Clato.
Katniss Everdeen. Quel nome mi è impresso bene nella mente, sarò io ad ucciderla. Sono più che sicura che sia stata lei a far saltare le nostre provviste, anche se non capisco bene come dato che non sono sicura che sapesse delle mine sepolte intorno alla piramide. Ma con chi potrebbe essersi alleata, a questo punto del gioco? Dubito che sia il ragazzo del suo distretto, Peeta Mellark. È stato nostro alleato, insieme ai tributi del distretto 1, ma ha scioccamente provato a salvare lei. Nonostante ci avesse fatto precipitare quel maledetto nido di aghi inseguitori addosso. Cato l’ha ferito, sarà di certo in pessime condizioni, se non addirittura morto. La sua immagine non è ancora comparsa nel cielo fino alla notte scorsa, ma questa volta potrebbe essere quella buona. La spada era avvelenata, di sicuro non se la starà cavando bene.
Chissà se Katniss l’ha trovato. Mi gratto sul braccio, dove in bella mostra, c’è il bubbone causato dalla puntura di ago inseguitore. Per fortuna me la sono cavata soltanto con due punture, sono stata la più veloce a schizzare al lago, e lì le vespe non mi hanno raggiunta. «Ti dà fastidio?» chiede Cato, più premuroso che mai. Domattina, all’alba, ci sarà il festino. Adesso non c’è più motivo di combattere anche contro di lui, sarebbe una sofferenza troppo grande. Io lo amo. Scuoto la testa, trovando in me il miglior sorriso che posseggo, cosa che non è per niente difficile dato che c’è Cato qui con me. A casa, al distretto 2, è sempre stato molto temuto dai ragazzi, e idolatrato dalle ragazze. Credo che se avessero potuto, molte avrebbero organizzato dei fanclub in suo onore. I ragazzi vociferavano sempre che avesse una forza bruta e fosse aggressivo, certo con quei muscoli che ha, potrebbe mettere al tappeto una come me in due secondi. Ma Cato non è così. Lui è dolce, gentile e premuroso quando si tratta di me. «D’accordo, Clove» sorride e allarga leggermente le braccia, ed io mi ci tuffo. Di solito ho sempre odiato il mio nome, ma non sembra così brutto se è lui a pronunciarlo. Devo essere proprio innamorata per pensare una cosa del genere, soprattutto in un posto come l’Arena. Per fortuna non sono costretta a dirlo ad alta voce. Mi pare già di sentire urla, acclamazioni e vedere persone svenire se solo sentissero ciò che provo per questo ragazzo. Mi bacia sulla testa, ed io non resisto, non ce la faccio proprio più. Mi basta alzare la testa perché dimentichi totalmente tutto. Avviene a velocità fulminea, come se anche lui non aspettasse altro. Le sue labbra umide si posano sulle mie. I nostri nasi cozzano gelidi uno contro l'altro, ma vengono immediatamente riscaldati dal nostro respiro, che lotta per non uscire dalle nostre bocche incastrate. Qui, così, si sta benissimo. Riscaldati nel suo sacco a pelo, che per fortuna aveva con sé nel suo zaino, tutto ciò che desidero è che lui continui a baciarmi. Il silenzio è rotto solo dai nostri respiri, so che è così anche se mi scopro a tastarmi il cuore per assicurarmi che sia ancora al suo posto, e non all’esterno a fare baldoria come mi sembra che stia facendo. La bocca di Cato è morbida, calda, e sa d'arance, perché poco prima è stato quello che abbiamo mangiato. Porta le mani alla vita, e stringe in una presa delicata ma salda. Io invece allungo le braccia fino a circondargli il collo.
