Posso baciarti?; Mick Schumacher
Dedicato a KissesFromAngel
«Non capisco». Esclamai, attirando l'attenzione di Mick, che stava guardando attentamente il film.
«Non capisci cosa?». Domandò, voltando il busto verso di me e prestando tutta la sua attenzione a ciò che ero sul punto di dire.
«Non capisco cosa la gente ci trovi nei film d'amore. La vita non è così facile come la fanno apparire! Innanzitutto se per sbaglio faccio cadere dei libri a terra, è sicuro che non arriverà la mia anima gemella a raccogliermeli, ma sarò costretta a farlo da sola». Mick trattenne una risata. «Non prendermi in giro, è così! Il bad boy non si innamorerà mai della sfigata della scuola e non cambierà per lei. E poi, perché nei film se le sfigate si tolgono gli occhiali diventano magicamente stupende, come se la bruttezza di una persona fosse dettata dagli occhiali?». Iniziai a gesticolare, facendomi prendere dal discorso. «Oppure talvolta lui o lei sono bellissimi, ma dicono di non avere fortuna in amore. Andiamo, chi potrebbe mai crederci?». Il tedesco, non trattenendosi, iniziò a ridere.
«Angel, nessun film è realistico, di nessun genere. Perché ti fai problemi su quelli d'amore?». Feci spallucce.
«Perché lo stiamo vedendo». Scosse la testa. Riprendemmo a guardare il film, prima che iniziassi ad indicare lo schermo. «Ecco, un altro cliché: perché ogni volta che i due protagonisti litigano ed uno dei due deve partire, l'altro arriva sempre in tempo? E perché il discorso è sempre perfetto, quasi fossero diventati tutti dei poeti all'ultimo momento?». Guardai il mio migliore amico che fingeva di avere un coltello in mano e di accoltellarsi. «Non sei divertente».
«Non ho mai detto di esserlo». Ribatté lui, per poi farmi un occhiolino. Roteai gli occhi. «Ma ora possiamo continuare a guardare il film?». Propose lui ed io sbuffai. Lui ridacchiò ed allungò il braccio sul divano. Con l'altra mano continuò a mangiare i pop corn dalla ciotola che aveva sulla sua gamba. Lo imitai, mentre puntai lo sguardo nuovamente al televisore. I due protagonisti del film si baciarono sotto la pioggia e feci per aprire bocca, quando lui mi fermò. «Ah! Non voglio sentire critiche». Mi accomodai meglio sul divano, sistemando la testa contro lo schienale, sfiorando di poco il suo braccio. Lui sorrise soddisfatto e puntò lo sguardo alla scena. Per mia fortuna ben presto il film terminò e Mick ritornò a guardarmi.
«Sia ringraziato il cielo, non ce la facevo più». Roteò gli occhi.
«Ho capito». Alzai un sopracciglio confusa. Cosa intendeva? «Odi i film d'amore perché hai paura di non poter mai vivere una di quelle relazioni piene di cliché». Sorrisi beffarda.
«Mi dispiace deluderti, ma no. Non è decisamente per quello, le relazioni da film d'amore non sono per me». Esclamai, rubando dei pop corn dalla ciotola.
«Mhm, mhm». Mugugnò lui, prendendomi in giro. Gli lanciai addosso uno dei cuscini del divano, ma lo schivò con estrema facilità. «Dimentichi che sono un pilota».
«Ti detesto». Lo indicai. «E detesto pure i tuoi riflessi». Rise.
«Ne sono sicuro».
Erano trascorsi mesi da quella conversazione. Mick viaggiava continuamente, mentre io terminavo i miei studi in Germania. Purtroppo non avevamo avuto possibilità di incontrarci, sebbene lui mi avesse proposto più volte di andare ad assistere ad una delle sue gare. Certo, la voglia era tanta, mi sarebbe piaciuto vederlo gareggiare, ma l'Università mi teneva molto occupata. Per fortuna mancavano pochi esami e poi sarei stata libera per un po' di tempo.
«Sei stato bravissimo. Ho visto le gare e sei stato sensazionale». Dissi, attivando l'altoparlante mentre sistemavo i miei vestiti nei cassetti. Avevo deciso, quella domenica, di approfittarne per fare il bucato e stirare, così da avere qualcosa da indossare.
«Ti ringrazio». Potei immaginarlo arrossire. Mick era molto timido ed i complimenti lo facevano sempre imbarazzare. «Sai quanto la tua opinione sia importante per me». Sorrisi, sebbene non potesse vedermi.
«Oh, sì che lo so. Ma lo penso davvero, potresti anche vinc-». Mi fermò.
