Desolazione
Calma.
Silenzio.
Stasi.
Dove sono? Come sono arrivato qui? Stavo dormendo?
Mi sento come se mi stessi svegliando da un sonno molto profondo, tuttavia è diverso perché cerco di respirare, ma non ci riesco. Non sento nemmeno il fastidio di non riuscirci: quel fastidio che si prova quando ti tuffi in piscina e tenti, scioccamente, di respirare sott'acqua. Inali una mostruosa quantità di liquido, ma in quella frazione di secondo tra il tentativo di respirare e il soffocarsi, li senti i polmoni che si contraggono, che reagiscono a una condizione avversa.
Ora nemmeno quello.
Pesantezza.
Densità.
Cerco di capire perché non sento i polmoni, il naso e nemmeno la bocca.
Vorrei poter dire che mi sto agitando e sto entrando in iperventilazione, ma ciò significherebbe che respiro in qualche modo, ma non è così.
Non sono mai stato uno particolarmente coraggioso, anzi tutto il contrario, in condizioni normali, sentirei anche il cuore rimbombare nelle orecchie. La paura e l'ansia che provo ogni giorno davanti al solito gruppetto di bulli all'ingresso di scuola, la conosco proprio bene. Il cuore accelera così tanto in quei momenti che potrei anche vomitare, quando i miei piedi rincorrono i battiti significa che sto correndo veloce. Ma non riconosco nulla di quel genere di terrore.
Distinguo bene anche il tamburellio insistente delle emozioni belle, di quelle che ti fanno cambiare il colorito della pelle. È successo quando ho chiesto ad Amy di uscire.
Quindi sì, conosco il suono del mio cuore e ora non lo sento, nonostante io non mi senta a mio agio non percepisco nulla. Capisco ora che l'agitazione del mio organo vitale evidenzia la mia paura, se quindi ora non lo sento significa che non ho paura, no?
Oppure che non ho un cuore.
Seppur così allucinante come ipotesi, non mi sembra così lontana dallo descrivere il mio stato attuale.
Vuoto.
Abisso.
Sono così concentrato nel cercare di fare le cose più basilari che non so nemmeno dove sono e cosa stavo facendo prima di questo momento.
Lascio perdere i miei vari tentativi di recuperare le funzioni biologiche di base, per concentrarmi a ricordare. Tanto l'aria non entra, e continua a essere una sensazione che non mi spiego.
Confusione.
Buio.
Ombre.
Cos'è l'ultima cosa che mi é successa? Percepire di chiudere gli occhi mi aiuterebbe a focalizzare le sensazioni, ma come per il respirare non ho nessun riscontro dal mio corpo. So bene cosa succede quando chiudo gli occhi: le palpebre si abbassano e oscurano la realtà. Talvolta mi è sembrato un buio "grigio", di quelli indefiniti che si creano quando una luce disturba il tentativo di dormire; altre era come vedere delle ombre muoversi indistinte come se fossero fiamme. Poi l'arrivo del sonno e tutto si spegne, non elaboro nessuna immagine, nessuna ombra. Ora è diverso: il buio é denso e avvolgente, penetrante, sento quasi di farne parte. La percezione che mi possegga, che non ci siano confini tra me e lui. Oltre tutto non sento di poter governare nessuna palpebra.
In tutta quella densità i miei sforzi mnemonici cercano di fare strada ai ricordi: c'era stato un boato, l'aria si era sollevata, sono caduto, la sabbia del parco dove mi trovavo vorticava. La sentivo graffiarmi la pelle del viso, i palmi delle mani pungevano quando li ho portati davanti agli occhi, gli stessi che ora non sento più.
Barlumi.
Fiammelle.
I ricordi si formano un po' più vividi: non ero solo al parco, c'era Amy con me, il nostro primo appuntamento. Ricordo di aver sentito il suo profumo di gelsomino pizzicarmi il naso quando le ho sussurrato quanto fosse bella quel giorno. Ho sentito anche il suo imbarazzo, il rossore delle sue guance, il calore del suo corpo.
Ancora vuoto.
Ancora solo.
Avrei dovuto chiederle di uscire molto prima, invece di aspettare la fine della scuola, ma quel batticuore, l'ansia e la paura che mi avevano sempre accompagnato e che ora rimpiango, non mi hanno mai permesso di spingermi oltre al "ciao". Fino a quel giorno.
Ero motivato, mi sentivo coraggioso. L'anno era finito bene, con diverse note di merito che mi hanno fatto guadagnare alcune dimostrazioni di stima da tutta la famiglia. Anche lo Zio Val mi ha telefonato quel giorno per complimentarsi per gli ottimi risultati in matematica, diceva che mi avrebbe tenuto un posto nella sua azienda. Ricordo di aver apprezzato la proposta, ma che lavorare come contabile in un negozio di riparazioni di elettrodomestici non era il motivo che mi spingeva ad eccellere.
Volevo lasciare quel posto tormentato e incerto. Volevo portare con me i miei genitori e Amy, da qualche parte dove le esercitazioni di sicurezza della scuola non includessero gli allarmi anti aerei o quelli per sostanze chimiche. Non volevo fare il servizio militare.
Fu tutto quel ragionamento a darmi la forza di agire.
Emozioni.
Apatia.
Quel giorno Amy indossava una camicia bianca con un motivo a griglia di colore giallo sole. La gonna a pieghe era dello stesso colore caldo. Il suo incarnato risplendeva sotto quei colori. Avevo sempre pensato che la divisa scolastica non la valorizzasse abbastanza e avevo ragione. Si era fatta accompagnare da un cugino, che una volta appurato che non fossi un pericolo per la sua virtù, ci ha concesso un'ora di tempo per stare insieme, poi sarebbe tornato a riprenderla.
