𝑽𝑬𝑵𝑻𝑼𝑵𝑶
𝑽𝑬𝑵𝑻𝑼𝑵𝑶
I colori giallastri, misti a quelli aranci del tardo pomeriggio, illuminavano calorosamente Insperia.
Nonostante la prima neve fosse arrivata già da qualche settimana, il sole manteneva una calura piacevole, che però non permetteva al manto bianco di sciogliersi.
Seduto sulla roccia piatta e fredda, nel giardino della corte del principe Alexander, Levi teneva sulla sua piccola spalla un violino castano, dalle corde perfettamente tirate e lucide.
Posizionò il viso sulla mentoniera e allungò il braccio per sostenere la parte più grossa dello strumento; i piccoli polpastrelli, rossi per il freddo, si piazzarono sulle quattro corde presenti, insieme all'asticella.
Una volta appurato che avesse sistemato tutto, fissò il suo maestro, in attesa di un suo commento.
Erano ormai mesi che si allenava con il violino dopo le lezioni, con il solo e unico obiettivo di imparare a suonare prima delle vacanze primaverili, ovvero prima di tornare a casa.
Il ragazzo, dai lunghi capelli bianchi e dagli occhi attenti come quelli di una volpe, se ne stava di fronte a lui, coperto da un pesante cappotto nero e da una sciarpa grigia.
Con le mani poste dietro la schiena, prese a girare attorno a lui.
«Schiena più dritta Levi» disse, sistemandogli le sue spalle. «La posizione è tutto. Se sbagli quella, non sarai in grado di suonare come si deve» lo riproverò dolcemente. «Adesso fammi vedere cosa hai studiato nelle ultime due settimane»
«Ho preparato "Tanti auguri" per la mamma»
Atlas gli sorrise e si sedette accanto a lui, accavallando le gambe.
Le dita, lunghe e affusolate, gli diedero il tempo come il metronomo e Levi prese a suonare.
Il violino non era adatto al suo corpo minuto e piccolo da bambino ma, nonostante questa difficoltà, era in grado di tenerlo in modo elegante e di padroneggiarlo come se fosse parte del suo corpo.
Proprio come un vero musicista esperto.
Atlas non era riuscito a trovare di meglio quado gli aveva chiesto di insegnarli a suonare, così aveva deciso di regalargli il suo, dato l'inutilizzo.
Era uno Stradivari portatogli in dono dal padre da uno dei suoi innumerevoli viaggi, ma che aveva dovuto mettere da parte, proprio come tutti i ricordi legati alla sua famiglia.
Gli spartiti, invece, erano stati recuperati nell'archivio segreto di Lorcàn, dove teneva nascosti tutti i doni più importanti fattigli nel corso degli anni e introvabili nel mondo di Insperia. La stessa tradizione era stata mantenuta dal figlio, Alexander, che per poco, dopo averlo visto uscire dalla porta sul retro, non lo aveva fatto arrestare.
Fortunatamente aveva creduto alle sue parole, ovvero che servivano solo ad uso esclusivamente personale e che, una volta utilizzati, gli avrebbe riposti nuovamente da dove li aveva presi.
«Ti piace?» chiese Levi, destandolo dai suoi pensieri.
«Si, e piacerà molto anche a Caera» gli disse, applaudendo per il suo piccolo concerto.
«Davvero? Sono riuscito a suonare solo la prima strofa» rispose rattristito, scacciando con il piede una pietra.
Atlas si alzò e si inginocchiò davanti a lui, sistemandogli il cappello in lana rosso che teneva sui suoi capelli neri e la sciarpa, in vista della neve che aveva ripreso a cadere.
«Non esiste niente di più vero dell'amore che un figlio prova per la madre e, questa canzone ne è una dimostrazione. Ti sei impegnato tanto e sicuramente tua madre lo apprezzerà» disse, cercando di consolarlo. «E poi, sono convinto che diventerai bravissimo, anche più di me!»
Levi lo osservò e rise per la sua battuta.
«Adesso cosa mi insegni?» chiese, scendendo dalla roccia e iniziando a saltellare per riscaldarsi.
