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La Corruzione di Frencyrian [Parte 1 - La Sylvie Funesta]


La regola di questa sfida consisteva nello scrivere una one shot, senza limiti di parole e di qualunque genere, rispettando la seguente traccia:

"Una ragazza di appena vent'anni conoscerà un ragazzo all'apparenza perfetto. Scoprirà però che ha oscuri segreti..."


Il ferro della spada fende l'aria;

Sibila la volontà del proprio portatore,

ch'essa ha scelto di asservire.

L'aria scintilla sul ferro della spada;

Il soffio della libertà trasmutato in vento,

asservito unicamente alle leggi della natura.

Tra feroce solido,

sfuggente gassoso,

nel ché dell'arbitrante animoso...

Amor mai sboccerà?


Nel maestoso Regno di Frencyrian, la principale urbe è all'apice della fiorente Era dorata. Corollata da un lago di un azzurro più limpido del cielo stesso, è culla parsimoniosa di valori di giustizia e lealtà, tenuti ben saldi da combattenti d'ambo sessi nelle radici di un Ordine, ordito dopo secoli di spargimenti di chermisi d'avi dediti, ma anche indifesi, all'arte del combattimento.

Gl'infiniti fiochi¹ si sono susseguiti come rivoli di vento, infin prosciugando lacrim'amare di chi amor non più provava. L'odore ferroso è contemplo solo di chi minaccia l'armistizio non scritto o di chi persiste in nome del suo perpetuarsi... si spera per i restanti eoni del tempo.

In uno dei torrioni del gran palazzo dell'Ordine, una brezza accarezza una folta e lunga chioma corvina.

"Ron, schifoso pappone di merda che può solo scoparsi le sfigate incapaci di mantenere una spada, come hai potuto farmi questo?" il grido rifugge il sussurro del Maestrale, come scacciato dalla finestra, dal vetro placcato, a cui ha voluto far visita.

"Sylvie, Calmati, devi sempre cadere alla stregua dei bassi abitanti di Esperanza?" la voce profonda risuona da un piffero ceruleo, dalle perlate ali di libellula e un singolo foro.

"Calmati un cazzo!" accavalla le longilinee gambe, che per inerzia si svelano sino a cima di quadricipiti, le quali lambiscono lungo le leggere coperte in cotone nero, pendant della sua ira funesta, "Mi hai fatto fare una figura di merda!"

"Torna a parlare col pensiero, mi stai spaccando le tempie, non stiamo parlando con quei vecchi telefoni senza magia ma con un librafono²".

Alza gli occhi al cielo, scuri come more che non si rischiarano neanche specchiando il bianchissimo soffitto in marmo. Lo stentato movimento rotatorio, rassomigliante un albero parlante che ha sconfinato ben oltre le Foreste dell'Ovest.

"... Anche perché non puoi permettere di farti udire da orecchie indiscrete. E tu non vuoi mandare via un estron³ e mezzo della tua vita!"

La ragazza indurisce le sporgenti nocche sino ad arrossarle, la volontà di afferrare la spada in fondo alla stanza e dividere in due quell'oggetto... volontà invece tagliata dall'ordinanza di quelle parole.

"Che cazzo c'entra il tuo amichetto scarso con quella cosa ben più importante..?" Conosce benissimo il responso: non vorrebbe ascoltarlo, ma l'animo si permea più di una scomoda risposta.

"Sylvie, posso accettare che a te non piaccia ciò che ti ho chiesto, ma non ti permetto di insultare un mio amico. Ti ho già chiarito più volte le sue difficoltà: non è debole nel combattimento solo perché è timido e inesperto... Devo ricordarti che devi a me il nome che ti sei fatta? Chi ti ha insegnato la tua mossa vincente, che finora ti ha fatto sembrare più forte delle guerriere di fanteria, e di quasi tutte le valchirie, con cui ti alleni dall'equivalente del vecchio cronometraggio di tre anni? E chi – ora parlo come te, così magari ci capiamo meglio – si è sbattuto le palle fino alla cima della Torre di Garmia⁴ per raccomandarti la Shvinbrüer? Ho rischiato di mandare tutto a cortigiane per te! Inoltre, per rendere credibile la tua lealtà di spadaccina verso l'Ordine di Frencyrian, è stato necessario che tu uscissi anche con qualcuno di meno forte!"

La pancia scoperta, dall'altrimenti addominali perfetti, sembra volersi gonfiare di rigurgito. Ciò che l'aiuta è dov'è voltato il suo capo: lo stocco appoggiato al bordo del muro, il quale pennella una sfumatura blu notte, della sua ricamata elsa e del canonico fodero, nel ché del chiarore di pareti perlate.