Infondo chi potevo spaventare o impressionare? Sono sempre stato alto ed eccessivamente magro, nonostante le scorpacciate dei dolci della nonna e le merende abbondanti mangiavo anche la cena. "Sarà l'adolescenza", diceva mia mamma; "sarà fortuna", replicava papà, ma io ero lo smilzo un po' sfigato che tutti i bulli si divertivano a torturare, benché fossi più alto di loro di quasi una spanna. I muscoli, poi, non mi crescevano, certo, se le pedine degli scacchi fossero state di osmio magari avrei avuto una chance, ma quelle con cui passavo le giornate non erano poi così impegnative per essere sollevate. La camicia con le maniche corte che avevo scelto per il nostro primo appuntamento "esaltava" queste mie doti fisiche che però ad Amy non sembravano interessare. Non ho ancora capito bene perché avesse accettato di uscire con me.
Ricordarla con tale vividezza ha una sorta di effetto magico: tutto inizia a prendere forme familiari, ma non i colori. Invece dei cedri alti e verdi e degli eucalipti ombrosi con le foglie mosse dal vento, ci sono solo sagome cupe e sinistre.
Ancora buio.
Ancora abisso.
Ciò che fino a poco tempo fa mi risultava piacevolmente familiare, ora ha un aspetto inquietante e mi sento parte di quel tetro paesaggio, non riesco a sottrarmi.
L'erba verde e fresca su cui camminavamo scalzi, ora sembra una melma molle e invadente. Mi accorgo tuttavia che non ho percezione fisica delle superfici e quelle sensazioni sono più il frutto di un riflesso. Tutto inizia a sembrare angosciante e ora sento una forte nostalgia per quel cuore pauroso, avrebbe un significato anche la paura.
Le emozioni che ho sempre tentato di domare non tornano, sono totalmente indifferente, non provo né ansia, né gioia. Non sento la stanchezza, non sento il vigore.
Sospensione.
Ignoto.
Il boato, la sabbia, il nulla, se non fosse che sto riacquistando coscienza, penserei di essere morto, ma penso, quindi sono, no? Oppure ciò in cui ho creduto non è poi così vero. Forse sono le emozioni che ci fanno "essere", non un pensiero costruito e logico.
Dev'essere stato ciò da cui avrei tanto voluto fuggire: l'odio mascherato da ordigno. Chissà da dove è arrivato. Non abbiamo sentito nessun allarme.
Ancora confusione.
Caos vuoto.
Sono solo nel buio, il parco non esiste più se non per una sgangherata altalena che prende forma sotto i miei occhi, appena ne prendo coscienza mi ci ritrovo sopra. Non ho camminato, ho solo pensato di sedermi e ora sono lì, in quella desolazione densa. Vorrei piangere ma so che il mio corpo non reagirà a questa richiesta.
Vorrei sapere dov'è Amy, vorrei sentire di nuovo il suo profumo di gelsomino, vedere la sua gonna gialla, ma niente. Lei non si materializza come l'altalena.
Devo essere veramente morto. Forse ora sono un fantasma, ma da quello che so i fantasmi non lasciano la terra che hanno abitato finché non chiudono con le cose in sospeso della vita terrena.
Altri barlumi.
Fuochi fatui.
Io so cosa era rimasto sospeso: io dovevo baciarla. Quel giorno di sole nel parco vicino alla scuola, l'avrei baciata. Avrei preso la sua mano delicata tra le mie dita ossute conducendola sotto il grande olmo, lontani dai mille occhi delatori che avrebbero potuto metterci nei guai. Avrei detto altre cose dolci e lei avrebbe preso l'iniziativa perché io sarei stato troppo agitato. Così si sarebbe accostata a me e avrei sentito le sue labbra morbide, il suo sapore, le sue emozioni. Avremo tremato insieme, ci saremo abbracciati sentendo i nostri cuori sincronizzarsi. Dov'è ora quel muscolo così necessario, il cui tumultuoso e incessante battito mi teneva in forze?
Sono morto, ne sono sicuro.
Sono un fantasma probabilmente.
Ma qui sono solo, non c'è una Amy da tormentare fino al bacio che non ci siamo mai dati. Il mio conto in sospeso con un mondo che mi ha strappato il sogno di baciare le sue labbra. Vorrei provare rabbia, ma anche quella si accompagna al cuore e qui non c'è niente.
Non ci sono persone, non ci sono altri fantasmi, non c'è un manuale che spieghi come funzionino le cose di questo mondo. Sono incastrato qui, in questo limbo di fango, a dondolare su un'altalena appesa al futuro perduto, all'amore mancato.
Solo.
Eternità.
Mi sento fondere alle viscere del vuoto. Sono vuoto.
Non ho cuore, non respiro, non percepisco niente. Sono niente.
Mi manca la paura.
Mi manca mia mamma, la nonna e i suoi dolci, il papà e il suo essere sempre indaffarato.
Mi mancano i miei diciassette anni appena compiuti, le partite a scacchi, i compiti di matematica.
Eppure ho un solo sospeso nella mia vita, ed è quel bacio. Sono anche convinto che se lei fosse ancora terrena potrei sentirla, cercarla, tormentarla, finché un giorno le ruberò quel bacio e potrò lasciare questo posto terrificante. Ma non la sento, lei non c'è.
Non potrò lasciare questo posto e il solo tormento eterno sarà il mio.
Maledetta guerra.
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