlando contro. Ciò non avveniva, però, quando gli proponevo di comprare un animale domestico, perché potessimo allargare la nostra "famiglia" e perché non fossi sola i fine settimana in cui lui correva. La risposta era sempre la stessa.
«Non abbiamo bisogno di un animale». Avevo provato a chiederglielo in qualsiasi occasione, anche in quelle in cui era più assonnato, nella speranza di strappargli un sì. Ma nulla, era fin troppo fermo sulla sua decisione. «Non siamo felici, forse, solo noi due?». Annuivo sempre. Era vero: eravamo felici, ma continuavo a desiderare un animale domestico. Non riuscivo proprio a capire perché fosse così categorico su questo argomento. Non gli stavo mica chiedendo di abbandonare la Formula 1. La questione terminava sempre con me che sbuffavo e con George che fingeva di non sentirmi per non litigare. Anche se non sempre funzionava. A volte finivamo per non parlarci per ore, io in una stanza, generalmente la nostra camera da letto, e lui in un'altra, il salotto.
«George...». Mi avvicinai al mio ragazzo, che stava sistemando le sue camicie nell'armadio. Era un tipo molto ordinato e meticoloso, quindi mi impediva, generalmente, di sistemare i suoi vestiti. Doveva farlo lui. Si voltò a guardarmi, facendomi cenno di parlare. Posò la gruccia che aveva in mano ed incrociò le braccia al petto, girando completamente il busto verso di me. «Sai, ieri sono stata a casa di Lily ed Alex e Horsey subito mi è corso in contr-». Mi fermò.
«Sofia, non ricominciamo. Ti ho già detto che non compreremo un animale». Sbuffai e lui mi ignorò. «Non capisco perché tu ti ostini. Ti accontento in tutto». Il suo tono di voce rimase calmo. George raramente perdeva il suo solito contegno.
«Perché tu non mi dai una valida motivazione per non comprare un qualsiasi animale domestico. Anche una tartaruga». Tornò a sistemare i suoi vestiti. «Staremmo parlando!». Lo richiamai, alzando leggermente la voce. Quel suo atteggiamento mi dava davvero fastidio.
«Lo so, non sono ancora sordo». Quando rispondeva così la voglia di prenderlo a schiaffi era davvero molta. Mi alzai e me ne andai, afferrando la mia borsa ed uscendo fuori di casa dopo aver urlato un semplice... «Esco!».
Quella era stata una delle molteplici volte in cui avevo tentato di convincerlo, ma senza successo. Ormai ci avevo rinunciato, non gli proponevo più di adottare un animale, perché ero stanca dei suoi continui rifiuti. o meglio, ero stanca dei suoi rifiuti senza motivazione. George non mi diceva mai perché non voleva un animale e questo mi irritava. Eravamo una coppia da diverso tempo e convivevamo, in teoria avremmo dovuto essere trasparenti l'uno con l'altra! Ma lui evidentemente non era dello stesso avviso, perché continuava a tenermi nascoste le ragioni. Era chiaro che il nostro rapporto, in quei mesi, fosse cambiato e George non riusciva a comprendere il motivo.
«Sofia, dobbiamo parlare». Ero nel mio studio a cucire uno dei vestiti che avevo disegnato. Alzai lo sguardo e mi tolsi gli occhiali, per poterlo osservare meglio. Attesi che continuasse. «Cosa ci sta succedendo?». Era sistemato allo stipite della porta, ma non si azzardava ad avvicinarsi a me, segno che temesse la mia risposta.
«Cosa credi ci stia succedendo?». Risposi alla sua domanda ponendone un'altra.
«Non abbiamo più il rapporto di prima». Esclamò, alzando leggermente le mani. «Non usciamo più insieme, quando dormiamo sei sempre distante, a volte passiamo delle ore senza neppure guardarci in faccia. Mi spieghi per quale motivo? È sempre per la questione dell'animale?». Ritornai a lavorare e questa volta si sistemò davanti al mio tavolo da lavoro, su cui posò le mani. «Sì, è per questo motivo. Ma perché non riesci ad accettare il mio rifiuto?». Lo guardai, ma continuai a tacere. «Sofia, rispondimi, sono stanco di tutto ciò».
«Ed io sono stanca che tu continui a tenermi nascosta la verità!». Sbottai, infastidita. Trasalì, per poi guardarmi con un sopracciglio alzato.
«Ma io non ti sto nascondendo nessuna verità». Era evidente che fosse confuso. «Non capisco a cosa tu ti stia riferendo, davvero».
«Al motivo per cui tu non vuoi un animale. Dici sempre "No, non ne compreremo uno", ma non mi spieghi mai perché!». Fece per parlare, ma io lo interruppi. «Sai cos'è? Tu non ti fidi di me. Ed ora esci da qui, starei finendo di lavorare». Voleva controbattere, ma obbedì, sbattendo la porta dietro di sé. Mi passai una mano sul volto e provai a concentrarmi di nuovo, ma non vi riuscivo. Odiavo litigare con George, ma mi sentivo messa in disparte. Io potevo accettare che non volesse un qualsiasi animale, ma non che mi tenesse nascosto qualcosa. Sapeva che avevo problemi a fidarmi delle persone e che avevo bisogno di completa trasparenza, ma, in quel momento, a lui non sembrava interessare. E ciò mi irritava terribilmente.
