Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

𝑻𝑹𝑬𝑫𝑰𝑪𝑰


Vi auguro una buona lettura ❤️

-imsarah_98


Una volta usciti dall'infermeria, Anneka e Theon raggiunsero l'ultimo piano dell'edificio.

Percorrendo un'enorme scala a chiocciola, la ragazza si soffermò sull'ambiente che la circondava, analizzandone ogni minimo dettaglio: il corrimano era in marmo bianco, inciso in modo tale da raffigurare rami intrecciati e fiori estremamente particolareggiati, nonostante fossero privi di colore; la carta da parati che ricopriva la parete destra, ritraeva un giardino senza fine, ricco di colori sgargianti e intensi, in netto contrasto con il cielo limpido di in un pomeriggio d'estate che lo sovrastava.

Il contorno di quell'enorme quadro era una cornice completamente in oro, con alcuni dettagli floreali ai lati.

Edgar era davvero un amante del lusso ed esprimeva questo suo interesse in ogni singolo angolo di quella che ormai, per Anneka, era diventata la sua dimora.
Una casa che però non era ancora riuscita a conoscere a fondo: Helene le aveva accennato qualcosa sul fatto che contenesse numerose stanze adibite ad alloggi per i ragazzi, divise da quelle delle ragazze; altre allestite per permettere lo svolgimento di lezioni teoriche, a cui Anneka non aveva avuto ancora l'onore di partecipare. Si chiese, più volte se mai lo avesse fatto: ascoltare una lezione di quelle le avrebbe permesso, sicuramente, di trovare risposte a molte delle sue domande e, magari, le avrebbe alleggerito il peso dell'incertezza che, da qualche settimana, era diventata sua compagna di vita.

Successivamente Helene aveva concluso il discorso dicendo che molte altre stanze non le aveva neanche viste perché, essendo la casa di Edgar da moltissime generazioni, probabilmente ne nascondeva il contenuto, per preservare i ricordi dall'usura del tempo.

Ovviamente la curiosità di Anneka si era annidata anche in quei segreti che Edgar custodiva nella sua cassaforte di mutismo e si domandò se effettivamente esistesse qualche spiegazione riguardo a ciò a cui aveva assistito: Levi, dentro quel cerchio di morte; il volto di quell'uomo così vicino al suo, la cui voce aveva un tono piuttosto familiare; e il comportamento di Theon nei confronti del ragazzo che aveva salvato.

Tutto era avvolto da un'oscurità, da un silenzio di punti interrogativi, dalla certezza che esistesse qualcosa di più profondo, qualcosa simili a un infinito di cui lei stessa ne faceva parte.

Adesso che si trovava lì, un barlume di speranza si fece sempre più luminoso, soprattutto da quando Theon le aveva detto di volerle mostrare qualcosa.
Quella, forse, poteva essere una buona occasione per dare vita a risposte e non più solo a domande.

Immersa nei suoi pensieri, Anneka non si accorse che il ragazzo si era fermato e gli andò contro, scontrandosi con la sua schiena muscolosa.
La luce fioca del pomeriggio, proveniente da una piccola finestra a cerchio posta poco sopra le loro teste, illuminava debolmente l'ambiente che li circondava, lasciando alcuni angoli coperti dall'ombra scura. Condizionata e ancora scossa dalle brutte sensazioni, ad Anneka parve scorgere qualcosa dentro di esse.
Un brivido rapido le percorse le spalle e le braccia e, istintivamente, si strinse contro l'avambraccio di Theon.

Lui sorrise, prima di guardarla dall'alto.

«Hai paura?»

«N-no, è solo che questo posto mi sembra così... abbandonato»

«Effettivamente non veniamo mai qui!»

Confessò calmo Theon, prima di armeggiare con la serratura un po' malconcia dell'enorme porta che gli si parava davanti. Sul legno scuro a causa dell'umidità, erano state incise parole in una lingua che Anneka non conosceva.

Improvvisi, come lampi su nubi burrascose, le vennero in mente delle immagini: alcol, corpi sudati che si dimenavano seguendo il ritmo di una musica ovattata, luci di colori differenti e...