Per un attimo sento la terra sotto di me vacillare. Le labbra sono diventate totalmente insensibili, mentre da qui, a pochi centimetri di distanza guardo le sue ormai turgide. È stato il bacio più bello della mia vita, non il primo, ma quello più bello di sicuro. «Clove, ascolta, ricapitoliamo la strategia di domani. Mancano solo poche ore» mi dice, sembra quasi dispiaciuto di dover interrompere questo momento di pace, ma è giusto così. Dopotutto siamo sempre agli Hunger Games, e prima vinciamo, prima potremo tornare a casa e stare insieme. Mi sento quasi stupida, nel pensare così. Mi sembra di essere una ragazza sciocca, piena di fronzoli e di sogni, e qualcosa mi dà fastidio. Poi mi accorgo di sapere cos’è. La ragazza del 12… Come tutti gli altri tributi sono convinta che entrambi stiano mentendo sul loro amore reciproco, che non sono due sfortunati innamorati, come tutta Capitol City li chiama. Però c’è qualcosa, nel comportamento di lei, lo sguardo arrabbiato, quasi ferito che gli ha lanciato quando ha scoperto della sua alleanza con noi, i Favoriti, che fa supporre che probabilmente lei lo ama. Forse nemmeno lei sa di amarlo, forse mi sto sbagliando, ma qualcosa mi dice che non gli è del tutto indifferente. «Stai bene?» chiede lui, improvvisamente all’erta. «Sì, sto bene, mi ero un attimo distratta. Ripassiamo questa strategia e poi riposiamo» dico risoluta. Questa è abbastanza semplice. I tributi ancora in vita sono il ragazzo dell’11, la ragazza del 5, e tutti e due quelli del 12. E Claudius Templesmith ha annunciato il festino, dicendo che ognuno ha un bisogno estremo di qualcosa. Stando attenti io e Cato possiamo cavarcela con il cibo, le armi non ci mancano per cacciare qualche animale, anche se non ho proprio idea di come usare i miei coltelli senza lacercare la carne. Ma abbiamo bisogno di armature, protezioni, e soprattutto un altro sacco a pelo, ci stiamo entrambi, ma ormai è quasi inutilizzabile. Un animale ieri, una specie di grosso scoiattolo, ha letteralmente attaccato il nostro zaino, mentre eravamo intenti a riposare, probabilmente prendendolo come una minaccia. Per fortuna siamo riusciti a strapparglielo dai denti prima che combinasse danni irreparabili. Tornando alla strategia, entrambi abbiamo rinunciato alla ragazza del 5. È molto furba e troppo imprevedibile, chi di noi due si troverà nelle sue vicinanze la ucciderà. Fare piani su di lei sarebbe troppo rischioso. Qualcosa invece mi dice che riguardo al distretto 12 i due ragazzi sceglieranno la strategia più semplice: prendi e fuggi. Anzi, probabilmente il ragazzo non sarà neanche con lei, Cato l'ha ridotto davvero male. Comunque non bisogna mai dare per scontato qualcosa in un posto come questo, ma ci basterà trovarci alla cornucopia prima che inizi il festino per trovarli e farli fuori. Siccome sono sempre stata la più veloce, correrò io alla cornucopia per prendere ciò che ci serve, mentre Cato aspetterà nascosto dietro qualche cespuglio a pochi metri da me, in attesa che arrivi il ragazzo dell’11 per occuparsene. Quello lì sembra pericoloso, è alto e molto potente, per questo Cato è l’unico che può fronteggiarlo. Quanto a me spero proprio che abbia ragione sul ragazzo del 12, perché non sono sicura di poterli affrontare entrambi, e se Cato si starà occupando del ragazzo dell’11 non potrà aiutarmi. Per questo siamo d’accordo che, se la situazione dovesse mettersi male per qualcuno di noi due, scapperemo con solo ciò che ci serve nascosti dalla vegetazione, dal lato opposto al lago, e aspetteremo qualche ora prima di incontrarci all’albero dove abbiamo piazzato una X ben nascosta dai rami e dalle foglie.
Dopo aver ripassato la strategia, non ci resta che dormire. Cerchiamo di metterci comodi entrambi nel sacco a pelo, è stata una genialata quella di Cato di nasconderci dentro un cespuglio. Le foglie ci solleticano il viso, e dobbiamo stare attenti a non fare troppo rumore, ma per il momento credo che sia il massimo che possiamo fare. Siamo entrambi troppo grossi per arrampicarci sugli alberi, i rami non reggerebbero il nostro peso morto, seppure riuscissimo ad arrampicarci potremmo cadere al suolo da un momento all’altro. Bacio Cato sulle labbra, delicatamente, e sprofondo in un sonno tranquillo con lui accanto.