«No! Non dirlo. Non voglio pensarci, ogni cosa a suo tempo». Ridacchiai leggermente.
«Se lo dici tu». Mick era un tipo un po' superstizioso, ma avevo imparato a convivere con questo suo aspetto. «Cosa farai questa sera?». Lo sentii bisbigliare qualcosa di incomprensibile a qualcuno vicino a lui. Probabilmente a Paul Beauvie, il suo ingegnere di pista.
«Non lo so, a quanto ho capito il team vuole festeggiare, quindi probabilmente faremo una cena. Tu, invece?». Qualcosa cadde.
«Tutto ok? Sento dei rumori». Mick, in un primo momento, non mi rispose e pensai che si fosse allontanato dal cellulare.
«Robert sta per distruggere i box». Una voce urlò "Vaffanculo Mick" ed io non potetti far altro se non ridere. «Comunque, la risposta?». Rimasi in silenzio non capendo a cosa si riferisse. «Certo che hai la memoria di un pesciolino rosso».
«Vaffanculo Mick!». Imitai il suo compagno di scuderia e lui continuò a ridere. «Credo che ordinerò qualcosa da mangiare e guarderò un film». Lo anticipai prima che potesse rispondere. «Non d'amore».
«Non lo mettevo in dubbio». Sorrisi e scossi la testa. «Tanto sono sicuro che cambierai idea». Roteai gli occhi.
«Se ne sei convinto tu». Lo derisi.
«Sai che mi fa sempre piacere parlare con te, ma adesso devo proprio attaccare o Paul mi ucciderà». Sorrisi.
«Non preoccuparti, ci sentiamo dopo, se ti va». Lo immaginai annuire, come era solito fare.
«Sì, certo. A dopo». Ricambiai il saluto, prima di chiudere la chiamata. Decisi che sarebbe stato meglio farmi una doccia, così da poter studiare con tranquillità. Preparai l'intimo ed una delle magliette di Mick. Era molto lunga quindi generalmente indossavo solo quella. Una volta uscita dalla doccia, lasciai i capelli bagnati ed afferrai i miei libri, sedendomi sul letto e continuando a sottolineare e ad evidenziare le nozioni più importanti. Studiavo fisioterapia, volevo entrare in Formula 1 come fisioterapista. Era sempre stato il lavoro dei miei sogni, fin da bambina, e Mick ne era molto contento. Lavorare nello stesso ambiente sarebbe stato fantastico, come diceva sempre lui. Io e Mick ci conoscevamo da quando eravamo nati, letteralmente. Siamo nati lo stesso giorno e nello stesso ospedale. Le nostre culle erano poste vicine e le nostre mamme ci raccontavano sempre che la prima cosa che entrambi facemmo fu quella di sistemare la nostra manina sulla culla, per stringercele. Quando uscimmo dall'ospedale, scoprimmo di essere vicini di casa. Insomma: era destino che diventassimo migliori amici. Ci vedevamo ogni giorno ed abbiamo frequentato tutte le scuole insieme, fino a quando, chiaramente, lui non ha iniziato a gareggiare nelle Formule più importanti e quindi partecipava davvero a pochissime lezioni. Faceva generalmente lezioni online. Questo, però, non ci impediva di vederci e divertirci come quando eravamo più piccoli. Io e Mick facevamo tutto insieme: giocavamo insieme, ci scambiavamo i compiti, talvolta anche i vestiti (o meglio era lui che mi prestava i suoi, i miei non gli piacevano), guardavamo i film insieme e ci eravamo anche dati il primo bacio. Non che fosse stato chissà cosa di emozionante, eravamo entrambi molto imbranati ed abbiamo riso per tutto il tempo. Anche a 21 anni continuavamo a ridere a quel ricordo. Se non altro, scambiandocelo noi, avevamo risparmiato altri da quella scenetta. Abbiamo sempre vissuto in simbiosi e, nonostante la distanza, non trascorreva giornata che non ci chiamassimo almeno una volta, anche solo per chiederci come stessimo. Lui era la mia persona, come io ero la sua. Non avevamo deciso di conoscerci e di diventare migliori amici, era successo e basta, nessuno dei due aveva potuto fare diversamente. E non lo avrei cambiato per nessun altro al mondo.
A distrarmi dai miei pensieri fu qualcuno che bussò alla porta. Sistemai il libro sul letto e mi alzai per dirigermi in salotto. Controllai rapidamente allo specchio che fossi presentabile, prima di aprire la porta. Alla vista della persona fuori la mia casa spalancai la bocca.