Atlas sorrise per tanta curiosità e si alzò, prendendo lo strumento.
«Ti va di ascoltare una nuova canzone?»
«Solo se poi la insegni anche a me!»
«Tutto ciò che io so, tu sai e tutto ciò che sai, io so. Non è questa la nostra promessa Levi?»
Il bambino annuì e afferrò il mignolo di Atlas.
«Promessa!»
«Promessa.»
I pochi ricordi della sua infanzia avevano iniziato a popolare i suoi sogni da quando la febbre aveva abbandonato il suo corpo, così come l'infezione provocatagli dal pugnale.
Non sapeva se fosse perché Caym aveva, momentaneamente, abbandonato la sua coscienza, o perché era riuscito a riposare dopo tanto tempo, ma il sé bambino era tornato nuovamente a correre tra un ricordo e l'altro, con in mano l'aquilone di insegnamenti impartiti dalla seconda persona più importante della sua vita.
Cercando di sollevarsi, senza provocare fitte estreme di dolore all'addome, posizionò la schiena sui cuscini rialzati, assumendo così una posizione eretta.
Infilò i suoi occhiali tondi, posti sul comodino accanto a lui, e osservò Theon scrivere velocemente su una cartella blu che teneva appoggiata sulle gambe.
La fronte corrucciata e la mano veloce gli ricordarono il suo maestro.
Essendo stato presente alla corte del principe Alexander ancor prima che lui nascesse, Atlas conosceva ogni singola arte e cultura di popolazioni a lui ignote: era il maestro di corte, colui che istruiva i ragazzi su ciò che erano, su ciò che li circondava e li formava come tali esseri viventi.
Ma con Levi aveva avuto un rapporto diverso: gli aveva insegnato a guardare oltre il suo sguardo, a percepire oltre il mondo che gli si parava davanti agli occhi, facendogli poi scoprire l'amore non solo per l'arte e la letteratura, ma anche per la musica.
Il violino, lo aveva aiutato nei momenti difficili ed era stato lo strumento attraverso cui dare sfogo a tutto ciò che si portava dentro, rimanendo sempre fedele agli insegnamenti di Atlas, nonostante fossero passati molti anni.
«La musica non è note, non è parole, ma anima» gli ripeteva sempre Atlas, mentre gli donava un nuovo spartito su cui lavorare. «La tua, mio caro Levi, è pura e come tale la tua musica»
Era stato tutto ciò che Levi aveva avuto più vicino a un fratello e il dolore per la sua morte lo portava ancora dentro, come una cicatrice che non si era mai rimarginata e che mai lo avrebbe fatto, proprio come quella per sua madre.
«Sembra che tu abbia visto un fantasma» commentò Theon, alzandosi dalla sedia imbottita su cui era seduto.
Levi non badò molto alla sua affermazione, afferrando un bicchiere accanto a lui e versandosi dell'acqua: le parole di Caym riguardo il tradimento di Theon, nei suoi confronti, lo riportarono all'oscurità che lo aveva abbandonato per quel breve lasso di tempo, scontrandosi con la luminosità, invece, di ciò che sua madre e Atlas avevano visto in lui.
Nonostante avesse voluto dire ciò che aveva sognato, riaprendo così una voragine nel petto di Theon e lasciando che questa lo inghiottisse, si trattenne facendo ciò che sapeva fare meglio: allontanare da sé le persone.
«Si può sapere che ci fai qui?»
«Ti sei ripreso bene vedo» disse, avvicinandosi con un otoscopio alle sue orecchie. «Sei il solito stronzo» continuò, avvicinando l'occhio destro nella lente di ingrandimento.
«Non avvicinarti!» ribatté Levi, spingendolo via.
«Ho ricevuto ordini da Edgar: devo controllare che tu stia bene prima che arrivi il Principe» rispose ignorandolo, controllando i riflessi di gambe e gomiti con un martelletto medico in metallo, che sbatté più violentemente sulle ossa.
«Cass verrà qui?»
Chiese incredulo, non badando al fatto che Theon lo stava usando come cavia da laboratorio, al pari di un bambino con l'Allegro chirurgo.
