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Il gioco di Dherin

Lyria entrò nel tempio senza esitazione e senza deporre le armi, con il lungo arco che svettava sulla schiena e la spada stretta nella destra; il braccio era sporco di sangue, che stillava a terra tingendo di rosso la guardia dell'elsa. I vestiti maschili, ormai logori, parlavano di scontri feroci, non sempre vittoriosi al primo assalto.

Un gatto fulvo, paffuto e dal pelo lungo, le si fece appresso, le si fermò davanti e le bloccò il passaggio.

«Dov'è?» gli domandò a denti stretti.

I muscoli del viso erano tirati, sia per la rabbia che per il dolore, fino a lasciar ben poca traccia dei lineamenti dolci e regali nei quali erano incastonati quegli occhi d'un blu intenso e profondo, incorniciati da capelli biondo cenere.

«Non avresti dovuto venire qui», le rispose il gatto.

«Dov'è lui?»

«Non hai speranze, avresti dovuto seguire il mio consiglio.»

«Dimmi dov'è!» gli urlò contro.

Il gatto si leccò un paio di volte la zampa, mentre rumori metallici e un vociare concitato si facevano strada, accompagnati da distanti grida.

«Nel cerchio nord, al cristallo madre.»

Lyria non aggiunse nulla e gli sfilò accanto con passo sostenuto, seppur avrebbe voluto mettersi a correre.

«Mi dispiace, Lyria», le disse sommessamente, fissando la scia di sangue che la seguiva.

Imboccò il corridoio che la condusse nel piccolo giardino situato nella zona più a nord del tempio, dove al centro si ergeva una grande quercia, attorniata da dodici menhir disposti in cerchio. Quando scorse la figura di un uomo ai piedi dell'albero, accelerò il passo col cuore che batteva sempre più forte.

«Sei arrivata, finalmente», l'accolse una voce calda e profonda.

Al solo udirla il suo volto si distese, illuminandosi in un moto di commozione e sollievo.

«Sì», rispose abbassando la spada.

Lodhir si voltò e la osservò un istante accigliato Annullò la poca distanza che ancora li separava e la strinse in un abbraccio delicato.

«Non avrei voluto scaricare su di te tutto il peso dello scontro», le sussurrò.

«Non mentire, ti prego. Sappiamo entrambi che non è vero. Io sono la guerriera e tu la mente», replicò lei con una nota rassegnata nella voce.

«Vuoi rinunciare?»

«È tardi, ho già tradito i miei compagni e i miei fratelli per te.» Si ritrasse e sfilò dalla sacca legata in cintura una scheggia nera. «Ho distrutto il cristallo nero e questa è la scheggia più grande dei frammenti che non si sono polverizzati.»

Lodhir si fece consegnare il biterminato acuminato, studiandolo con attenzione; corrugò la fronte e lasciò scivolare gli occhi sul corpo di Lyria.

«Purtroppo non sono riuscita a evitare l'esplosione», gli confessò con un sorriso amaro, come se avesse letto nei suoi pensieri.

La fece girare e le accarezzò la schiena, scendendo lungo la spina dorsale. Quel contatto le provocò un brivido di piacere che si mescolò al dolore, restituendole un attimo di sollievo. Infine, le sollevò il lembo inferiore della camicia, reso viscido dal sangue, scoprendo la zona all'altezza dei reni. Un taglio lungo una spanna le squarciava la carne, rivelando un altro frammento di cristallo.

«Quello lo devi estrarre tu, non ci sono riuscita e, in effetti, è il pezzo più grande.»

Lodhir vi impose la mano per pochi attimi, poi lo sfiorò.

«Si è conficcato nell'osso.»

«Me ne sono accorta», ribatté sogghignando. «Per questo ho tardato.»

«Chiunque altro non sarebbe mai arrivato.»

«Io sono io. Adesso fai ciò che devi», lo incalzò serrando la mascella. «Uno o l'altro non importa più a questo punto. Finiamo quel che abbiamo iniziato, però guardati da Dherin.»

Lodhir la fece voltare e le prese il viso tra le mani, lasciando che Lyria si specchiasse in quegli occhi scarlatti che tanto amava. Le sfiorò le labbra con le proprie, mordendole piano, chiudendola in un bacio appassionato.

«Basta quello che ho in mano e quando avrò finito, potrò guarirti.»

Lei annuì, affinché proseguisse, senza aggiungere altro, ben consapevole della sorte che l'attendeva. Lodhir si voltò e lentamente affondò il frammento nero nel cristallo madre, vibrando un canto incomprensibile, fatto di puro suono. Il dolore di Lyria aumentò: anche il frammento nel suo corpo vibrava e rilasciava il potere venefico nelle sue ossa. Trattenne un singulto, inginocchiandosi a terra.