Passarono altre settimane ed il giorno del mio compleanno si era avvicinato. Avevo deciso che sarei tornata a casa dei miei genitori e che lì avrei festeggiato i miei ventun anni. Partii, con davvero pochissimo preavviso, ed avvisai George con un bigliettino, d'altronde quasi non parlavamo più. Mia mamma mi accolse a braccia aperte e quando mi vide subito capì che fosse successo qualcosa, ma non mi domandò nulla. Ed io le fui grata. Il fatidico giorno arrivò ed i miei mi svegliarono con una colazione a letto, mentre intonavano "Tanti auguri". Li ringraziai e subito andai a controllare sul cellulare qualche messaggio o qualche chiamata da parte di George, ma niente. Non mi aveva scritto, né mi aveva cercata. Sentii qualcosa in me spezzarsi e dovetti trattenere le lacrime, stampandomi un enorme sorriso in volto, ed annuire a qualsiasi proposta i miei mi facessero. Proprio come quando ero arrivata, però, mia mamma aveva notato qualcosa di diverso in me ed aveva aspettato che mio padre si allontanasse per pormi quella domanda.
«Cosa è successo tra te e George?». Scossi la testa, non volendo parlarle di ciò che era accaduto tra di noi. «Non puoi tenerti tutto dentro, forza, spiegami tutto. Non posso vedere mia figlia triste il giorno del suo ventunesimo compleanno». Abbozzai un sorriso forzato e spostai lo sguardo.
«Sono mesi che a stento ci parliamo. E tutto perché non vuole comprare un animale domestico. Io ho accettato l'idea che lui non lo voglia, ma non che non mi dica il vero motivo del suo rifiuto. Mi sento tirata fuori dalla sua vita o dal suo passato. E poi non mi ha neppure fatto gli auguri. Ma d'altronde cosa mi aspettavo? L'ho avvisato con un bigliettino che me ne sarei andata, neppure il mio comportamento è stato corretto...». Sospirai. Mia madre sistemò la sua mano sulla mia spalla.
«Sofia, hai mai provato a chiederglielo con tranquillità? Forse non te ne ha mai parlato perché finivate sempre per non considerarvi più, dopo aver messo in mezzo questo problema». Scossi la testa. «Ed allora ascoltami e chiamalo. Chiarite». Annuii e quando mia mamma uscì dalla mia camera, lo chiamai al cellulare, ma la chiamata fu staccata. Delusa, mi avviai verso il bagno, per farmi una doccia. Aprii l'acqua ed attesi che si riscaldasse, per potervi entrare. Provai a rilassarmi, ma era davvero difficile. Forse George aveva deciso di porre fine alla nostra relazione. Ma, in fondo, non aveva ragione? Lo stavo ignorando da mesi e non gli avevo neppure dato la possibilità di spiegarsi. Sebbene mi trovassi in una camera diversa, sentii ugualmente il citofono squillare e mia mamma urlare che fosse per me. Uscii di corsa dalla doccia e dalla finestra del bagno notai che avesse iniziato a piovere. E non mi trovavo manco più in Inghilterra. Mi vestii indossando qualcosa di pesante e mi incamminai verso il salotto, dove mi attendeva la famosa persona del citofono. Quando entrai nella stanza, però, non stavo guardando davanti a me.
«Okay, sono arrivata. Chi era al citofono mam-». Quando alzai lo sguardo mi ritrovai George davanti, completamente bagnato a causa della mia pioggia. I miei genitori capirono e se ne andarono, lasciandoci da soli. In realtà, sapevo stessero ascoltando da dietro la porta. «Ciao». Esclamai, con voce flebile.
«Ciao». Rispose. «Buon compleanno». Lo ringraziai, cercando di camuffare il sorriso che voleva spuntarmi sulle labbra. «Che ci fai qui?».
«Quando ho letto il bigliettino ho iniziato a pensare a quale fosse la cosa più opportuna da fare. Se lasciarti venire qui da sola, senza che mi intromettessi, o se fosse meglio che venissi anche io». Continuai a guardarlo negli occhi azzurri. «Ma sono giunto alla conclusione che scegliere la prima opzione avrebbe significato lasciarci definitivamente ed io non ho intenzione di farlo, a meno che non sia tu a volerlo». Parlò di getto, girandosi le mani, attendendo una risposta alla sua domanda indiretta.
«Io non voglio che ci lasciamo, George». Lo vidi rilassarsi.
«Ti devo delle spiegazioni e se vuoi, sono disposto a dartele». Annuii.