In quel momento, la notizia che gli aveva dato lo aveva scosso più di quanto successo nelle settimane precedenti.
Cassian stava arrivando e lui doveva fuggire il più lontano possibile.
Improvvisamente, le immagini di quella notte di pioggia di ventuno anni fa, con la lama metallica puntata sul suo collo ai confini di Insperia, gli si pararono davanti, inghiottendolo in quella impotenza che lo inchiodò nel letto su cui era seduto.
Secondo le leggi di Insperia, chiunque avesse provato ad attentare alla vita del Principe o anche solo a uno dei cittadini del regno, in qualunque modo e senza che fosse stato emesso un mandato, doveva essere giustiziato difronte a tutti.
Una delle categorie che rientrava all'interno di questa legge era appunto quella in cui si trovava Levi: non soltanto aveva modificato la sua natura, ma era anche stato condannato come traditore.
La morte era la fine che avrebbe dovuto attendergli.
Ma Cassian non era mai stata una persona violenta e non aveva mai seguito le leggi imposte dal tiranno che era stato suo nonno ed è per questo che gli aveva dato una punizione ancora più angosciosa: lo aveva bandito dalla sua terra natale con il monito di non avvicinarsi mai più.
«Ti ucciderò io stesso se solo ti avvicinerai» gli aveva detto, puntandogli contro la spada del padre. «Ti è stata revocata ogni possibilità di redenzione o di perdono. Sei solo adesso, così come tu hai lasciato me»
Cassian era nato dopo di lui e Alexander, per un motivo che ancora Levi non riusciva a comprendere, lo aveva affiancato a lui.
Il bambino lo aveva da sempre visto come un fratello maggiore, una persona di cui fidarsi e apprendere sempre di più, dato le sue continue lezioni extra con Atlas.
Di rimando, Levi lo aveva da sempre considerato una persona da proteggere, da non ferire soprattutto nella sua anima innocente e ingenua. Si era instaurato un rapporto di protezione reciproca.
Ma quando sua madre era morta, uccisa da un demone che tra le tante altre cose era anche considerato il braccio destro del regno, si era sentito tradito e aveva attaccato nello stesso modo in cui era stato ferito.
Nonostante fossero cresciuti insieme tra le mura di quella corte, nonostante avessero costantemente coperto l'uno le bravate dell'altro e nonostante lo considerasse uno dei pochi amici che aveva avuto durante la sua infanzia, Cassian non era mai stato così serio in vita sua come in quel momento.
Aveva visto il cuore di Cassian spezzarsi in mille pezzi, ma per Levi non ebbe importanza poiché un cuore, lui, non lo aveva più.
«Togli gli occhiali, devo controllare se il velo di cecità è sparito del tutto» lo risvegliò Theon, puntandogli una piccola torcia nell'iride sinistra.
«Edgar ti ha per caso detto il motivo della sua visita?» chiese Levi, sperando di ricevere più informazioni possibili e capire se dovesse fuggire in quel momento. «Sa che sono qui?» chiese ancora.
«Gli ha comunicato tutti gli avvenimenti degli ultimi mesi...» spiegò l'altro, aprendo il piccolo armadio contenente i prodotti per disinfettare la, ormai, cicatrice presente sul petto di Levi. «E sì, sa che sei qui».
Theon, nonostante non lo lasciasse vedere, era preoccupato tanto quanto lui.
Se solo Edgar avesse detto una sola parola a Cassian di ciò che aveva fatto a Levi, probabilmente per lui un futuro non sarebbe più esistito.
Lo avrebbe rinchiuso nelle segrete e, peggio ancora, privato di ogni singolo potere e lasciato a marcire completamente da solo.
Quindi, per quanto fosse dura ammetterlo a sé stesso, era nella stessa barca di Levi, ed entrambi erano mossi da una corrente formata da onde di tradimenti e di pene che avrebbero dovuto scontare presto, al cospetto del loro amico d'infanzia.
Senza dire una parola, Levi si voltò verso di lui, lasciando che gli macchiasse il petto con della tintura di iodio.