È quasi l’alba quando mi sveglia. «Clove, svegliati, è quasi ora» mi scuote delicatamente. Chissà da quanto è sveglio. Non abbiamo fatto a turno per dormire, abbiamo bisogno di essere quanto più è possibile riposati se vogliamo sperare di finire i giochi al più presto. E poi in questo cespuglio siamo piuttosto riparati. Facciamo un pasto veloce con un po’ delle scorte che ci siamo procurati, e poi ci mettiamo in marcia. Cerchiamo entrambi di essere silenziosi, io ci riesco discretamente, ma la stazza di Cato non glielo permette. Sento rami scricchiolare e rompersi sotto il suo peso, e ogni volta finisco per sobbalzare. Se qualcuno dovesse incrociare la nostra strada non ci metterebbe molto a riconoscerci. «Cato!» dico, ma non troppo forte. Non posso di certo mettermi a urlare. Oltre che attirare qualcuno potrei spaventare qualche animale e spingerlo ad attaccarci. Ce ne sono molti in questa foresta, ma analizzando bene gli alberi dal basso, più di una volta ho visto degli uccelli dalle piume bianche e nere. Credo che siano Ghiandaie Imitatrici, degli ibridi. Ho sentito dire da qualcuno, a casa, che durante i giorni bui Capitol City creò delle Ghiandaie Chiacchierone, capaci di riprodurre intere conversazioni, e che le sguinzagliò dove credeva che ci fossero ribelli. All’inizio questi ultimi non si spiegavano come Capitol City fosse a conoscenza di quelle informazioni, però quando capirono cominciarono a raccontare una bugia dopo l’altra, tanto che tutto diventò una vera e propria barzelletta. Così le Ghiandaie furono abbandonate, ma si accoppiarono con la specie dei mimi, dando vita alle Ghiandaie Imitatrici. «Che c’è?» borbotta Cato riportandomi alla realtà. Sorrido, tanto grande eppure così goffo mentre cerca di fare il meno rumore possibile. «Cerca di non pestare ogni singolo ramo che ti capita a tiro» bisbiglio. Ormai manca poco all’alba e al festino, il sole sta cominciando a sorgere dietro le montagne, riesco a distinguere ancora meglio ciò che mi circonda adesso.
Pochi minuti dopo siamo alla cornucopia, appena in tempo, perché da una buca nel prato spunta un tavolo con quattro zaini sopra. Due sono grandi e hanno i numeri 2 e 11 su di essi, su uno medio è riportato il numero 5, mentre l’ultimo è tanto piccolo che dovrebbe essere legato al polso e su di esso è riportato il numero 12. Può essere solo la medicina per il ragazzo, sono quasi certa che lui non sia qui. D’un tratto, senza che neanche me ne accorga se non nel momento esatto in cui esce allo scoperto, la ragazza del 5 si accaparra il suo zaino e fugge via, pochi metri ad est dalla direzione che dovremo prendere io o Cato se le cose dovessero mettersi male. Perfetto, lei è andata. Non ce ne occuperemo adesso. Sono sicura che sia il ragazzo dell’11 che uno dei due del 12 siano già qui. Ma tutti esitano, me compresa. Chiunque si avvicinasse adesso sarebbe un bersaglio troppo facile.
Poco più ad ovest, la ragazza del 12 corre verso il suo zaino. È il momento. Stampo un bacio velocissimo sulla bocca di Cato, a cui non ha tempo di rispondere, che io sono già sfrecciata via verso la ragazza del 12. Ha appena preso lo zaino, quando mirando alla testa le tiro uno dei miei coltelli. Deve aver colto lo spostamento d’aria, perché riesce a spostarsi, ma non prima che il mio coltello le faccia un taglio sul lato della fronte. Velocissima, ha già incoccato una freccia, prima che il sangue che le cola giù le copra la vista, riesce a mirare a me tirandola. Non è un tiro troppo preciso, così riesco a spostarmi, ma non troppo perché la freccia non mi tocchi. Infatti mi apre uno squarcio sul braccio, che mi fa infuriare. Adesso la ragazza sembra non riuscire a vedere bene, perciò ne approfitto per incatenarla a terra. Come pensavo, il suo zaino è così piccolo che può contenere solo della medicina, non credo che serva a lei. «Oh, vai ad aiutare il ragazzo innamorato? Peccato che sia ferito!» la schernisco, ma questo la fa infuriare e cominciamo a combattere. Cerco di colpirla con uno dei miei coltelli, ma li schiva agilmente. Ora è lei che cerca di colpire me, ma stufa, con uno strattone la fermo a terra. «Peeta, Peeta!» urla lei allora, vuole farmi credere che sia qui. Per precauzione controllo velocemente alzando la testa, ma non c’è nessuno. Ora sì che mi ha fatta davvero infuriare, nessuno mi prende in giro. Così, presa da un’ira che nemmeno io riesco a spiegarmi, le ricordo della ragazza dell’11. Sarà l’arena, non è semplice qui, e neanche lontanamente bello. Per quanto il vincitore possa essere ricoperto di gloria e ricchezza, ciò che è l’arena resta indelebile. Apro la giacca e le mostro la mia schiera di coltelli, sono letali. Ne scelgo uno con la lama ricurva e seghettata, le farà molto male. «Come si chiamava la tua amichetta? Rue? L’abbiamo uccisa noi, sai?» dico schernendola ancora, per qualche ragione voglio che stia male. Vedo un lampo di dolore nei suoi occhi, e poi inizia a lottare come una furia. Deve averle voluto bene davvero. Ma sono troppo grande per lei, così mi metto a scegliere con calma il punto migliore dove partire per squarciarle la faccia. Addio, tributi del 12, penso. Ma proprio mentre le faccio un taglio partendo dal labbro, il suo verso di dolore si trasforma in stupore.
