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Ikto'mi e la notte del solstizio d'estate

La porta di legno e vetro dell'emporio sbatté violenta non appena Isotta fece il suo ingresso nel solo locale pubblico di Carlton. Le signore Hauser e Absolong chiacchieravano rumorosamente nella loro lingua madre mentre il buon Wilhelm sorrideva accondiscendente.

Isotta non capiva né parlava il tedesco e tutte quelle "sch" e acca aspirate le mettevano i brividi. Le loro "T" rigide e puntute la trafiggevano come spade soprattutto quando capiva che stavano parlano del suo nome e della sua storia così scabrosa ai loro occhi. Oramai erano passati sei mesi dalla morte di Steven, il suo sposo, ma loro continuavano a sottolineare come fosse inopportuno che venisse lasciata sola a gestire la fattoria. Era Wilhelm a raccontarle dei loro pettegolezzi, soddisfacendo la sua curiosità e il suo broncio infastidito.

«Guten Morgen!» le salutava con la sola parola che conosceva ma con un tono di voce che nascondeva molti sottintesi. Le Signore ancora agitate dalle loro chiacchiere salutarono Wilhelm e le rivolsero un sorriso poco prima di uscire dall'emporio con le loro lunghe sottane e i busti stretti, i capellini piumati e le gote arrossate dal caldo dell'estate oramai giunta.

Isotta, trafelata e impolverata, aveva dismesso da tempo quel tremendo strumento di tortura che era il corsetto, indossando solo la biancheria comoda e morbida più adatta al lavoro di fatica nei campi.

«Buon giorno signora Lawrence» la salutò con il consueto cordiale sorriso il biondo proprietario di quel posto angusto e pieno di cose, divenuto nel tempo un fidato amico.

«Buon pomeriggio Wilhelm, come mai così felice oggi?» contraccambiò il formale saluto dell'amico con una puntualizzazione temporale e un certo fastidio per la sua allegrezza, un sentimento che non provava più da molto tempo.

«Oggi è arrivata la diligenza con qualcosa che so che apprezzerai» annunciò con tono ammiccante.

«Oh Cielo! Vorresti dirmi che finalmente è arrivato anche qui nella sperduta pianura del Montana? A giugno del 1876!».

«Sì cara Isotta, ho già la caffettiera sul fuoco, dovrebbe essere pronto oramai.» A quell'informazione i sensi di Isotta si acuirono. Il suo piccolo naso tondo si agitava nell'aria alla ricerca di quell'aroma di cui aveva sentito tanto la mancanza.

Le occhiaie profonde e scure che si presentavano sotto i suoi occhi grandi e azzurri erano le testimoni delle sue nottate abbracciata al fedele Winchester, il fucile che le aveva lasciato il marito, il solo oggetto che le permetteva di sentirsi al sicuro, ma che non le garantiva un sonno riposante.

Wilhelm le porse finalmente una tazza fumante e quel profumo invase le sue narici e i suoi sensi.

«Lo sai che se lo bevi adesso stanotte non dormirai?» puntualizzò il giovane uomo dall'aria serena e preoccupata.

«E chi dorme più?» rispose sincera Isotta «piuttosto sarà meglio che tu me ne dia un bel po', con il solstizio di stanotte e il cielo senza luna dovrò stare ancora più allerta. Con i soldati che girano qui intorno non so più cosa pensare.» Stava portando la grossa tazza di latta alla bocca, pronta finalmente per degustare quel liquido ristoratore, quando sentì la porta dell'emporio aprirsi e un corpo pesante e spigoloso la spinse verso il bancone facendole rovesciare la calda bevanda sulla sua sottana.

Per quanto Isotta fosse furente per la perdita del suo caffè meritato e agognato, quando si girò per vedere chi si fosse avventato su di lei, ciò che vide la lasciò allibita.

Una giovane squaw era accucciata ai suoi piedi, mentre due truci soldati affrancati all'esercito di Custer facevano la loro apparizione sull'uscio con aria famelica e un pessimo odore di alcool.