«In che lingua sono scritte queste frasi?» proruppe un po' troppo agitata.

«Latino, perché?» chiese stranito Theon.

«E c'è qualcuno che tra di voi lo sa parlare?»

«Diciamo che un po' tutti siamo costretti a impararlo, ma l'unico che lo parla come se fosse una seconda lingua è Levi» affermò leggermente infastidito.

Anneka non badò molto al suo tono di voce, ma si concentrò sul fatto che dei pezzi dei suoi ricordi appannati stavano finalmente combaciando: era come se le fosse sempre mancata una parte di quella serata. Non aveva mai capito come fosse passata dal divertirsi in quella casa al lago a essere distesa sul suo letto, con sua madre in preda alle lacrime.

Adesso però il ricordo di una voce roca e sensuale emerse dai meandri della sua memoria e ad essa ricollegò un viso pallido, privo di qualsiasi emozione, delle labbra carnose tirate in una linea sottile e un paio d'occhi, il cui colore l'aveva sempre lasciata di stucco.

Insieme a quelle parole, le tornarono in mente anche le sensazioni, i brividi che aveva provato quando quell'individuo aveva posato le labbra sulla pelle del suo collo, cospargendola di baci ardenti di cui ancora portava i segni.

Deglutendo a fatica, si sforzò di convincersi che Levi non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere.

Non la degnava minimamente di uno sguardo e, quando sorprendeva a fissarlo, aveva sempre pronta una minaccia.

«Vogliamo andare?»

Disse Theon, scrutandola con quello sguardo dolce che era solito riservarle.
La mano muscolosa di lui si avvolse delicata a quella affusolata di Anneka e, insieme, entrarono all'interno della stanza, chiudendo la porta dietro le loro spalle.

Un altare di modestie dimensioni con su dei candelabri spenti, troneggiava al centro di quella che sembrava essere una grotta.
Ai piedi di esso, erano disposte rocce di ametista, le cui sfumature viola e lilla illuminavano l'ambiente circostante.

Sollevando gli occhi, le pareti non erano altro che cascate di acqua limpida che andava a depositarsi ai piedi di Anneka, senza però bagnarli.

«Ma come è possibile?» sussurrò, timorosa di disturbare quella quiete che si percepiva all'interno di quella stanza.

«Questa è magia... Adesso ti mostro.»

La precedette e il terreno umido prese ad illuminarsi di blu, proprio dove Theon aveva appoggiato i piedi, segnando il percorso che doveva seguire.

«Ma...»

Anneka si inginocchiò e passò una mano sui fili d'erba, ricreando la stessa identica luce cerulea.
Il ragazzo si voltò ad osservarla, prima di poggiare una mano sul marmo grezzo dell'altare e far accendere le candele, poste sia sopra di esso che ad ogni lato della stanza.

«Questa, Annie, è la Sala dei quattro elementi. Come puoi vedere c'è il fuoco, l'acqua, la terra e l'aria» spiegò, sollevando una mano verso la sua direzione.

Anneka fu colpita da un leggero soffio di vento caldo, che si posò sulla sua guancia come se fosse una carezza. Sollevò gli occhi verso di lui, prima di raggiungerlo osservando i suoi passi con la stessa felicità con cui una bambina guarda le luci di Natale.

«Se uniamo i quattro elementi e la tanzanite, riusciamo ad ottenere questo...»

Sussurrò a pochi centimetri dal suo viso.

Davanti agli occhi color caffè di lei si materializzò un manto di luce bianco che piano piano divenne sempre più limpido, permettendole di vedere ciò che c'era al suo interno.

Anneka riconobbe New York, le strade trafficate e le numerose voci che le popolavano; le urla di chi chiamava un taxi e cercava di farsi sentire in quella confusione, e le risate dei bambini al Central Park insieme ai propri genitori.

Poi loro, Eleni e Clio, le sue due migliori amiche.