Theon, sebbene avesse studiato ogni tipologia di cicatrizzazione presente sia nel mondo di Insperia che in quello presente sulla terra, non si era mai capacitato come un demone potesse rigenerarsi così facilmente, nonostante i suoi tessuti fossero morti. Forse era stato per quel motivo che, inconsciamente, aveva pensato di attaccarlo con un pugnale; perché sapeva, nel profondo, che si sarebbe ripreso.
«Non verrà per giustiziarti» disse, sollevando di poco la pelle della cicatrice per vedere se i punti interni erano ormai stati assorbiti. «Sei pur sempre suo amico» continuò, estraendo piano i punti superficiali in metallo.
Nonostante provasse disprezzo e odio per ciò che aveva fatto e per ciò che era diventato, Theon non poteva negare di provare un bene nei suoi confronti: insieme a Cassian, erano cresciuti insieme nella corte e si erano da sempre divertiti, come se il mondo in cui vivevano non gli appartenesse.
Ma a Levi, ormai, non erano rimasti altro che ricordi muti, privi di colore e calore.
Le sensazioni provate in quel periodo di spensieratezza non gli appartenevano più e questo lo dimostrò presto.
«È facile parlare, a quello ci hai già pensato tu» rispose guardandolo dritto negli occhi.
«Di cosa stai-»
«Caym mi ha detto tutto» disse Levi, picchiettandosi la tempia con l'indice, per indicare a Theon il fatto di avere avuto un canale di comunicazione aperto con il demone. «Mi ha sorpreso sapere che dietro a tutto questo c'eri tu. Chissà come l'avranno presa Helene o Edgar» continuò, scendendo dal letto e stiracchiando i muscoli delle braccia e delle gambe. «Parli tanto di lealtà, di essere giusti, di bontà... Ma sono tutte cazzate, soprattutto se a pronunciarle è una persona come te, subdola e manipolatrice»
«Levi -»
«Farai così anche con Anneka? L'ammaglierai con le tue parole del cazzo per poi pugnarla e farlo passare per un incidente?» si avvicinò a Theon, guardandolo dritto negli occhi. «Non sei tanto diverso da me. Se io l'oscurità l'ho conquistata, tu ce l'hai sempre avuta» si avvicinò al suo orecchio, infierendo ulteriormente «Atlas si starà rivoltando nella tomba a vederti in questo modo»
Theon si alzò dalla sedia e senza pensarci due volte, colpì Levi al viso con un pugno, facendolo cadere per terra. Si mise su di lui, bloccandogli le gambe tra le sue, e prese a colpirlo ripetutamente.
Levi non fece nulla, lasciò che la sua pelle si rimarginasse e si squarciasse in continuazione sotto le dita di Theon.
Da una parte era come se volesse infliggersi una punizione che credeva di meritare e, dall'altra, lo fece per aiutare un amico ad avere giustizia.
Di rimando rise, lasciando che il ragazzo sopra di lui si sfogasse.
«Povero Atlas, cosa penserà di suo fratello?»
«Sta zitto!» urlò, tirandogli un altro pugno sullo zigomo.
Theon osservò le sue mani, le cui nocche erano intrise si sangue, e poi la faccia di Levi, che piano piano si rimarginava, assorbendo anche i lividi e le escoriazioni che lui stesso gli aveva provocato.
Sentire Levi pronunciare quel nome, aveva innescato in Theon un sentimento di rabbia e frustrazione, seguito dal fatto che non era altro che la motivazione che lo aveva guidato nelle sue azioni: Theon si stava solo vendicando per la morte del fratello e adesso, i suoi stessi comportamenti gli si stavano ritorcendo contro.
«No che non sto zitto, pezzo di merda!» rispose Levi, sputando del sangue nero a terra. «Mi hai incolpato per anni della sua morte, quando in realtà era una cosa che desiderava da molto tempo!» urlò, alzandosi da terra e allontanandosi da Theon. «Lo sai perché ha deciso di uccidersi?» chiese in modo retorico, non aspettandosi alcuna risposta dal ragazzo che aveva ai suoi piedi.
Theon rannicchiò le sue gambe contro il petto, stringendole al petto, mentre delle lacrime presero a scivolare dalle sue guance.