Per quanto Isotta fosse arrabbiata per aver perso la sua amata bevanda non aveva proprio l'animo di prendersela con la donna, che tremante cercò riparo proprio dietro di lei. Aveva sempre temuto un evento simile, perché vivendo da sola potrebbe essere lei a subire quell'assalto e la cosa che avrebbe desiderato di più sarebbe stato l'aiuto di qualcuno. Decise quindi di essere lei la paladina della giovane indigena, scagliandosi senza remore contro i due facinorosi:

«Signori con quale irruenza vi presentate in questo luogo pacifico» Isotta fu la prima a parlare, con tono mellifluo «Guardate, mi avete così spaventata che ho rovesciato tutto il caffè!». I due soldati dalla divisa in disordine e sporca delle loro luride abitudini, posero le mani alle loro cinture e con aria soddisfatta replicarono:

«Non siamo stati noi, signora, ma quella pezzente pellerossa che è entrata poco fa. Dov'è finito quel bocconcino?». I loro fiati erano pesanti e male odoranti, il loro fare arrogante e rivoltante. Isotta sentì la giovane tremare dietro le sue gambe e si chiese come i due non l'avessero notata, ma poco importava aveva già deciso come sistemare le cose:

«Signori temo ci sia un equivoco, qui ci siamo solo io e il sig. Wilhelm Glockhammer, stavamo gustando un caffè giunto da poco con la diligenza, non abbiamo visto nessuno che corrisponda alla vostra descrizione». Anche a Isotta iniziarono a tremare le gambe. Ricordava le parole del marito "tu puoi tutto", strinse i pugni, alzò il mento fiera e il suo sguardo di sfida sorprese sia lei sia Wilhelm che la osservava con ammirazione. «Se cercate sollazzi, Carlton non è il posto che fa per voi, non c'è nulla qui per i vostri passatempi.» chiosò severa.

«La vedo! La vedo! È lì!» disse uno dei due biascicando.

«Qui non c'è nessuno oltre a me e al signor Wilhelm, se pensate che io possa essere ciò che cercate è un grave errore e il signor Glockhammer qui potrà essere testimone del vostro affronto di fronte allo sceriffo. Ora, signori, la vostra presenza non è gradita, andate a cercare quel che volete altrove!» Le parole di Isotta uscirono taglienti e misurate e i due soldati ubriachi si guardarono intorno alla ricerca di una via di fuga, tuttavia lo sguardo severo di Wilhelm li colse alla sprovvista e senza null'altro proferire, imboccarono la via dell'uscita.

Quando furono oramai distanti, Isotta si accucciò per vedere chi fosse la persona che le era piombata addosso e ciò che vide la colpì molto.

Era una ragazza indigena di non più di diciotto anni, il volto dai tratti decisi e la pelle liscia era segnato da graffi e sporcizia, probabilmente era caduta in un cespuglio di rovi per fuggire ai due farabutti. La vide spaventata e i suoi occhi scuri imploravano aiuto.

Isotta portò la giovane alla sua fattoria, passando per il retro dell'emporio e avendo cura che nessun soldato girasse ancora per le polverose strade di Carlton, con Wilhelm che le copriva le spalle. Fece chiamare Penna Strappata, il tuttofare che aveva ingaggiato suo marito per gestire i campi ed eseguire i lavori necessari per delimitare il loro possedimento.

Non aveva ancora detto nulla a quella ragazza, non sapeva nemmeno se capisse la sua lingua. Sapeva che Penna Strappata sarebbe stato in grado di darle supporto e ne ebbe ragione.

«Mais Lucente!» il tuttofare riconobbe subito la giovane donna che ora era seduta nella cucina dei Lawrence. «MS Lawerence che è accaduto?» Le chiese concitato mentre Isotta preparava il bollitore sulla stufa già accesa.

«I soldati di Custer l'hanno aggredita e ci siamo incontrate all'emporio di Wilhelm».

Mais Lucente continuava a parlottare tra sé e sé, subito Isotta credette in un lamento, ma anche quando si ritrovarono al riparo e la foga del momento sembrava essere passata, Mais Lucente continuava a parlottare, come una serie di sequeri che si enunciano per ritrovare un oggetto smarrito. La giovane squaw non diede bado all'indigeno che la stava scrutando, nemmeno quando lui si accorse della ferita che sanguinava dal suo ventre.