I loro volti, felici e abbronzanti, si rispecchiavano nella fontana vicino alla loro università, dov'erano solite fermarsi durante le ore di pausa tra una lezione e un'altra, spettegolando e parlando del più e del meno.
Vederle lì, tranquille e spensierate, tolse un macigno dal cuore di Anneka: erano vive, stavano bene e la loro abbronzatura le fece credere che il loro viaggio in Spagna era andato piuttosto bene.
Avrebbe voluto raccontare tutto ciò che era accaduto nelle ultime settimane: dal luogo in cui si trovava all'incontro con i suoi amici d'infanzia. Avrebbe voluto raccontare anche di Levi, dall'odio che li legava e dal modo in cui lei stessa si sentiva, ogni volta che incrociava il suo sguardo.
Se solo le avesse avute lì, in quel momento, non si sarebbe sentita così sola e abbandonata.

Allungò una mano verso il riflesso, ma questo cambiò improvvisamente, riportandola in un'altra realtà e sfumature di colore.
L'attico, grezzo all'esterno e ultramoderno all'interno, che aveva condiviso con il padre fino alla sua partenza per Lostwinter.
Ogni singola cosa al suo interno era perfettamente pulita e ordinata, rispecchiando l'uomo seduto sulla poltrona in pelle nera. Vestito con il suo solito abito elegante grigio, teneva in una mano il giornale del New York Times, aperto sulla pagina della borsa di Wall Street. All'interno del taschino, nella parte destra della giacca, due penne e il tesserino medico.

Sul tavolino in legno nero posizionato accanto a lui, una tazza di caffè fumante e una loro fotografia risalente al Natale precedente, quando era riuscita a convincerlo a pattinare sulla pista di ghiaccio a Rockfeller Center.

«Papà...» sussurrò con voce tremante.

Gli occhi presero a pizzicare e si portò una mano alla bocca, come a voler trattenere i singhiozzi che improvvisamente presero a fuoriuscire da essa.
La visione del volto serio ma allo stesso tempo dolce del padre, fu sostituita da un'immagine molto più luminosa, tanto che dovette stringere gli occhi.

Il sole illuminava il cielo e attraverso quella sola parvenza, Anneka riuscì a percepirne il calore. La visuale si rimpicciolì sempre di più, fino a focalizzarsi sulla figura esile di Tessa: tra le mani teneva un libro di cucina e, come suo solito fare, l'intero piano dell'isola era completamente ricoperto di farina e utensili alquanto inutili.

A tale visione, Anneka scoppiò a ridere mentre delle lacrime solcarono pesantemente le sue guance, proprio come un campo arato da un trattore in piena estate.

La sua attenzione fu, però, rapita da un'ombra grigia che aleggiava silenziosa alle spalle della madre. Non riuscì a definirla con chiarezza, ma riconobbe perfettamente il brivido che le provocò quel sorriso, lo stesso che aveva visto dopo aver estratto il coltello dal petto di Levi.

«Mamma... Mamma!»

Disse allungando una mano verso quell'immagine.

Ma non appena sfiorò il manto di luce, tutto si spense come una candela soffiata dal vento, e il contorno di quelle immagini scoppiò al pari di una bolla di sapone che tocca una superficie spigolosa.

Anneka non riuscì più a trattenersi e cadde, rannicchiandosi su sé stessa.
Theon l'avvolse con le sue braccia e lasciò che piangesse sul suo petto. Silenzioso, appoggiò il mento sulla sua testa e la cullò dolcemente.

«Andrà tutto bene» disse calmo Theon, mentre una mano le accarezzava la schiena.

«Tu... Tu non l'hai vista quell'ombra? Era dietro di lei e... E se fosse qualcosa di cattivo? Io-»

«Annie, sei ancora scossa per quello che è successo oggi. Io non ho visto niente.»

Lo guardò e decise di non ribattere.
Probabilmente Theon aveva ragione: lo spavento preso durante la mattina le aveva condizionato i pensieri, facendole vedere cose che in realtà non c'erano.
Ma una piccolissima parte di lei, era convita di ciò che aveva visto.
Era convinta che qualcosa stesse minacciando sua madre e per questo era necessario raggiungerla il prima possibile.
Questo però fu un pensiero che tenne per sé stessa: ogni volta che parlava di voler andare via dall'Accademia, tutti non facevano altro che bloccarla o guardarla come se stesse dicendo assurdità.