«Si è ucciso perché non aveva più nessuno» continuò a inveire Levi con voce tremante, trattenendo, ancora una volta, il dolore nel parlare di una persona a lui cara che ormai non era più presente. «Tutti voi lo avete abbandonato quando avevate scoperto che... aveva sposato una donna di Linfa. Un essere che Lorcàn stesso ha ammazzato. Voi, i fedeli servitori della corona, i maghi della Congrega Morgana, avete ucciso la mia gente! Avete ucciso la vostra stessa famiglia e anche Atlas! Tu, Theon, hai ucciso Atlas!»
«Basta...» sussurrò il ragazzo biondo. «Basta! Smettila!» disse, tenendo la testa tra le mani.
Ma Levi non aveva ancora finito.
Aveva tenuto per troppi anni dentro la responsabilità di quella morte. Per troppi anni aveva represso il dolore e adesso, che aveva iniziato a buttare tutto fuori, non riusciva più a fermarsi.
«Sua moglie si chiamava Irma e i suoi due figli Soter e Zenia. Due gemelli, proprio come te» si inginocchiò davanti a lui, piegando la testa di lato. «Sono stati appesi a testa in giù e uccisi dalla tua Congrega utilizzando gli stessi poteri che tu tanto elogi di possedere»
«Lui non mi ha mai detto nulla...» sussurrò Theon più a sé stesso che a Levi.
«Questo lo so perché me lo ha raccontato poco prima di morire, solo per farmi rinascere come demone e permettermi, così, di vendicarmi - continuò, alzandosi - E poi come avrebbe potuto? Quella notte, dopo che mia madre morì, ti venne a cercare ricordi? Ti chiese dove fossi e tu gli hai chiuso la porta in faccia! Quella fu l'ultima volta che lo vedesti non è così?»
Theon non rispose a nessuna delle domande che Levi gli aveva posto e questo fu solo una conferma a tutte quelle domande che si era posto per anni.
Adesso, il rimorso di non averlo considerato e di non aver instaurato con lui un rapporto simile a quello che aveva avuto con Levi, lo divoravano.
Si era da sempre convinto che la colpa fosse solo di Levi, che lui lo aveva costretto a sacrificarsi per far sì che lui rinascesse come demone, quando in realtà la colpa era stata da sempre sua.
Se solo gli avessi parlato, adesso Atlas sarebbe vivo?
Si chiese, sollevando gli occhi da terra.
Le iridi rosse e le palpebre ormai gonfie, presero a fissare per un attimo il volto atono di Levi, per poi spostarsi oltre la sua figura, scontrandosi con gli occhi lucidi e increduli di sua sorella.
«Helene... Io non sapevo niente di tutto ciò»
«Hai incontrato Atlas prima di morire?» disse, lasciando che le lacrime le bagnassero le labbra.
«I-io non sapevo che sarebbe morto! Non... Papà mi ha sempre detto di-»
«Papà ci ha abbandonati! Lui non conta nulla nelle nostre vite!» urlò Helene, accasciandosi accanto al fratello, ormai stanca. «Perché? Perché hai fatto questo?» chiese, conoscendo ormai la risposta.
«Mi dispiace... Mi dispiace» ripeteva in continuazione Theon, sorreggendo con le mani la testa ormai pesante.
Helene si asciugò le lacrime e lo abbracciò, lasciando che suo fratello si sfogasse sulla sua spalla.
Anche lei aveva commesso degli errori e anche lei aveva dato tutte le colpe a lui, senza rendersi conto delle sue responsabilità per quelle azioni che Theon aveva commesso.
Da sempre aveva difeso Levi, non curandosi del fatto che suo fratello soffriva tanto quanto lei per la morte di Atlas.
Entrambi si erano fatti del male in silenzio e adesso ne stavano pagando le conseguenze.
Levi osservò passivo la scena davanti a sé e, voltandosi, vide Edgar a pochi passi dall'ingresso della stanza.
I suoi occhi si posarono sui gemelli accasciati a terra, per poi guizzare su suo figlio.