«MS Lawrence la ragazza è ferita, dobbiamo sistemarla» spiegò velocemente prendendo in braccio la giovane e portandola verso una delle stanze libere seguito a ruota dalla padrona di casa. Quando l'adagiò sul soffice materasso la ferita iniziò a sanguinare ancora più copiosamente. Le sollevarono l'indumento di pelle e scoprirono un taglio stretto e profondo, forse inflitto da una baionetta.

«Ikto'mi! Ikto'mi!» furono le ultime parole prima che perdesse i sensi.

Penna Strappata divenne serio, il sorriso accondiscendente e la sua aria pacifica furono sostituite da una tensione che Isotta non seppe riconoscere. Lo guardò con aria interrogativa.

«Signora Lawrence, devo assolutamente andare dalla nostra tribù, devo parlare con il nostro capo»

«Con Cavallo Pazzo?» rispose Isotta sconcertata.

«Ha» rispose Penna Strappata, il sì dei Lakota, una delle poche parole che Isotta poteva capire. «Mais Lucente è importante per la nostra tribù, tu la devi curare, promesso? Ha?» chiese cercando conferma negli occhi della donna.

«Va bene, ma torna presto o fammi avere notizie, d'accordo?» L'indigeno annuì lasciando la stanza a passo svelto, senza dimenticare di informare la padrona di casa che la ragazza comprendeva e parlava la loro lingua.

Isotta iniziò a pulire la ferita, era profonda e benché potesse chiuderla con dei piccoli punti di cui era esperta, sapeva che internamente non avrebbe smesso di sanguinare e che questo non avrebbe portato nulla di buono. Le tastò la fronte, la febbre iniziava a salire. Ricordò gli ultimi giorni di agonia del marito e si sentì triste.

Passarono alcune ore e il sole iniziava a scendere in quella serata di giugno, il solstizio d'estate era alle porte e la luna nuova rendeva tutto oscuro e cupo. Isotta recuperò il suo fidato fucile e portò un vassoio con qualche vettovaglia nella stanza della giovane che non aveva ancora recuperato i sensi.

Fu poco prima che il sole sparisse completamente che la ragazza si ridestò, trovando Isotta seduta accanto al suo letto, con il fucile in grembo mentre leggeva un libro e masticava un tozzo di pane.

«Dove sono?» Isotta sollevò il viso verso la ragazza, con una nota di stupore in volto. Poggiò il pane e il libro sul basso comodino e scostò il fucile dal grembo. Si avvicinò al letto e le prese la mano mentre con l'altra tastava la fronte per rilevare la temperatura. La giovane scottava e probabilmente soffriva molto sia per la ferita sia per la febbre.

«Sono la signora Isotta Lawrence, Penna Strappata lavora per me nella fattoria, ti ha portata su questo letto. Forse sei stata ferita da dei soldati oggi pomeriggio, ricordi nulla?» chiese delicata parlando piano.

«Ha,» rispose Mais Lucente cercando di sedersi sul letto con fatica «devo andare.» replicò con un certo sforzo.

«Non credo sia saggio muoversi ora, la ferita è profonda, io ho chiuso la superficie, ma non so quanto...» Isotta si trovò in difficoltà in quel momento, non sapendo come comunicare la gravità della situazione.

«Signora Lawrence» la guardò seria «Ikto'mi sta arrivando e non posso aspettarlo qui, mi serve il fuoco e uno spazio aperto, lo so che non mi resta molto tempo, Egli mi ha parlato nel sonno, perché con me morirà anche lui.»

«Chi è Ikto'mi? Qui non è entrato nessuno e tu...» Isotta farfugliò qualche parola confusa.

«Ikto'mi è parte di Wakan, è figlio di Inyan, la roccia. Aiuta me e la tribù a trovare passaggi sicuri, lui spia Custer e viene da me e mi dice. Io poi lo dico a Cavallo Pazzo e lui ci guida.» una smorfia di dolore interruppe il suo discorso e contrasse il suo bel viso. «Dobbiamo uscire e accendere il fuoco, presto prima che Wi si nasconda.»