"Le uniche persone che possono attraversare la barriera che circonda l'Accademia, sono coloro che possiedono il dono del passaggio. Solo loro possono viaggiare nel tempo e nello spazio a loro piacimento."

Aveva detto una volta di sfuggita Edgar.

Il dono del passaggio...

Ripeté, ricordandosi la sensazione che aveva provato nel vivere quei sogni fatti nella prima settimana di vacanza: in tutte quelle occasioni, era come se avesse attraversato un passaggio che le aveva permesso di viaggiare in quelle epoche diverse dalla sua e di viverle a pieno.

Una domanda si insinuò nella sua mente, pericolosa e insidiosa, e di cui avrebbe scoperto molto presto la risposta.

«Ti senti meglio?»

Theon era chino su di lei e la sua mano le spostò una ciocca di capelli dal viso.
Il pollice passò sotto i suoi occhi, asciugando il residuo delle lacrime salate.
Cercando di riprendere il controllo delle sue emozioni, decise di non domandargli nulla dato che, per quanto potesse fidarsi di lui, Theon era un ragazzo perspicace e sveglio: non ci avrebbe messo troppo a capire le sue intenzioni.
Era certa che, pur di tenerla al sicuro e lontano da qualunque pericolo, non le avrebbe mai risposto con sincerità.

Allontanandosi dal corpo statuario di Theon, si sollevò inspirando profondamente e si asciugò le lacrime dal viso, ignorando il dolore alle tempie causato dal bruciore delle iridi arrossate.

«Sì e grazie Theon...» sussurrò, guardandolo dritto negli occhi. «Sapere che stanno bene, mi fa sentire meglio»

«Sapevo che ti sarebbe piaciuto, solo che mi dispiace averti fatto piangere... Non era mia intenzione.»

Anneka sorrise e posò una mano sulla sua guancia.
Delicatamente l'accarezzò, come a volerlo rassicurare sul fatto che non era affatto colpa sua: quel pianto era stato liberatorio e lei si sentiva decisamente più leggera.

Lentamente si avvicinò al suo volto e posò un bacio delicato al lato delle sue labbra in segno di ringraziamento.

«Credo che adesso sia meglio andare, ci staranno cercando»



Dopo cena, Anneka era stata chiamata nell'ufficio di Edgar che non le aveva fatto molte domande su ciò che era accaduto durante la mattinata e si era limitato a chiederle se stesse bene

Successivamente, una volta arrivata in stanza, aveva trovato Helene completamente nel panico e non aveva fatto altro che riempirla di domande su ciò che le era successo.
Anneka le raccontò tutto, omettendo il particolare della Sala dei quattro elementi, perché sapeva che confessarlo avrebbe messo nei guai sia lei che Theon. Aveva preferito inventare una scusa, dicendo che le aveva medicato la ferita e che avevano fatto una passeggiata, così da allentare la tensione. Helene sembrava averle creduto e, per sdrammatizzare, aveva parlato del più e del meno, fino a quando non era crollata a causa della stanchezza.

Anneka invece non era riuscita a chiudere occhio.

La sveglia sul comodino segnava le 03:30 del mattino e la sua mente non aveva fatto altro che vagare in continuazione tra un avvenimento e l'altro, rendendola nervosa.

Si sedette sul suo letto e, con gli occhi fissi verso l'orizzonte scuro, illuminato dalle flebili luci della città, decise di alzarsi. Ogni qualvolta non riusciva a prendere sonno, era solita andare in cucina, bere un bicchiere d'acqua e fissare il cielo, come se quella moltitudine di stelle potesse disperdere tutti i pensieri che la opprimevano.

Scalza, uscì dalla sua camera e percorse solo una rampa di scale, arrivando silenziosa al suo obiettivo. Non aveva mai sentito quel silenzio in Accademia: di solito, era un pullulare di ragazzi dalle voci squillanti ed entusiaste; continui allenamenti e cene organizzate da Edgar. La cosa che aveva capito di lui era che odiava stare da solo.