«Penso che adesso ci sia il clima adatto per accogliere il Principe, Edgar»
Inconsapevole di ciò che stava succedendo all'interno della stanza dov'era ricoverato Levi, Anneka aveva preso a girovagare per l'Accademia ormai vuota, dato che i pochi ragazzi rimasti si erano ritirati nelle proprie stanze, attendendo che la cena venisse servita.
Le dita della mano destra giocavano con il ciondolo in oro che sua madre era solita portare al collo, mentre i suoi occhi marroni saettavano tra un'opera e l'altra.
L'Accademia non era altro che un miscuglio di arte classica e barocca, con qualche rappresentazione risorgimentale sparsa nelle varie stanze.
Seguendo le statue a mezzo busto che riconobbe essere di autori latini e greci, grazie ai nomi incisi alla base, Anneka si immerse in un lungo corridoio con il pavimento in parquet scuro, coperto da un pesante tappeto rosso e le cui frange erano perfettamente allineate le une alle altre.
I pesanti stivali scandirono i suoi passi fino all'ingresso di quella stanza che identificò come biblioteca.
Helene le aveva già detto che l'Accademia possedeva una biblioteca, al cui interno era possibile trovare ogni opera di qualsiasi epoca storica e autore che si desiderava. Anneka non ci aveva creduto fino a quando non mise piede all'interno di quell'enorme ambiente.
Una volta aperta la pesante porta in mogano scuro, si ritrovò circondata da talmente tanti libri che non le sarebbe bastato un mese per poter leggere anche solo i titoli.
Strati e strati di carta ingiallita e ricoperta di inchiostro, ricoprivano gli scaffali di quelle enormi librerie, poste sue due piani e l'odore stantio della carta le inebriava le narici, immergendola nel suo mondo.
La stanza, nonostante fosse perfettamente quadrata, con corridoi a dividere le diverse scansie, presentava il tetto a forma di cupola, completamente rivestito da dipinti di vario genere; data l'altezza non riuscì a distinguerne molti, ma quello che notò fu una perfetta rappresentazione de L'ultima cena di Leonardo Da Vinci: i colori vivi erano illuminati dai raggi del sole ormai spento proveniente da una finestra posizionata al centro della cupola. Un occhio luminoso, che le ricordò l'immagine del Pantheon di Roma che aveva visto sui suoi libri di arte.
Al centro del piano terra, vi erano cinque file di scrivanie, con almeno una decina di posti a sedere ciascuna e diverse lampade dal lucernario verde poste sopra di esse. Le finestre, che circondavano l'intera stanza, davano su un lago artificiale nella quale nuotavano anatre e cigni indisturbati, circondati da salici piangenti e qualche fiore blu e bianco.
Sotto le vetrate, vi erano delle poltrone imbottite e tavolini da thè, con tanto di coperte sugli schienali, se qualcuno avesse sentito freddo.
Successivamente, una scala a chiocciola con i gradini in legno e lo scorri mano in rame portavano al piano di sopra.
Non si sentiva alcun rumore proveniente dall'esterno e, a malapena, il suo respiro che si perdeva in quella moltitudine di carte.
Le dispiacque pure camminare in quel luogo così silenzioso ma l'istinto di curiosare tra gli scaffali prevalse.
Salì lentamente le scale, mantenendo sempre lo sguardo fisso sui diversi colori delle copertine, sulle incisioni in oro e sull'infinità di generi che avrebbe trovato.
Una volta arrivata in cima, si diresse per istinto in quella che le parve la sezione in cui vi erano i classici. Le dita si posarono su ogni singola copertina, su ogni singolo classico e Anneka, aprendo per caso diverse versioni di Piccole donne, capì che Edgar aveva collezionato le prime edizioni di ogni singola opera in tutte le lingue in cui era stata pubblicata. In questo modo si spiegava perché, per ogni opera, ce ne fossero almeno cinque con lo stesso nome.
Esterrefatta da una così maestosa collezione, si diresse verso la scrivania posizionata davanti la finestra ad arco, circondata da una pesante tenta rossa, sulla quale ritrovò la prima edizione di Narciso e Boccadoro di Herman Hesse: un'opera che sempre l'aveva affascinata ma che mai aveva avuto modo di leggere.