"Lo so. Io però voglio Neo-Excalibur, e solo quando l'avrò ti restituirò Shvinbrüer..." la calma della spadaccina reprime istinti, le gambe tremanti e il viso ancor più avvampato di scarlatto, "Ma tra me e te le cose non potranno più essere come prima... comunque, quando potrò incontrare il suo portatore? Per quanto dovrò ancora andare avanti?"

"Questo dovresti chiederlo alla nostra sovrana... anzi, la tua amica".

Le coperte sfilano terrorizzate dai bruschi movimenti, un tonfo risuona dai nudi piedi quaranta. "Questo è davvero troppo! Vai a farti fottere, vai a violentare la prima deficiente che ti apre le gambe! Tu lo fai apposta a farmi sentire inculata da tutti e tutte!"

Batte con forza le mani, inesorabile il librafono si dissolve in polvere azzurrina.

"Aspetta, io non posso parlarle sul serio, la sua vassalla più fedele è..."

I rimasugli del collegamento magico si dileguano come la sua esigua volontà di dialogo.

Prende da un grosso armadio, pendant con la stanza, il primo abito che il caso le dona: una corta seta nera disegna ermeticamente il suo corpo latteo, risaltando le vene pulsanti delle braccia e delle gambe.

Poi indossa dei comodi stivaletti abbinati al vestito, dal basso tacco versatile per gli allenamenti, e a grosse falcate lascia la sua dimora, quasi battendo la testa contro la difettosa porta scorrevole: dimentica spesso che si blocca a metà scorrimento verso la sua destra.

Le luci al neon blu, ai lembi delle pareti, illuminate a intermittenza regolare lungo il corridoio, non animano l'umore di Sylvie nel giusto verso; anzi, è fuorviata e sovrappensiero, al punto da rimembrare...

Era in un logore vicolo di Esperanza, nei pressi del fatiscente dojo ove era solita allenarsi. Beffa volle che la sua città d'origine fosse uno dei luoghi più lontani dalla maestosità di Frencyrian, la quale promise protezione e speranza. Il decadimento del nome stesso che ammantò la sua città natale non le importava, in quei momenti.

Si era appena battuta con tre ragazzi, meno adolescenti di lei di un estron e mezzo. Il terzo affondo di fila era andato a segno: nonostante la sua arma non fosse a fini di guerra ma una semplice, leggera, spada d'allenamento, il rivolo discendeva copioso dal petto del nemico.

Gli esigui passanti s'esimevano, abituati quasi a quella cruenza... o volenterosi di non peggiorare le lor già drammaturgiche condizioni.

Ma quel giorno una persona si distinse.

Egli chiamò i soccorsi con un librafono, il primo che lei vide in tutta la sua vita... e fu sfidata.

Nel mentre dei riversi tondi, di femminil stridii e maschil ghigni, per poi conseguenti dritti sgualembrati... tagli superficiali della sua ormai casacca d'allenamento aumentavano quanto la sua fatica.

Dal nulla lui conficcò il ferro nel terreno: rivelò di non volerla ferire, ma solo carpire delle ragioni che avevano portato una ragazzina da poco adolescente, ma ben sopra la media, a colpire tre incapaci di tornare in posizione dopo il primo attacco. E l'adrenalina si trasmutò in un sentimento nuovo.

Era sempre stata affascinata, sin da infante, da uomini caparbi nell'arte della spada. E aveva, orbene, così incontrato il primo uomo che unisse amore per la disciplina e accettazione del suo carattere difficoltoso.

E quell'abbraccio del sorridente Ron, quando la sudata Sylvie rivelò "La mia amica voleva concedersi a loro tre per soldi, ma loro non volevano pagarla con la scusa che non c'è lavoro a Esperanza. Litighiamo spesso, però ti giuro che le voglio un mondo di bene... anzi, la invidio per il suo coraggio!" cambiò completamente il suo animo.

Il tempo le spalancò i truci occhi: svelarono i castani riccioluti, i modesti pettorali, i profondi specchi dell'anima più anneriti dei suoi. Di lì a poco l'interezza, il più gaio dei suoi momenti assieme alla vittoria di un torneo ufficiale di spada all'arma bianca.

Poi s'appalesò Frencyrian, dopo circa mezzo estron trascorso con reale speranza di un futuro migliore, costruito di duri allenamenti e rinunce.

Ma... non avrebbe mai creduto che quell'amica e Ron potessero infine...

Ora gli occhi sono perduti, più spenti di quella che fu l'infanzia a Esperanza... come se un sortilegio avesse trasportato di peso tutte le difficoltà di quel luogo sulle sue spalle, raramente così chinate. La rabbia sta per partorire una lacrima: non può ancora credere che proprio il suo primo amore potesse nasconderle tali segreti.

"Che cosa ci fa un'uuumana qui?"