Amava la compagnia, il discutere con altre persone fino a quando non le vedeva stanche: proprio come una famiglia, e questo lo apprezzava molto.

Dopo aver riempito un bicchiere di cristallo, iniziò a girovagare senza una meta precisa.

Questa poteva essere un'ottima occasione per studiare il luogo e le sue misure difensive.

Se capisco il loro punto ceco, posso scappare da lì.

Pensò, arrivando difronte una grande vetrata che dava sul bosco fitto e rigoglioso.

Sembrava che tutto, attorno a lei, fosse uguale: sempre alberi su alberi, senza strade o sentieri che le potessero indicare una via di uscita.

Sarà un'illusione?

Riprese a camminare, osservando con stupore i numerosi arazzi, quadri e statue in marmo bianco che rappresentavano diverse scene mitologiche, molte delle quali aveva semplicemente letto. Seguendo il percorso che formavano le opere, Anneka arrivò difronte a una stanza.

Il suo corpo si tese quando, fermandosi allo spiraglio di luce che fuoriusciva dalla porta semiaperta, udì una melodia causata dallo stridio dolce delle corde di violino.

Appoggiò la schiena contro la parete, accanto alla porta, e chiuse gli occhi.

Quelle note, accompagnate da un'estrema malinconia, le arrivarono dritte all'anima, scuotendola come nessuno aveva mai fatto. Una lacrima scese lungo la sua guancia destra e la lasciò lì, libera di segnare il percorso che più desiderava: non aveva mai pianto così tanto in vita sua come in quel periodo, ma in quel momento, ne sentiva la necessità.

Era qualcosa che non poteva controllare ed era per questo che decise di non opporre resistenza.

Le note, dolci e delicate, acquisirono un ritmo più accentuato fino a quando si fermarono del tutto, facendo sparire quella sensazione.

La persona che aveva suonato stava soffrendo.
Proprio come lei.
Curiosa, decise di vedere chi fosse e, facendosi coraggio, aprì lentamente la porta.
La stanza in cui si trovava era malconcia, priva di qualsiasi letto o scrivania: il parquet era impolverato e negli angoli poco illuminati dalla luce della candela, vi erano depositate delle armi rovinate, pezzi di ricambio di alcuni utensili e qualche strumento di cui ignorava il significato.

Sulla destra, seduto su una cassapanca accanto alla finestra aperta, c'era Levi.

Scalzo, con i pantaloni del pigiama neri e il petto nudo.
Sul punto, dove la mattina gli aveva estratto il coltello, vi era una garza bianca, con alcune tracce di tintura di iodio che qualcuno aveva usato per disinfettargli la ferita.
I capelli folti, gli ricadevano scompigliati sugli occhi, coperti da un paio di occhiali rotondi e neri.

Sulle labbra carnose e rosee, pendeva una sigaretta accesa, mentre le dita passavano un panno sulle corte sottili dello strumento.

«Sapevo che eri tu» disse semplicemente, abbassando lo sguardo verso gli spartiti che teneva sparsi accanto a sé.

La matita, sorretta dall'indice e il pollice della mano sinistra, scriveva rapide note e accordi, seguite da parole che Anneka non riuscì a leggere dato che si era appoggiata allo stipite della porta socchiusa.
Il violino giaceva morto accanto a lui, occupando il resto della cassapanca.

Sembrava calmo e innocuo rispetto alle ultime volte che lo aveva visto, ma la cosa che la stupì di più fu la sua espressione: non era infelice o sospettosa, ma serena e atona.
Solitamente, nonostante fosse apatico, il suo viso esprimeva sempre qualcosa, ma in quel momento era come se avesse messo da parte la corazza che era solito portarsi dietro, ricca di astio e malumore, e avesse deciso di mostrarsi per quello che era: un ragazzo indifeso e amante della musica.

Decise che quello poteva essere il suo momento per potergli parlare.

«Come stai?»