«Sorpresa?». Doveva suonare come un'esclamazione, ma sembrava più una domanda. Saltai addosso a Mick, che quasi non cadde all'indietro.
«Cosa ci fai qui?». Domandai, quando ritornai nuovamente a terra. Il tedesco mi sorrise ed entrò in casa, per poi chiudere la porta.
«Ho qualche giorno di riposo prima di partire per Silverstone. Ho pensato di venirti a trovare, disturbo?». Si grattò la testa, leggermente in imbarazzo.
«No, certo che no. Mi fa piacere trascorrere dei giorni con te, non ci vedevamo da molto tempo». Lui annuì, rimanendo fermo vicino alla porta. «Andiamo Mick, comportati come se fossi a casa tua. Sono sempre io, non sentirti a disagio». Arrossì leggermente, prima di andare a sedersi sul divano. «Che ne pensi se ordinassi cibo cinese? Anzi no, messicano».
«Mi va bene qualsiasi cosa, lo sai». Rispose lui, facendo spallucce.
«Magnifico, vada per il messicano». Ridacchiò ed iniziò ad armeggiare con il telecomando. «Mi dispiace Mick, non sceglierai tu il film». E cercai di afferrarlo, ma lui iniziò a spostarlo, impedendomi di prenderlo.
«Hai detto di fare come se fossi a casa mia». Roteai gli occhi e sbuffai.
«E va bene». Sorrise soddisfatto e, mentre io ordinavo, lui sceglieva il film. «Comunque voi ragazzi non dovreste odiare i film d'amore?».
«E voi ragazze non dovreste amarlo?». Controbatté.
«Touché». Esclamai.
«Trovato!». Fissai lo sguardo verso lo schermo.
«Mystic Pizza? Che diamine di nome è per un film?».
«Puoi, per favore, dare un giudizio dopo averlo visto?». Sbuffai ed andai a sistemarmi al suo fianco. Lui cercò di trattenersi dal ridere e lo fece partire, anche se ben presto fu costretto a bloccarlo perché bussarono alla porta. Era arrivata la nostra cena. Dopo aver pagato, tornai nuovamente sul divano e continuammo a guardare il film, mentre mangiavamo. Ad un tratto Mick sistemò la sua mano sulla mia coscia, rimanendo comunque concentrato a guardare il film. Lasciai perdere, convinta che non se ne fosse neppure reso conto. Dovevo ammettere che mi stava piacendo e non era tanto scontato come gli altri. Ma non l'avrei data vinta a Mick. Cercai di trovare un qualcosa in cui criticare il film, ma non vi riuscii. Il tedesco si voltò a guardarmi per un po', ma io rimasi a guardare lo schermo, convinta che se mi fossi girata mi avrebbe presa in giro. «Angel». Mi chiamò lui ad un tratto. Puntai il mio sguardo nel suo, attendendo che mi parlasse. «Posso baciarti?». Rimasi spiazzata alle sue parole. Mick, il mio migliore amico da una vita, voleva baciarmi? Doveva essere per forza uno scherzo, era il suo modo di dimostrarmi che odiavo i film d'amore perché volevo una relazione piena di cliché. Cercai di leggergli negli occhi, ma era serio. Non mi stava prendendo in giro. Non risposi e lui tornò a guardare davanti a lui. «Fa' finta che non ti abbia detto niente». E si grattò la testa imbarazzato, per poi togliere la mano dalla mia coscia. Io la afferrai di nuovo. Probabilmente non era la cosa più intelligente da fare, ma da quando mi aveva posto quella domanda avevo iniziato a sentire le farfalle nello stomaco che non avevano intenzione di abbandonarmi. Si voltò nuovamente a guardarmi.
«Sì». Risposi semplicemente. Lui non se lo fece ripetere due volte, perché fece scontrare le nostre labbra, afferrando le mie guance con le sue mani. Sistemai la mia mano destra tra i suoi capelli, mentre lasciai l'altra ad accarezzargli il braccio. Non avevo idea del perché ci stessimo baciando, ma non avrei voluto fare nient'altro in quel momento. Quando ci allontanammo lui mi sorrise ed io arrossii leggermente.
«Angel, tu mi piaci, davvero tanto. Lo so, questo è un altro dei soliti cliché che tu detesti: il ragazzo che si innamora della migliore amica, ma non posso tenerlo più nascosto». Mi rivelò lui, forse anche un po' imbarazzato.
«Sì, i migliori amici che si innamorano è un altro dei cliché che detesto, ma mi piaci anche tu». Dissi, prima di baciarlo di nuovo.
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