Isotta non era certa di aver capito tutto, c'erano molte parole che non aveva mai sentito e forse la febbre stava facendo un brutto effetto su Mais Lucente. Tuttavia non si sentì di contraddirla, prese il fucile e accolse il braccio della giovane sulle sue spalle per aiutarla a camminare.

Poco fuori il patio, scesi i pochi gradini, Mais Lucente lasciò l'appoggio di Isotta iniziando ad accatastare della legna e accendere un piccolo fuoco. Era abile di certo, il fuoco fu vivace in pochi minuti. Si sedette quindi a ridosso intonando un canto.

Isotta non aveva mai sentito dei suoni simili, profondi e gutturali e rimase incantata nell'osservare Mais Lucente. Si sollevò una leggera brezza che smosse le fiamme e Isotta strinse forte il fucile tra le mani.

Udì dei rumori mai sentiti, un misto tra il gracidare delle raganelle e il suono delle canne mosse dal vento. Si spaventò molto quando vide quell'essere avanzare verso il fuoco. Era un uomo muscoloso con colori dipinti sul volto e delle protuberanze lunghe e lisce spuntare dalla schiena, sembravano delle grosse zampe e si muovevano autonomamente.

«Ikto'mi, sto morendo» disse Mais Lucente. «la nostra ora è giunta e dopo di me non ci sarà nessun altro a portare i tuoi messaggi» disse con voce triste. «questa donna la signora Lawrence mi ha aiutata, quello che tu dirai a me ora, io lo consegnerò a lei e lei a Cavallo Pazzo» nella voce di Mais Lucente c'era tristezza e sofferenza, la ferita doveva essersi infettata, pensò Isotta. Vide il grande essere chiamato Ikto'mi annuire con tristezza. Sapevano entrambi che tutto sarebbe finito quella sera. Mais Lucente prese la penna che aveva infilata nei capelli e un pezzo di pelle conciata che le pendeva dalla cinta. Scrisse. Isotta non lesse mai quello scritto tanto era incantata dal fatto che scrivesse senza inchiostro.

Passarono molto tempo mentre erano immersi in quello stato di trance, alternando scrittura frenetica e canto gutturale. Vedeva quello strano essere gesticolare con le sue braccia da umano e con le sue zampe di ragno mentre la giovane squaw muoveva la penna bianca sul pezzo di pelle, danzò attorno al fuoco e le sue zampe disegnavano nell'aria i soldati di Custer e il loro accampamento. Mais Lucente seguiva attentamente ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni suo canto, non sembrava soffrire in quel momento.

Quando Ikto'mi terminò il suo canto, si strappò le zampe dalla schiena e le gettò nel fuoco. Salutò Mais Lucente e si dissolse magicamente nell'aria.

«Signora Lawrence» Mais Lucente ormai aveva poche forze, la ferita, la febbre e quell'ultimo sforzo la sfinirono. «deve fare questo per me» Isotta annuì capendo che si trattava del desiderio di una persona morente. «vai da Cavallo Pazzo e dai lui questo» le porse il pezzo di pelle conciata su cui aveva scritto, "ti consegno anche questa penna bianca, questa è penna di Sacajawea, penna speciale, la sola in grado di scrivere i messaggi di Ikto'mi. Mentre questa» disse estraendo qualcos'altro dalla sua chioma nera «è mia penna d'aquila, se dai questa a Cavallo Pazzo, saprà che sono dall'altro lato del fiume. Io sono l'ultima che poteva parlare con Ikto'mi, ora è finita anche per me. Vai dalla mia tribù, dai questo, vinceranno».

Il 25 giugno 1876 i Lakota insieme ad altre tribù si allearono grazie alle indicazioni di Mais Lucente dettate da Ikto'mi e vinsero contro l'esercito di Custer. Isotta divenne amica degli indigeni, la sola non designata ad aver visto Ikto'mi, la custode della penna di Sacajawea. Da allora dormì sonni placidi, confidando nella protezione di inconsuete divinità e dei suoi amici Sioux.

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