Lodhir non poteva sentirla né aiutarla, non avrebbe potuto guarire un cadavere e lei non sarebbe sopravvissuta abbastanza per vedere la fine di un'era e di quel mondo. Una fine che giungeva per causa sua, per il suo desiderio di poter amare un uomo, andando contro ogni regola. Non avrebbe potuto farlo comunque, forse era questo il prezzo da pagare per quel che aveva fatto. Eppure così, un giorno, qualcun altro sarebbe stato libero di amare senza doversi nascondere.

Quando la scheggia raggiunse il cuore del cristallo madre, la terra tremò e il cielò si fece plumbeo. Lodhir non si fermò e proseguì l'opera imponendo le mani su esso, facendo risuonare il potere dei due attraverso se stesso. Il cristallo madre assunse un colore antracite e iridescente, con strani riflessi arcobaleno. Sorrise soddisfatto, mentre l'aria sembrava mutare a ogni respiro in un modo non definibile; non vi erano più divisioni imposte dall'ordine, il nero e il bianco erano tornati uno nel caos da cui avevano avuto origine.

Si voltò e la sua gioia scomparve alla vista del corpo di Lyria privo di vita, steso nell'erba: sembrava sorridergli. Non se ne era reso conto e gli mancò il fiato. Aveva rincorso il potere per avere tutto e, adesso, non aveva nessuno con cui condividerlo.

Era solo.

Non riusciva a muoversi, non era neppure in grado di chinarsi su di lei; neppure con tutto quel potere poteva riportarla indietro, avendo tracciato un confine unendo i cristalli e Lyria lo aveva lasciato proprio in quel momento.

«No, non finirà così!» disse digrignando i denti.

Dherin arrivò zampettando tranquillamente, fermandosi accanto al cadavere della donna come nulla fosse, e Lodhir lo fulminò con lo sguardo.

«A tutto c'è una soluzione.»

«Tu lo sapevi già, maledetto. Non è così?» gli ringhiò contro.

«Tutto ha un prezzo e tu volevi il potere.»

«Ma volevo anche lei!»

«Non puoi avere tutto, Lodhir. Tu hai scelto.»

«No! Tu mi hai mentito, non mi avevi detto che l'avrei persa.»

«Io ti ho parlato della morte, mio caro.»

«Essere infido.»

«Disse il tessitore d'inganni dopo aver perso la traditrice», lo schernì il gatto. «Nessuno di voi è migliore di me, ma entrambi siete più stupidi. Però puoi ancora scegliere.»

«Cosa?»

«Lei o il potere?»

«Con un ennesimo inganno, immagino. Lei è morta, come potrei mai riaverla?»

«Non qui, mi pare ovvio. Per questo dovresti rinunciare al potere o, almeno, a buona parte di esso.»

Era certo che lo stesse ingannando, eppure il sorriso dolce che leggeva sul volto di Lyria era una tortura insopportabile.

«Lei», disse con un filo di voce.

Dherin si spostò portandosi vicino alla gamba di Lodhir, mentre i rumori degli scontri si facevano sempre più forti.

«Lascia che ti uccidano.»

«Cosa?»

«Se vuoi lei, la devi raggiungere altrove.»

I soldati irruppero nel giardino puntando le frecce verso Lodhir, esitando innanzi alla sua mano, che mostrava loro il palmo.

«Abbraccia la morte per Lyria, come lei ha fatto per te.»

Serrò la mascella rabbioso. Aveva speso tutto se stesso per arrivare fin lì e, ora, doveva rinunciare a ogni cosa. L'avrebbero pagata cara tutti, ma prima doveva riavere lei, perché era Lyria a dargli la forza di poter fare tutto. Annuì e ritrasse il braccio. Un istante prima che le frecce scoccassero all'unisono, Dherin lo morse.

Il dolore durò un attimo, lo stesso in cui gli mancò il respiro, accasciandosi a terra. Un ultimo battito del cuore in cui cercò Lyria e, baciandola, ebbe l'impressione di udire la sua voce, come un richiamo lontano.

«Ormai qui ci si annoiava», sospirò Dherin, guardando i soldati avvicinarsi ai corpi senza vita dei due amanti con circospezione. «Vedremo come se la caveranno con le nuove regole.»

Il gatto si leccò i baffi e, quando un soldato levò la spada per calare il colpo su di lui, scomparve.

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