La dolce voce trasale Sylvie. Si rende conto, solo in quell'attimo, di essere uscita dal gran palazzo e di aver attraversato una via dalle panche di una pietra alleggerita di mana, quasi fatto apposta per gli innamorati che si danno appuntamento... o gli anziani che attendono di riprendere le fioche forze rimanenti. Ed è finita attorniata dal lime d'erbe ravvivato dal sole.

"Questo dovrei chiedertelo io, cosa ci fa un folletto femmina a Frencyrian?" la voce adulta, ma frattanto gracchiante, diventa placida per non spaventare il curioso esserino alto un metro circa.

Quest'ultima effettua una giravolta su sé stessa, agitando il suo bastone di salice.

"A noi folletti è peeermesso stare nei boschi del gran palazzo. Invece voi umani qui non ci venite quasi mai. Ci venite solo per fare le..." mugola dolcemente, "vostre vostre... cose cose, ma tu con quella spada al fianco non sembri essere pronta a fare queeelle cose con un maaaschio umano".

La ragazza ha lo stesso sentore di una madre che incontra la figlia di un'altra donna; però, i suoi denti perfetti faticano a svelare gaio. "Se mi stai facendo uno dei vostri tipici scherzi, le faccio davvero quelle cose davanti a te col primo che passa. Ho sentito che alcuni dei tuoi hanno fatto suicidare alcuni vecchietti vicino ai vostri territori, e le indagini dell'Ordine sono stranamente cadute. Non avete proprio una bella fama, mi stai dicendo una bugia".

Il folletto spalanca i suoi profondi occhi acquamarina, e gesticolando smuove la sua larga gonna di visone e le sue forme coperte da un largo top indaco. "Noi non siamo tutti così, mi dispiace tanto tanto per quei poveri anziani, ma io sono paciiifica, non ho mai fatto male a nessuno nessuno. E te lo voglio dimostrare! Voi umani siete soliti stringervi la mano quando siete in procinto di conoscervi, dunque..." poggia adagio il bastone tra il muschio, poi allunga l'esile braccio destro, scoperto "... Mi chiamo Frederílle, folletto dei boschi, provengo da quello a pochi mitron¹¹ dal Bosco Fatato e fra poco compirò sessanta estron; ma alcuni folletti mi chiamano anche Rika. È un piacere conoscerti".

In quel momento è come se la notte di Sylvie vegliasse su di un tranquillo oceano. "Piacere tutto mio, ma non ti darò la mano. Anche noi umani non siamo tutti uguali, e soprattutto non sono venuta a caccia di mostri viscidi da affettare, né assassinare folletti indifesi. Mi sono semplicemente persa".

Rika non ritira ugualmente il braccino ed effettua un buffo e vorticoso movimento della testa verso direzioni casuali; i suoi codini cremisi svolazzanti, raccolti in nastri magici dalla tinta di un limone acerbo. "Pensi ancora che noi siamo cattivi cattivi? Allora ti porto in giro, dove vuoi tu, fin dove la tua passeggiata ti deve portare".

Non le dà il tempo di reagire: le due mani si congiungono.

L'istinto di Sylvie trasuda di brusca reazione, ma realizza che un fremito, non suo, l'anticipa. Frederílle si allontana, l'espressione serena stravolta in totale sgomento. Raccoglie il suo bastone e s'innalza un innaturale venticello.

Un'aura invisibile sembra stregare quel minuscolo corpo, come se l'ordinanza degli dei fosse discesa in terra per approvare la sua ascensione al Nirvana.

"Di tutti gli umani che sarebbero venuti al cospetto della grande saggia, mai e poi mai avrei creduto vi fossi proprio tu..." non ode la confusa risposta dell'interlocutrice, "Tu che sei tra le più perigliose femmine di essere umano. Nel tuo futuro si sussurra di terrificanti intrighi. Brami Neo-Excalibur, ma sei più vicina all'Anello del NabboLungo... Tu non sarai mai portatrice di giustizia, secondo volere della seconda spada leggendaria, né fautrice di dittatura dell'anello proveniente da un altro mondo..." il tono s'innalza sino a tuonare, l'erba sembra voler rifuggire dalla surreale eminenza, "... perché ti macchierai della colpa suprema, peggiore dell'abuso di questi due artefatti combinati in yin e yang. Tu sarai la causa dell'Apocalisse! Il Sunbür!"



¹ Immaginaria unità di misura del tempo che corrisponde alla breve durata della luce in alcuni punti del mondo.

² Uno strumento magico che ha ormai sostituito da lustri i normali telefoni nei luoghi più progrediti del mondo.

³ Immaginaria unità di misura del tempo che corrisponde a circa ventidue mesi

⁴ La costruzione più alta del mondo, seppur incrinata in modo simile alla Torre di Pisa, di cui si narrano alcune leggende che la rendono simile ad una Torre di Babele ma mai abbattuta

¹¹ Immaginaria unità di misura dello spazio che corrisponde a 0.877 miglia di distanza

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