𝑸𝑼𝑨𝑻𝑻𝑶𝑹𝑫𝑰𝑪𝑰
La schiena pallida e snella di Rose era incollata alle mattonelle bianche della doccia.
I seni sodi e piccoli come due coppe di champagne si scontravano rumorosamente con il petto muscoloso del ragazzo, seguendo il ritmo delle sue spinte decise.
Il suono dell'acqua che scorre copriva i gemiti di piacere che entrambi emanavano, immersi in quel vortice di lussuria.
«Continua... Non ti fermare...»
Ripeteva la ragazza aggrappandosi alle spalle di Levi e lasciando dei segni rossi con le unghie sulla sua schiena già marchiata.
Levi le tappò la bocca con una mano, mentre l'altra le stringeva il fianco sinistro, aumentando il ritmo e raggiungendo così l'orgasmo.
Dopo ciò che era successo, Levi aveva avuto bisogno di sfogare la tensione e, considerato che non poteva uccidere nessuno all'interno dell'Accademia perché tutti sarebbero risaliti a lui, aveva scelto un metodo più classico e meno sanguinolento: il sesso.
Nonostante non gli stesse molto simpatica, Rose era una di quelle persone che non ponevano domande e che si limitavano a fare quello che le riusciva meglio.
E a Levi andava bene così.
Sciacquandosi velocemente con del sapone al gelsomino, Levi uscì dalla doccia avvolgendo un asciugamano attorno ai fianchi, lasciando così la ragazza terminare di lavarsi.
Erano ormai passati alcuni giorni da quando aveva visto Caym ed erano stati giorni in cui Levi non aveva fatto altro che riflettere sulla sua proposta.
Doveva solo consegnargli Anneka e tutto sarebbe finito.
Tutto sarebbe tornato alla normalità e lui avrebbe messo finalmente un punto a quella storia il cui finale sembrava inesistente.
Dopo quell'incontro avuto con lei nella stanza che utilizzava per allenarsi con il violino, gli sembrò talmente surreale da non voler credere che fosse successo davvero una cosa del genere; così lo aveva completamente accantonato accanto a tutti quei ricordi e quelle promesse che la riguardavano.
Nelle notti successive, il ricordo di quando l'aveva incontrata per la prima volta non aveva fatto altro che perseguitargli l'anima: tutte le sensazioni che aveva creduto più di non possedere riemersero come un relitto dal mare.
Ricordò di come in sua piccola bolla di tranquillità, improvvisamente, era piombata lei e, seguita dalla sua curiosità pungente come un ago, ponendo fine alla sua spensieratezza.
Aveva stravolto il suo mondo, riducendolo a una distesa arida, piena di scheletri di un passato che voleva assolutamente dimenticare.
Si piazzò davanti allo specchio leggermente appannato e, passandoci una mano sopra, fissò il suo riflesso.
Certo che hai combinato un bel casino Caym.
Commentò, osservando il suo corpo sfregiato dall'ennesimo errore.
Gli occhi erano circondati da due profonde occhiaie nere, mentre gli zigomi erano diventati ancora più sporgenti e spigolosi. Inoltre, la sua pelle olivastra aveva assunto un colorito molto più chiaro, simile a una pagina ingiallita di un libro antico.
Qualcosa non andava in lui, soprattutto dopo ciò che gli era stato conficcato nel petto.
Era come se nel rumore che il sangue demoniaco produceva scorrendo nelle sue vene, sentisse una tossina invadergli sempre di più ogni parte di quella massa ormai in decomposizione, rendendolo sempre più debole.
Il processo di rigenerazione del suo corpo era stato compromesso, era diventato più lento e meno efficace, e la cicatrice circolare ne era una dimostrazione.
La carne rossastra del muscolo, unita al colore corvino del sangue raggrumato, era ancora ben visibile; così come quelle piccole vene capillari nere che si diramavano da essa.
Quando aveva provato a utilizzare i suoi poteri, la ferita aveva iniziato a pulsare provocandogli scosse di dolore talmente profonde da piegare il suo corpo.
Il fatto che provasse dolore, era la prova che qualcosa non andava.
Sotto obbligo di Helene e di Edgar, era costretto a disinfettarla almeno tre volte al giorno e, oltre a ciò, doveva pure portare un paio di occhiali da vista fino a quando non l'avesse recuperata del tutto.
Caym aveva colpito un punto per lui prezioso: era solo grazie a quelle iridi di quel colore così particolare che riusciva a comunicare tra i due mondi, che riusciva a vedere anche quello che non era visibile.