Chiese titubante.
Levi sollevò lo sguardo, lasciando che dalle labbra uscisse un'abbondante quantità di fumo grigio che andò ad offuscare la sua immagine, illuminata dalla luna che gli baciava delicatamente le spalle.
Scosse la testa, come in segno di negazione.
Un ghigno prese vita sulla sua faccia e Anneka seppe che stava per dire qualcosa di cattivo.

«Sei venuta fin qui, nel pieno della notte, per chiedermi come sto? Tormento così tanto i tuoi sogni, Anneka?»

«Non riesco a dormire e così ho fatto un giro.»

«E adesso che sei qui, vuoi che ti canto una ninna nanna?»

Anneka sospirò, incrociando le braccia al suo petto prosperoso.
Era pronta a sentirsi dire qualche altra cattiveria, ma Levi rispose in modo inaspettato.

«Va meglio, comunque, ma non sentirti un'eroina. Hai solo salvato un morto che sarebbe resuscitato poco dopo» sospirò, tenendo lo sguardo fisso su di lei.

Anneka lo guardò stranito.
Levi sembrò percepire il suo essere stupita, così decise di mostrarsi per ciò che era davvero.
Spostò il violino, riponendolo delicatamente all'interno della sua custodia, facendole così spazio accanto a lui. Anneka si avvicinò, sedendosi.

Levi afferrò delicatamente la sua mano, con la quale Anneka poté sentire la callosità delle sue dita, dovuto dall'assiduo utilizzo del violino, e la portò a pochi centimetri dalle sue labbra, tenendo sempre lo sguardo sui suoi occhi.
Soffiò sui polpastrelli ma la ragazza non percepì nulla.

Il petto era fermo e nessun fiato fuoriusciva dalle sue labbra, nonostante emanassero calore.

«Visto?» sussurrò lui, riponendo la mano sopra la gamba di lei.

Anneka mantenne lo sguardo fisso nei suoi occhi, e, deglutendo più volte, si disse di riprendersi dal torpore che quel tocco le aveva scaturito.
Era stato delicato, una descrizione che non si sarebbe mai immaginata di dare a Levi.

Eppure, era stato così.

Così intimo.

Così... giusto.

«V-vedo che suoni molto bene, devi esserti allenato molto» disse, cercando di cambiare discorso. «Chopin... Una volta ha suonato a New York. Penso di aver visto un suo concerto!»

Anneka abbassò rapidamente lo spartito quando, dietro di esso, udì una risata limpida e nascosta timidamente dietro una mano.
Levi rideva, e anche di gusto.
La guardava e rideva, senza riuscire a fermarsi.

Era talmente tanto spontanea che coinvolse anche Anneka.

Entrambi risero fino a quando le lacrime non gli bagnarono gli occhi per un motivo così insensato che anche Levi si scoprì stupito da quella sua reazione. Eppure, lo riportò a una spensieratezza talmente lontana che gli sembrò stesse vivendo un sogno.

«Non... Non puoi averlo detto sul serio» disse lui, riprendendosi. Raccolse lentamente tutti gli spartiti, infilandoli in una tasca costruita appositamente nella custodia del violino. «Chopin è morto nel 1849 e non si esibì mai a New York...» spiegò, senza osservarla.

Anneka annuì, rossa di imbarazzo per la sua affermazione a dir poco inaccettabile.
Si maledisse più volte per aver detto una cosa tanto inesatta, ma non si scoraggiò nel chiedere altre informazioni.
Dopotutto voleva approfittare di questo buon umore, così da poter scoprire almeno una piccolissima parte della sua vita.

«Chi ti ha insegnato a suonare così bene il violino?»

Levi si fermò, tenendo il sospeso la custodia a mezzaria.
Vide la sua schiena tendersi a quella domanda e i suoi occhi diventare due fessure piccole, prima di rivolgerle lo sguardo.
Strinse i pugni, così come la mascella.
Il Levi di prima si volatizzò con la stessa velocità di una pagina di un libro mossa dal vento: i suoi occhi divennero più scuri e le labbra si strinsero in una linea sottile.
Era come se stesse combattendo contro sé stesso, per evitare di risponderle in modo sgarbato ma, ovviamente, la vera natura di Levi emerse, sbarazzandosi completamente del fanciullo che aveva dato vita a quella risata.