«Dammi il cappotto, lo sistemo. Ed è meglio che ti dia un cambio, i tuoi vestiti sono completamente fradici». Abbassò gli occhi ad osservarsi e constatò che avessi ragione. Fece come avevo detto e mi porse il suo cappotto, seguendomi poi verso la mia camera. George era già stato a casa mia e ci avevamo anche dormito qualche volta, per questo motivo lì avevo dei vestiti da fargli indossare. Gli porsi un maglione ed un jeans e poi uscii dalla stanza, per farlo cambiare. Ritornai nel salotto ed iniziai a fare avanti ed indietro, in ansia per ciò che volesse dirmi. Non dovetti attenderlo molto, infatti dopo appena cinque minuti era già tornato.
«Forse dovremmo sederci». Lo ascoltai e mi accomodai sul divano, mentre lui sulla poltrona davanti a me, per potermi guardare negli occhi. «Fin da quando ero piccolo ho sempre amato gli animali». Feci per parlare, ma mi fermò. «Per favore, fammi parlare, poi dopo mi porrai le domande». Tacqui ed aspettai che continuasse. «Avevo un pastore tedesco, ci ero cresciuto insieme. Ci ero molto affezionato, davvero molto. Nonostante la nomea di cane poco affettuoso, io e lui giocavamo insieme, sempre. O almeno fino a quando non ho iniziato a partecipare ai vari campionati. In quelle occasioni ci vedevamo di meno e poche volte a settimana potevo dedicarmi completamente a lui. Quando avevo undici o dodici anni, non ricordo precisamente, Loki, così lo avevo chiamato, impazzì. Non so per quale motivo, forse per la vecchiaia, e mi aggredì. Ero piccolo, non sapevo difendermi, e mi morse sul fianco. Il sangue mi colava dal fianco, io piangevo ed i miei genitori subito accorsero. Mio padre cercava di fermare il cane, mentre mia madre mi soccorreva. Siamo andati in ospedale e mi hanno messo dei punti. Ancora oggi ho le cicatrici, ma penso tu le abbia già viste. Alla fine dovettero sopprimerlo, perché non c'era più nulla da poter fare. Il motivo per cui non voglio avere un animale è sia la paura che possa succedere qualcosa a te, qualora dovessimo comprare un animale più grande, o anche la sofferenza di vederlo morire. Non è un dolore facile da superare, soprattutto se trascorri molto tempo con quell'animale». Non parlai, non sapevo che dire. Mi sentii immediatamente in colpa. «Non essere in colpa, non potevi saperlo. Davvero, sta' tranquilla». Lo abbracciai e lui mi accarezzò la testa, per poi lasciarmi un bacio sulla fronte. «Ehy, hai un compleanno da festeggiare o ricordo male? Forza, non perdiamo tempo».
Dopo pochi giorni tornammo in Inghilterra, a casa nostra, ed un pomeriggio decidemmo di andare a fare una passeggiata, approfittando del tempo più o meno bello di quella giornata. George mi circondò le spalle con un braccio ed io sistemai la mia testa sulla sua spalla, camminando per le strade ed osservando con tranquillità i negozi. Ogni tanto ci fermavamo per entrarvi e vedere qualche vestito o qualche utensile per la casa. Alla fine non comprammo nulla, ma era ugualmente divertente e rilassante. Eravamo ritornati quelli di prima ed io non potevo essere più felice di così. Ad un tratto lui si allontanò per andare in un bar a comprare due caffè, mentre io lo attendevo all'esterno. In quell'istante un piccolo cane, un beagle, mi si avvicinò, graffiando leggermente la mia gamba destra. Abbassai la testa e lo notai. Guardandomi attorno, mi chinai e lo presi in braccio, per notare se avesse un collare con il nome del proprietario, ma non aveva nulla.
«Ehy piccolo sei per caso scappato di casa?». Gli parlai.
«Sofia, stai parlando da sola?». Ridacchiò George che arrivava dalle mie spalle. Mi voltai verso di lui e subito scorse il cane tra le mie braccia. «Dove lo hai preso?».
«Mi si è avvicinato. Ho paura si sia perso o forse è un cane di strada. Non credi sarebbe meglio se lo portassimo al canile? Non vorrei si facesse del male qui fuori da solo, mi sembra davvero molto piccolo». Non completamente sicuro, il britannico annuì e mi porse il caffè. Ci incamminammo verso il canile e sentivo il suo sguardo su di me e sul cucciolo, ma non osai domandargli nulla. Quando ormai eravamo prossimi all'edificio, ciò che mi disse mi lasciò spiazzata.
«Se vuoi, puoi tenerlo». Mi voltai di scatto verso di lui, incredula.
«Posso tenerlo?». Domandai, per conferma, e George annuì.
«Sì, è giusto che tu abbia la possibilità di avere un animale domestico. E poi dovrò pur sempre superare le mie paure. Sono sicuro che con il tuo aiuto sarà più facile». Gli sorrisi e gli lascia un bacio sulle labbra.
«Allora dobbiamo scegliere un nome!». Dissi emozionata, per poi dare un bacetto sulla fronte anche al cucciolo. «Che ne dici di Oliver?». Diede una carezza al cagnolino.
«Dico che è meglio che lo scelga io il nome». Ridacchiò, per poi stringermi a sé.
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