Era solo grazie ad essi se aveva potuto raggiungere Caym e adesso, proprio a causa sua, non riusciva più a utilizzarli.
Non riusciva più a fare nulla e questo lo mandava su tutte le furie.
Non aveva mai dovuto contare su nessuno, era sempre stato autosufficiente e intraprendente, e tutti lo lodavano per questo.
Ma adesso, era trattato al pari di un degente, il cui male lo avrebbe inghiottito da lì a poco.
«Verrai agli allenamenti oggi?»
Gli chiese improvvisamente Rose, mentre si infilava il suo classico completino in pizzo coordinato.
Levi non la degnò neanche di uno sguardo.
«Ho alcune cose da sbrigare» le rispose, infilandosi una canottiera nera dalle spalle larghe.
Prese un paio di jeans grigi dalla sedia dove era solito poggiare i suoi indumenti, e delle sneakers del medesimo colore.
Indossò il tutto velocemente e aprì la porta in legno di ciliegio della sua stanza.
«Non farti vedere quando esci» l'avvertì, prima di uscire.
Come se tutto ciò non bastasse, aveva finito l'ennesimo pacchetto di sigarette e dal momento che non poteva uscire per il divieto imposto da Edgar e data la sua impossibilità di teletrasportarsi al tabaccaio più vicino, il suo unico rimedio era stato un lecca-lecca.
Lo scartò e lo infilò in bocca, sistemandosi poi le tasche dei jeans.
«Finalmente! Quanto ci metti a farti una doccia?!»
Helene spuntò alle sue spalle, facendolo sussultare.
«Cosa vuoi ancora Hel?» rispose acido. «E poi non ti riguarda quanto siano lunghe le mie docce» continuò, passandosi una mano tra i capelli folti.
«Mmh... Secondo me è perché quella doccia ha delle unghia davvero molto lunghe» rispose lei, abbassandogli leggermente il collo della maglia e rivelando i segni rossi.
Levi si fermò davanti a uno dei tanti specchi presente nella sala dove era solita tenersi la colazione, per vedere quanto fossero visibili.
«Cazzo...»
Imprecò, riportandosi il lecca-lecca tra i denti e masticandolo un po'.
«Non fai neanche in tempo ad alzarti, che devi subito osservare il tuo riflesso? Finirai come Narciso»
Una voce maschile e fin troppo fastidiosa per l'udito di Levi, si intromise, costringendo il ragazzo a girarsi e incrociare lo sguardo glaciale di Theon.
Quest'ultimo lo osservava divertito, mentre mescolava lentamente lo zucchero all'interno del suo caffè scuro. Negli ultimi giorni lo aveva visto di rado, il che gli era sembrato strano essendo ormai diventata l'ombra sia di Edgar che di Anneka.
Se ne stava per i fatti suoi, era schivo e abbastanza agitato: non che a Levi dispiacesse vederlo in quello stato, ma la cosa cominciava a insospettirlo.
«Sicuramente è molto meglio della faccia da cazzo che ti ritrovi.»
«Wow, stamattina siamo più nervosi del solito. Che c'è, non ti sei sfogato abbastanza in quella doccia?»
«Vuoi per caso essere il prossimo su cui mi sfoghi?»
Theon continuò a mantenere il sorriso sulle labbra, fino a quando non sorseggiò il suo caffè.
Helene si allontanò, raggiungendo un'altra ragazza che nessuno dei due aveva mai visto, e Theon ne approfittò per tirare l'ennesima frecciatina a Levi.
«Sai, ci sono priorità più importanti di una semplice scopata. Ad esempio, dovresti preoccuparti di recuperare almeno una parte dei tuoi poteri perché, sai, adesso sei... Aiutami a trovare un termine carino... Oh sì, ci sono: inutile. E tu sai dove vanno a finire le persone improduttive, dico bene?»
Concluse, posando poi la tazza vuota sul tavolino.
I loro occhi si incrociarono e per un attimo Levi notò qualcosa di strano in lui: in quelle iridi così limpide e cristalline, si nascondeva il bagliore di un sentimento subdolo e oscuro, che solo in pochi aveva visto.
Theon si stava vendicando, proprio in quel momento il cui lo aveva visto più debole.
Per quale motivo?
Si chiese, osservandolo mentre si allontanava.
Non avevano mai avuto problemi a scontrarsi in passato e questo aumentò ancora di più i sospetti nei suoi confronti.
«Comunque, ho scoperto qualcosa su quella tossina che ti hanno iniettato» la voce di Helene arrivò di nuovo chiara alle sue orecchie, distraendolo dai suoi pensieri. «Devo fare dei controlli più approfonditi però...»