Qualcuno mi alza a qualche centimetro da terra, trattenendomi per il colletto della maglia. È furioso, il colosso tutto muscoli dell’11 mi fa andare all’indietro, sono completamente sollevata da terra, e mi sta soffocando. «Ti ho sentita! Sei stata tu ad ucciderla? Siete stati voi?» nego, nego con tutte le forze. «No, no, non siamo stati noi!» urlo, ho il terrore stampato negli occhi, sono sicura. «Bugiarda!» urla lui, mentre io scalcio e cerco di liberarmi «siete stati voi!» urla ancora, quando sento una botta alla testa così forte che i contorni cominciano a sfocarsi, e la mia vista è piena di macchie nere, blu, verdi e rosse. Strizzo gli occhi e inizio a urlare. «Aiuto! Cato! Cato!» non posso far altro che chiamare il ragazzo che amo, mentre il tributo dell’11, Thresh mi pare di ricordare, mi spinge la testa contro la cornucopia altre volte. «Clove!» la voce di Cato mi arriva ovattata, ma non posso non cogliere la nota di dolore nella sua voce. Credo che gli sia successo qualcosa, ma in fondo preferisco che resti lì, dov’è, dove nessuno può fargli male. Quest’anno il distretto 2 non avrà due vincitori, spero che ne abbia solo uno e che quello sarà Cato. Ormai vedo tutto nero, non sento più nulla, nella mente rivedo l’ultimo bacio veloce che ho dato a Cato prima di correre verso la ragazza del 12. Sta provando a salvarlo, probabilmente è come penso. Tiene a lui in qualche modo, è solo che non sa neanche lei come.
Mi rimane poco tempo. In pochi istanti tutti i miei anni si riassumono in poche immagini. I miei familiari mi guardano sorridenti, penso che voglio un gran bene a tutti loro, anche se non l’ho mai detto spesso. Rivedo i miei amici più cari, anche loro mi guardano sorridenti, forse ricordando tutti i pomeriggi passati insieme. Rivedo Cato, che non ha mai smesso di essere dolce, gentile e premuroso, né a casa, né qui, e probabilmente non lo sarà mai. Avrei voluto stare con lui per il resto della mia vita, ma il mio tempo è finito. Sono contenta però che sia riuscita a baciarlo qui. Almeno conosco la sensazione delle sue labbra contro le mie, qualcosa che non riuscirò mai a dimenticare.
Una botta più forte delle altre alla testa. Adesso non sento quasi più niente. È come se mi riportasse alla realtà, una realtà buia e fredda, un mondo di cui io non vedo nulla, e sento solo fruscii e parole ovattate, conversazioni che non riesco a capire.
E prima che il cannone spari per me, un’ultima volta, un tocco delicato mi solleva sotto al collo. Non lo vedo, ma so benissimo che è lui, è Cato. Non potrei desiderare un posto migliore in cui trascorrere i miei ultimi istanti. Con la consapevolezza di essere proprio dove voglio essere, lascio che tutto mi scorra via in un turbinio di emozioni e sensazioni. Spero da lassù di vegliare sempre su di lui, magari un giorno, quando sarà vecchio, ci rincontreremo. Avrà avuto dei figli, una moglie, ma se questo riguarda la sua felicità non posso essere gelosa. Sii felice, io ti amo e ti amerò sempre, penso, prima di librarmi in aria come un colibrì.
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