«Non sono affari che ti riguardano» rispose, sbattendo la custodia sulla cassapanca su cui, pochi attimi prima era seduto. «Comunque, che vuoi?»

Anneka non era stupida e aveva capito che, abbindolare Levi era impossibile, così decise allora di andare dritta al punto.

«Chi voleva ucciderti oggi, nel bosco?»

«Le bambine dovrebbero stare alla larga dalle faccende dei grandi, lo sai questo?»

«E tu lo sai che non sono qui per mio volere ma perché tu mi hai trascinata qui?»

«Io? E per quale motivo avrei mai voluto averti in mezzo ai piedi?»

«Questo... questo non lo so! Ma se mi odi così tanto, almeno dimmi come uscire da qui!»

«Dalla porta magari?»

«Dall'Accademia, razza di...»

Anneka si blocco.
Si trattenne non perché le facesse paura ciò che stava per dire, ma perché Levi la guardava divertito.

Le sue labbra erano leggermente sollevate e la pelle ai lati dei suoi occhi, arricciata.
Le iridi, ferme, la fissavano ardenti come fiamme, pronte a bruciare qualunque cosa incontrassero trasformandola in cenere da calpestare.

Anneka però, di quelle fiamme, non aveva paura di bruciarsi.

Mantenne il suo sguardo, fino a quando non tornò serio.

«Perché vuoi saperlo?»

«Perché quell'essere è arrivato da mia madre e so che farà qualcosa di male, proprio come lo ha fatto a te.»

Levi non sembrò stranito da quelle informazioni.
Era come se con quelle parole avesse confermato la sua più grande paura: Caym si era avvicinato appositamente a quella casa e appositamente aveva invaso i ricordi di Anneka.
Voleva fargli sapere che, in un modo o nell'altro, se non fosse stato in gradi di portagli Anneka, se la sarebbe presa con la forza.
Levi doveva intervenire e anche velocemente.

«Come fai a sapere che tua madre è in pericolo?»

«Io...»

«Anneka, dimmi come cazzo fai a sapere che tua madre è in pericolo!»

«Theon... Mi ha mostrato delle immagini... Non dirlo ad Edgar! Ti prego!»

«Come faccio a non dirglielo?! Quel coglione ha messo a rischio tutti! - disse, camminando a destra e a sinistra e tenendo una mano attorno alla fronte - Quell'ombra che hai visto è un demone supremo. Un essere che, se è arrivato fino a qui, non sarà facile da rimandare indietro.»

Anneka non sapeva cosa dire o fare.
Era rimasta come pietrificata su quella cassapanca, con tutto il peso dello sguardo di Levi sul corpo.
Non riuscì a dire nulla, se non un semplice volere egoistico.
In quel momento non le importava nulla degli altri o di sé stessa. Non le importava se quel demone avesse raggiunto l'Accademia: loro erano addestrati per questo, ma sua madre no.
Sua madre si sarebbe ritrovata coinvolta in un mondo a cui non apparteneva.
Non poteva perdere sua madre perché lei non era stata in grado di salvarla.

«Mia madre... Io devo salvarla» disse, dirigendosi alla porta.

Non fece in tempo ad aprirla totalmente, che Levi la chiuse bloccandola tra il suo corpo e il pezzo di legno scuro.

«Tu non puoi fare proprio nulla.»

«Ma io devo... Non posso lasciarla morire»

Levi sospirò e per la prima volta da quando era arrivato in quel luogo, la guardò negli occhi con il desiderio di aiutarla e non di ucciderla.
L'afferrò per le spalle e abbassandosi alla sua altezza le disse delle parole che per lei furono al pari di cento lame.

«C'è una cosa che devi capire: una vota entrata a far parte di questo mondo, dovrai imparare a dire addio alle persone che ami, così come dovrai imparare a dire addio a te stessa.»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro