One shot senza gloria
Non ho sempre vinto, sia chiaro.
Ho provato altre cose non le pubblicherò tutte, ma questa mi ha divertito pur essendo completamente fuori tema.
Quando ti danno un orologio come immagine, pensi subito al tempo: viaggi temporali, salti nel passato o nel futuro, dimensioni parallele. Non volevo incappare in un cliché, così sono clamorosamente uscita dal tema, usando l'immagine come sfondo.
La riporto qui di seguito:
Volevo essere una stronza super top
Non ho idea di quanti anni siano passati dall'ultima volta che ho visto un manifesto degli orologi Kopernik, tuttavia quel ricordo illumina improvvisamente il mio viso con un sorriso ebete. Il sedile scivoloso della metropolitana non sembra proprio il posto più appropriato per un viaggio sul viale dei ricordi, ma quando ti sentì avvampare in quel modo, per quanto l'ambiente sia deprimente, combatterlo è inutile.
Frequentavo l'università e la mia gioventù era al suo massimo splendore. Alternavo le ore di studio e la frequentazione di serate universitarie con una certa maestria. Ero esperta di hangover e un utente fedele di Uber. Nella borsa portavo anche un sacchetto da freezer, di quelli triplo strato, perché ho sempre detestato fare pipì per strada, sapere di averlo era utile, non l'avevo mai usato però, fino a quella notte.
Avevo lasciato il locale da sola, il giorno dopo avevo lezione presto. La coda per il bagno era infinita e non mi andava di aspettare per poi accedere a qualcosa di più velenoso di Chernobyl. Speravo tanto che il favore delle tenebre e qualche cassonetto mi avrebbero permesso di fare tutto lontano dall'imbarazzo, una vana speranza.
Devo dire che fare pipì in piedi non è proprio niente male, sapere che nessuno schizzo ti finirà sulle tue scarpe di velluto con il tacco è un sollievo.
Avevo finito, quando un "chi c'è lì?!" mi ghiacciò sul posto.
Ero in piedi dietro un cassonetto con un sacchetto di urina in mano e gli slip che mi lasciavano fuori mezza chiappa.
Cosa si risponde a una voce maschile calda e profonda di notte dietro un cassonetto? Nulla certamente, se fossi stata sobria e avessi ascoltato la mia voce interiore, ma invece "nessuno" fu la mia risposta.
Così lo vidi avvicinarsi era così alto che riusciva a oscurare la luce del lampione in prospettiva. Dovevo assolutamente andarmene da lì. Purtroppo però il ragazzone accelerò il passo per accostarsi alla parete del palazzo e riversare sul marciapiede la bile e tutto il suo malcontento.
Me la sarei filata a gambe levate se non avessi riconosciuto quella nuca e la camicia dell'assistente del prof di meccanica quantistica, il corso con l'affluenza femminile maggiore dell'università solo grazie alla sua presenza.
Ero in stallo. Fuggire con il mio sacchetto pieno di imbarazzo o darmi una chance con il protagonista dei sogni erotici di mezza università?
Certo che in quelle condizioni non sembrava così affascinante. A catturare la mia attenzione furono i suoi movimenti pesanti e indifferenti e capii che stava per accasciarsi sul suo prodotto. Mossa da pietà appoggiai il sacchetto e mi avvicinai rapida prendendolo per le spalle e trascinandolo lontano da quello schifo.
- Attento, ragazzone! Qui è un macello meglio se ci spostiamo - gli dissi mentre lui tentò di acquisire una posizione eretta.
- Mi ha lasciato, capisci? LEI mi ha mollato così, senza una spiegazione logica, ma perché?- fu la prima volta che mi approcciai seriamente a lui, non gli avevo mai parlato. A meccanica quantistica non ero iscritta ma se capitava andavo a lezione solo per guardarlo. Era piagnucolante con il volto trasfigurato dalla sbronza triste.
Voleva andare a casa ma in quelle condizioni non poteva guidare, così lo portai nel mio monolocale. Ripensandoci ora, fu una mossa molto avventata, ma lui aveva la capacità con la sua presenza di accendere un certo prurito nelle mie parti basse.
A quei tempi casa mia era all'ultimo piano di un palazzo vintage nella prima periferia. Non era un gran che, ma sufficiente per me. Mi ero innamorata di quel buco per la grande vetrata che dava sulla città, era da lì che vedevo il grosso manifesto degli orologi Kopernik.
Ricordo che appena arrivati lui continuava a chiedermi scusa e piagnucolava ancora. Senza fare troppi complimenti si lanciò sul letto così com'era conciato. Mi parlò della sua fidanzata che dopo anni lo aveva lasciato per un altro, lui invece le era stato fedele sempre. Era un po' troppo lamentoso e io mi stavo francamente sfracellando le tempie.
Mi faceva tenerezza, grande e grosso com'era, con quegli occhi da cerbiatto e un fisico da cacciatore, stando al suo profilo Instagram.
Dovevo prendere una decisione, quanto stronza volevo essere?
Avrei potuto offrirgli un bicchiere d'acqua, una mentina e scoparlo tutta la notte, come una vera stronza DOC, Anna sarebbe stata fiera di me e io avrei avuto mesi di racconti focosi davanti a numerosi Moscow Mule.
Avrei potuto lasciarlo lì sul letto a piangere mentre io mi facevo i fatti miei rannicchiata nel sacco a pelo, stronza indifferente. Avrei potuto semplicemente smettere di fare programmi, provare ad ascoltarlo e aiutarlo a farsi passare la sbronza, raggiungendo il livello di stronza super low ma più vicina a un essere umano. Ginny avrebbe sostenuto questa scelta, brindando con il suo vino rosso siciliano che mi stendeva al primo bicchiere.
Come mi piacerebbe essere stronza super top! Lo immaginavo con i suoi addominali scolpiti, il pettorale glabro sotto la morsa delle mie cosce. Purtroppo vinse la coscienza sulle cosce, ma solo per poco. Essere umano vince su stronza.
Mi tolgo finalmente le mie bellissime scarpe di velluto che ho salvato dalla mia urina ma non dal suo rigurgito. Fu un vero peccato doverle buttare. Tornai così alla mia bassezza naturale. Conscia che lui non sapesse ancora di dove fosse mi cambiai, infilando i miei short da letto e una canotta. Sfilai il reggiseno come fanno le brave ragazze, per poi indossare il mio adorato kimono di raso con la stampa floreale e le frange che faceva scendere paurosamente il mio punteggio di ragazza per bene. Mi piaceva, mi sentivo audace e chic. Sapevo benissimo che non si sarebbe mai accorto del mio aspetto, credo di non avergli detto il mio nome finché il suo lamento non si fu calmato un po' e si rese conto di non sapere dove fosse. Stavo sistemando il bollitore sul fuoco quando finalmente sentii la sua voce:
- Hey ma dove sono? Questa non è casa mia, e tu? - la sbronza deve essergli passata in un nanosecondo. - Oh merda! Merda!- disse molte imprecazioni in pochi secondi e lo vidi spaesato.
- Ciao, mi chiamo Gloria, questa è casa mia. So che sei Ian, l'assistente del prof di meccanica quantistica, ti incrocio all'università e sei un po' conosciuto. Ti ho aiutato a non cadere nel pozzo di vomito fuori dal BarAttolo, ti ricordi?-
Fu la sua reazione a scioccarmi. Si alzó dal mio letto, mi raggiunse e mi abbracciò. Non aveva un buon odore e la cosa mi mise un po' a disagio. Credo se ne accorse perché staccandosi da me disse:
- Sono proprio una merda, scusa, scusa! Tolgo subito il disturbo- la sua intenzione era seria ma non fu nemmeno in grado di girare i tacchi che già barcollava.
- Non credo tu sia in condizioni di andare da qualche altra parte...- gli feci presente- stai tranquillo sto facendo qualcosa di caldo. Ti va di fare una doccia? Tanto per schiarirti le idee? - lo guardavo con sincerità mentre lui era frastornato. Annuì, così gli feci vedere il bagno, gli diedi degli asciugamani puliti e una tuta lasciata da non ricordo chi insieme alla t-shirt del concerto di Taylor Swift comprata della taglia sbagliata.
Mentre sentivo lo scrosciare dell'acqua preparavo il necessario per fargli passare sbornia: il pane tostato, le uova, lo zenzero lo zucchero. Avevo tutto, anche le aspirine, ma la doccia continuava a scrosciare. Bussai alla porta:
- Ian, tutto bene? - ma non ricevetti risposta, mi preoccupai. Per fortuna il bagno non aveva chiave, così: - Ian, sto entrando - dissi con un mezzo urletto.
Lo trovai accucciato sul piatto della doccia ancora vestito e avvolto in una nebbia di vapore. Le ginocchia vicine al petto e la testa appoggiata sulle braccia conserte.