Aprì delicatamente la copertina, notando diverse note scritte velocemente a matita, e prese a leggere alcune pagine, fino a quando non ritrovò una frase che attirò la sua attenzione.
Senza che se ne accorgesse, la lesse ad alta voce.
«"Che sarebbe l'amore senza l'eterna mortale ostilità dei sessi?"»
-Ammetto che sia una frase molto azzeccata al contesto-
Una voce, poco distante da lei, la fece irrigidire.
Sollevò gli occhi dalle pagine e sul davanzale imbottito della finestra vi era seduto un ragazzo che mai aveva visto in Accademia.
Un paio di pantaloni neri in pelle avvolgevano le sue gambe muscolose, mentre una camicia di cotone, per metà, era infilata in essi: le maniche, larghe e dai polsi stretti, nascondevano un gran numero di tatuaggi, alcuni visibili grazie allo scollo a V lasciato aperto.
Dei ricci castani facevano da contorno a un viso a diamante, illuminato da due profondi occhi verdi e un sorriso a trentadue denti. Delle lentiggini chiare gli costellavano il viso come stelle, e una grossa cicatrice sullo zigomo sinistro lo rendeva ancora più affascinante.
Anneka rimase interdetta da tanta bellezza che non si accorse nemmeno che il ragazzo si era mosso, arrivando a pochi passi da lei.
«Ti piacciono le nocciole?» disse, porgendole la mano con dentro la frutta secca.
Continuando a mantenere il contatto visivo, Anneka fece un segno di negazione, deglutendo a fatica.
In tutta la sua vita, non aveva mai incontrato tutti quei ragazzi di bell'aspetto in così poco tempo.
Theon era affascinante per via della sua dolcezza, oltre che per il fisico statuario da ragazzo scandinavo.
Levi aveva un fascino infernale, di una cosa proibita ma che attrae in modo innaturale, oltre che alla necessità che si avvertiva di perdersi nella marea di sfumature delle sue iridi color ambra.
Ma quel ragazzo possedeva una bellezza calda e sensuale, che mai aveva visto fino a quel momento.
«Così ami la letteratura, dico bene?» parlò di nuovo, facendo scontrare la sua voce roca con i timpani di Anneka. «Oh, perdona la mia scortesia. Non mi sono neanche presentato» disse, infilando le noccioline nelle tasche dei suoi pantaloni di pelle. Le afferrò la mano e Anneka poté notare una quantità smisurata di anelli incastrati tra le dite, tutte di forme e colori diversi, e le unghie colorate di un nero lucido.
«Sono Cassian, il Principe di Insperia» disse, posando le sue labbra carnose sul dorso della mano, che Anneka sperò con tutta sé stessa che non fosse sudata. «Tu devi essere Anneka, dico bene?»
La ragazza annuì, non riuscendo a spiaccicare una sola parola.
Cassian sorrise, lasciandole dolcemente la mano.
«Allora posso dirmi incantato»
SPAZIO AUTRICE
Buon pomeriggio a tutti! Come state?❤
Come al solito non mi dilungo molto nello spazi autrice perché, alla fine di ogni capitolo preferisco lasciare spazio alle vostre considerazioni generali.
Partiamo subito con il ricordo di Levi.
Non so per quale motivo ma Levi sembra quasi la Meredith Grey della situazione, ovvero perde in continuazione gente a lei cara ma continua ad andare avanti come se niente fosse, con l'unica differenza che lui è un demone.
In questo caso possiamo vedere un cedimento sia in Levi che in Theon, cosa che non si era mai visto, soprattutto per Theon.
Cosa ne pensate di questo scontro che ha visto entrambi ricadere nella considerazione di essere sulla stessa barca?
Passando alla seconda parte, penso proprio di essermi innamorata di Cassian, permettetemelo 😂
Inserirò un suo aesthetic nella mia pagina Instagram (imsarah_98) e anche il presta-volto per i più curiosi😉
Cosa ne pensate di questo incontro che ha lasciato a bocca aperta Anneka?
Secondo voi porterà un po' di scompiglio tra i personaggi principali?
Lo scoprirete solo leggendo ❤
Grazia ancora per essere passati e spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima!
-imsarah_98
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