«Ti sei messa a giocare anche tu all'Allegro chirurgo come tuo fratello?»
Le disse, versandosi una tazza di caffè.
Helene sorrise, scuotendo la testa e andando ad occupare un posto nell'enorme tavolo scuro, accanto alla poltrona vuota di Edgar.
Levi la guardò sospirando.
Fin da quando si erano conosciuti, non avevano mai smesso di divertirsi e prendersi in giro: forse perché erano entrambi considerati un rifiuto dalla loro società dato che Helene, aveva acquisito i poteri in netto ritardo rispetto ai suoi coetanei, e Levi era il figlio di una donna considerata folle. Appunto per questo, i due avevano sempre trovato l'uno nell'altro una persona di cui fidarsi ciecamente e, per quanto gli costasse anche solo pensarlo, non avere Helene al suo fianco per tutti quegli anni, lo aveva fatto sentire incompleto.
Ma questo, però, non lo avrebbe mai ammesso.
Immerso nei suoi pensieri, Levi si incamminò verso il suo posto ma qualcuno lo spinse, facendogli rovesciare il caffè sulla maglia.
«Certo che mi state proprio costringendo ad ammazzare qualcuno oggi!» urlò furioso, facendo calare il silenzio all'interno della stanza.
«S-scusami io non-»
La voce di Anneka fu l'unica cosa che si sentì.
La ragazza afferrò due tovaglioli di carta dal tavolo dove ognuno poteva prendere qualsiasi cosa desiderasse per fare colazione, e cercò di asciugargli invano la maglia.
Levi la osservò, immobile: aveva la fronte corrucciata, gli occhi fissi su quella macchia scura e il labbro inferiore stretto tra i denti, come a voler trattenere le lacrime.
Indossava la tenuta ginnica che Edgar aveva imposto a tutti i ragazzi dell'Accademia e, per quanto si sforzò, i suoi occhi percorsero lentamente tutto il suo corpo formoso. Il pantalone nero le stringeva in modo perfetto sulle cosce e sui fianchi accentuando il punto vita sottile; la maglia nera dallo scollo a V, attirava l'attenzione sul suo decolté prosperoso e i capelli, legati in una morbida treccia leggermente scomposta, le lasciavano libero il collo da cigno.
Particolari che Levi conosceva bene ma che non smetteva mai di voler memorizzare.
Nonostante l'odio che provava nei suoi confronti, l'attrazione verso di lei era sempre in agguato, pronta a farlo ricadere prigioniero, proprio come un insetto nella ragnatela di una vedova nera.
Decise di riprendersi da quello stato catartico in cui era entrato, comportandosi come aveva sempre fatto: scontroso e apatico.
«Spostati!» le disse, togliendo bruscamente le sue mani dal petto. «Cerca di starmi lontano e non ti azzardare mai più a toccarmi.»
Gli occhi di tutti erano puntati su di loro, su quelle due figure che non facevano altro che lanciarsi saette di odio e di disprezzo ma che un tempo, erano state la dimostrazione che le stelle era possibile toccarle se solo lo si desiderava.
«Non so quali cazzo siano i tuoi problemi, ma non puoi trattarmi in questo modo! Cerca di potare rispetto, razza di animale!»
Sbottò Anneka, gettandogli i tovaglioli sporchi di caffè in viso.
«Io non porto rispetto a gente che per me conta meno della merda sotto le scarpe!»
Improvvisamente Levi sentì la guancia destra bruciargli, segno che Anneka gli avesse tirato uno schiaffo.
Gli occhi di lei erano fissi nei suoi, pieni di odio e frustrazione. Poteva vederne la sofferenza, l'esasperazione e la tristezza mescolarsi come sabbia quando il mare è in tempesta. Perché così era sempre stato tra di loro, perché Levi aveva sempre avuto la capacità di leggerle dentro, senza che lei dicesse una sola parola.
Teneva ancora la mano sollevata, come a voler dimostrare che non si era pentita minimamente di quello che aveva fatto e per un attimo Levi vide l'Anneka di cui si era invaghito tempo prima.
Vide quella ragazza forte, gioiosa, che non aveva paura di niente e di nessuno, che avrebbe fatto di tutto pur di salvare le persone che amava.
Ma a quella immagine, si sovrappose il corpo esanime di sua madre, quel ricordo così doloroso che aveva cancellato tutto quello che c'era stato di buono tra di loro.
Levi gettò la tazzina del caffè per terra e sollevò la mano destra nella direzione di Anneka: era pronto a farla fuori, non gli importava delle conseguenze.
Era stanco e voleva mettere fine a quella situazione.