- Ma che fai?!- gli dissi con un tono da rimprovero. Spensi subito l'acqua e mi abbassai alla ricerca del suo sguardo. - Ti senti male? - scosse la testa in diniego - perché non ti sei spogliato? - scosse di nuovo la testa. - adesso ti aiuto a rialzarti così ti puoi cambiare, ok? - annuì ma evidentemente le sue intenzioni non si accordavano con il suo corpo. Era pesante e poco reattivo capii subito che da solo non avrebbe fatto nulla, così per mia disgrazia e sommo dispiacere, dovetti spogliarlo e asciugarlo.
Iniziai dall'alto, tamponando il viso con delicatezza, strofinando con vigore la salvietta sui capelli chiari. Gli lasciai l'asciugamano appeso alla nuca per iniziare a sfilargli la camicia che era appiccicata alla pelle. Sentivo i suoi occhi su di me.
- Ti ho fatto male?- gli chiesi mentre strattonavo le maniche. Lui però negò. Così continuai, sfilando la t-shirt dai suoi jeans prima e dalla sua testa poi. Quando alzò le braccia per sfilare la maglietta stupidamente ne seguii il movimento perdendo l'equilibrio e finendo sul suo petto.
Se ora riguardo quel poster pubblicitario non posso fare altro che ripensare a quel momento quando toccai i suoi pettorali e sfiorai i piccoli capezzoli nel tentativo di distaccarmi da lui. Devo aver cambiato colore perché mi prese per le spalle e con delicatezza mi aiutò a ricompormi. Avevo il cuore che pompava a mille, penso che potesse persino sentirlo.
- Faccio da solo ora - mi disse mentre metteva mano alla fibbia della cintura - Sei stata anche troppo gentile, non credo di meritarlo - il tono lamentoso aveva lasciato il posto alla sua voce calda e profonda che vibrava tutt'intorno. Dovevo essere ancora sbronza, perché gli bloccai la mano e gli dissi:
- Non mi piace lasciare le cose a metà.-
La brava ragazza che era in me era andata a dormire evidentemente, perché all'improvviso apparve un'altra tipa, non la stronza super top, lei sarebbe stata alla finestra a fumarsi una sigaretta. Una ragazza audace, spinta, senza timore.
Gli slacciai i pantaloni senza distogliere lo sguardo, cercavo un suo diniego un cenno che non gli stesse piacendo, ma sul suo viso non c'era nessuna parvenza di imbarazzo. Aveva gli occhi lucidi, la sua bocca dischiusa mi dava l'impressione di volere qualcos'altro.
Mi lasciò agire sulla cintura, sui bottoni dei jeans, tutti, inclusi quelli della patta, sfiorando con un brivido di entrambi il suo divin augello. Li sfilai rovesciandoli. Quando arrivai alle caviglie ero accucciata ai suoi piedi. Era tutto bello. Perfetto in ogni sua parte, anche la villosità delle gambe era calibrata e chissà per quale strano istinto risalii accarezzandole. Arrivata all'altezza dei suoi boxer, notai che non erano come li avevo lasciati e un certo rigonfiamento mi dava una sorta di benvenuto alla seconda parte della serata.
- Non avevi detto che non lasci le cose a metà? - chiese sottovoce, lentamente, accostandosi al mio orecchio mentre la sua mano grande scostava i miei capelli.
Lo baciai. Così. Ian accolse con piacere la mia lingua, i miei denti. Sfilò con garbo il mio kimono mentre io concludevo il mio compito togliendogli i boxer con l'abilità di una contorsionista. Senza mai staccarci danzammo verso il mio lettone. Mi sfilai la canotta, mentre lui con un solo gesto mi tolse la parte sotto. Ci guardammo per qualche secondo. Il necessario per annuire l'uno a l'altra, qualsiasi cosa significasse quello che stavamo per fare.
Passò la sua mano sui miei seni, io sul suo turgido vigore. Indagò il mio centro con cauta precisione, sembrava volesse capirmi. Scivolò dentro di me con una piccola frizione che trovai esaltate, eravamo perfettamente incastrati. Cinsi la sua vita con le mie gambe mentre non settavamo di baciarci. Sentì le sue spinte mentre la tensione dei miei muscoli interni che stringevo gli regalavano piacere. Lo fermai solo per prendere un preservativo.
Il ragazzone piagnucoloso era sparito, lasciando il posto a un uomo capace, istintivo e generoso. Prima di arrivare al suo orgasmo rallentò in più occasioni, facendomi godere plurime volte.
Arrivato quasi al suo culmine, mentre ancora scivolava dentro di me, sentii il suo inguine appoggiarsi al mio clitoride. Non so quale magia fece, ma mentre si prodigava nelle ultime spinte, sentii sia il mio interno sia il mio esterno esplodere come i fuochi d'artificio di capodanno. La sbronza era ufficialmente passata. Hangover Champion.
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