Sentì il sangue ribollire nelle sue vene, mentre il potere demoniaco prendeva possesso del suo corpo, ma non fece in tempo a sfogarlo che una scossa di dolore lo bloccò.
Vide Theon alzarsi dalla sua sedia, pronto a intervenire, e Helene correre verso di lui e mettersi in mezzo tra la sua mano e la vittima, cercando di ancorare lo sguardo al suo.
Anneka lo fissava, con un'espressione terrorizzata in viso.
Tutti lo fissavano in quel modo, terrorizzati, perché adesso era quello il sentimento che incuteva: paura e terrore.
Levi indietreggiò e velocemente uscì dalla stanza.
Le parole che Caym gli aveva detto riguardo alla sua natura gli tornarono in mente, e solo in quel momento capì quanto fossero vere: era un mostro e il suo unico posto era stare accanto a lui, accanto ai suoi simili.
Nessuno stava dalla sua parte.
Nessuno lo capiva.
E fu appunto per questo che prese la sua decisione.
Percorrendo il corridoio dell'entrata principale dell'Accademia, uscì velocemente ignorando gli sguardi atterriti che tutti erano soliti riservagli. Scomparve tra la vegetazione del bosco, raggiungendo il luogo in cui, pochi giorni prima, aveva cercato di contattare Caym.
«Celare!»
Urlò.
Una nebbia bianca e fitta prese a salire piano dal terreno, nascondendo l'ambiente circostante.
Si incamminò verso il cerchio dove aveva dato inizio a quel rito che lo aveva quasi portato alla morte, e si inginocchiò, lasciando che le dita si trasformassero in artigli lunghi e neri. Li conficcò nella terra e chiudendo gli occhi, cercò di calmare i suoi pensieri e ignorare il dolore di quelle vene che avevano preso a pulsare, focalizzandosi sul luogo che voleva raggiungere.
Avrebbe consegnato Anneka a Caym.
Schiuse le labbra, pronto a recitare le parole che gli avrebbero permesso di trasportarsi in quella dimensione, ma venne bloccato da qualcosa di fastidioso: una sensazione, simile al prurito, si propagò improvvisamente in tutto il corpo, costringendolo ad aprire gli occhi.
Si ritrovò immerso in una luce candida e abbagliante.
Sotto di lui, l'erba aveva ripreso il suo colore vivace e della brina si posava sui piccoli ciuffi verdi, riflettendo così il bagliore. Sollevando lo sguardo, una distesa di acqua limpida si apriva verso l'infinito.
Levi si alzò, sentendosi stranamente leggerlo.
I suoi vestiti erano cambianti; infatti, indossava una casacca bianca e dei pantaloni del medesimo colore, entrambi di lino. I suoi piedi, nudi e puliti, sembravano fluttuare sopra il manto florido.
Guardandosi attorno, prese a camminare, immergendosi nell'acqua fino alle caviglie: ogni passo che conduceva era seguito da un fiore di loto, piccolo e di un bianco candido.
«Il fiore della vita...» sussurrò, cercando di afferrarlo.
-Non farlo-
Una voce femminile si propagò per tutto l'ambiente, rimbombando fino a perdersi in quello spazio smisurato.
Era una voce calma, dolce e... familiare.
«Chi sei?»
Chiese allarmato, tastando il fianco destro alla ricerca di quel pugnale che portava sempre con sé, ma che in quel momento non riuscì a trovare.
Continuava a rigirarsi su sé stesso, cercando la figura dalla quale fosse uscita quella voce.
Ma attorno a lui c'era solo luce.
«Caym! Ti faccio a pezzi stavolta!» urlò furibondo.
Dietro di sé sentì improvvisamente una presenza, così si voltò ma i suoi occhi furono tappati da due mani calde e morbide, lisce come due petali di rose.
-Non puoi vedere i morti ricordi? Se incroci il loro sguardo...-
«Sarai costretto a rimanere con loro in eterno» completò quella frase.
Sentì la rabbia e il dolore abbandonare il suo corpo nell'udire quelle parole.
Non riusciva a crederci.
Non voleva illudersi che quella presenza fosse proprio lei.
«M-mamma?» chiese con voce tremante.
«Piccolo mio... Sei così cambiato» disse la donna, mantenendo sempre un tono di voce calmo. «Perché lo hai fatto? Non eri costretto...»
«Loro ti hanno portato via da me! Dovevo... dovevo diventare più forte per poter vendicare la tua morte...»
Confessò di getto, proprio come un bambino quando viene scoperto a fare qualcosa che gli è stato vietato.
«No Levi, io non ti ho mai chiesto questo. Non volevo che tu diventassi così. Ti ho sempre detto di mantenere viva la tua anima, di vivere il destino che ti è stato donato senza cercare di cambiarlo, perché si va solo incontro alla pazzia se si prova a farlo» lo rimproverò dolcemente, mentre una mano si spostò dal suo occhio destro e prese ad accarezzargli i capelli. «Sei così bello... Sia dentro che fuori, non rovinarti ulteriormente. Non consegnare Anneka nelle loro mani.»
«É l'unica soluzione.»
«Invece ti sbagli. Se lo farai, lo rimpiangerai per il resto della tua vita.»
«No, non è vero. Io la odio, io vorrei... vorrei che...»
«Qui non puoi mentire...» disse, accarezzandogli la guancia spigolosa. «Io so cosa provi
per lei.»
Levi sospirò, lasciando che sua madre lo accarezzasse.
Se solo avesse aperto gli occhi in quel momento, tutto il dolore sarebbe sparito, avrebbe nuovamente potuto rivedere sua madre e vivere in quel mondo fatto di luce e tranquillità.
Non ci sarebbe stato più nessun Caym, nessuna Anneka, solo lui e sua madre.
«Non farti trascinare da questo astio. Fai la scelta giusta, segui il tuo cuore.»
La voce calda della madre tornò ad accarezzare i timpani di Levi, mentre le dita andarono a coprire nuovamente gli occhi.
Desiderava con tutto sé stesso poterla rivedere un'ultima volta, così da non permettere al suo volto di sparire per sempre dai suoi ricordi.
Ma non lo fece.
Si limitò semplicemente ad abbracciare il corpo esile della madre.
La donna, sorridendo, accolse il figlio tra le braccia cullandolo proprio come quando era bambino.
Incastrando il viso nell'incavo del suo collo, Levi pianse, pianse come non aveva mai fatto e strinse sempre di più tra le braccia sua madre, come a voler imprimere nella sua pelle il suo profumo.
Sentì quel contatto affievolirsi lentamente, segno che il tempo con sua madre era terminato.
«Ti voglio bene mamma»
«Anche io, e te ne vorrò sempre.»
E tutto scomparve.
Levi si ritrovò inginocchiato, al centro di quel prato, adesso, completamente rinvigorito di fiori: dei crisantemi di diverso colore avevano ricoperto tutto il terreno bruciato, facendogli riprendere la tinta che lui stesso gli aveva sottratto.
I fiori dei morti.
Si disse, passando una mano su alcuni di essi.
Sapeva che ad aver ridato vita a quel pezzo di terra era stata sua madre e gliene fu grato perché adesso, dopo tanto tempo, aveva un posto in cui poteva sentirsi più vicino a lei.
Il sole era calato e la luce di un ennesimo tramonto estivo filtrava tra le foglie di quegli alberi ormai rigogliosi.
Levi sollevò il viso e,osservando l'orizzonte, si asciugò una di quelle lacrime che era rimastaimpigliata in quelle sue lunghe ciglia nere.
Come se riuscisse a sentire il calore della mano di sua madre poggiata sulviso, si alzò e, stringendo tra le mani un petalo di crisantemo, prese la suadecisone.
***
Anneka aveva lasciato la sala della colazione nello stesso istante in cui lo aveva fatto anche Levi e, in preda al nervoso, si era diretta in palestra
Una volta arrivata, dopo aver afferrato un paio di guanti da box e fissato intensamente il sacco, aveva cominciato a colpirlo, immaginando che sopra ci fosse la faccia di Levi.
Non capiva per quale motivo le si fosse rivolto in quel modo dopo il loro ultimo incontro: quel viso sorridente e disteso si era nuovamente trasformato in un accumulo di astio nei suoi confronti.
Quel Levi che aveva avuto l'occasione di vedere in quella stanza, era sparito, facendole pensare che fosse stato solo un miraggio.
Quanto lo odio! urlò dentro di sé, colpendo violentemente il sacco, dovevo lasciarlo lì sul prato! Continuò, ignorando il dolore delle nocche.
Quella mattina si era alzata poco dopo l'alba, aveva infilato la sua tenuta sportiva, stando attenta a non svegliare la sua compagna di stanza, e deciso di fare una bella corsa attorno al perimetro dell'Accademia, arrivando al limite della barriera magica che ne copriva l'esistenza.
Come già le era stato spiegato, la barriera non era altro che una protezione che non permetteva ad occhi indiscreti di vedere l'edificio e a possibili minacce di nuocere a coloro che vi abitavano. Ovviamente non le era stato spiegato quale tipo di diffida, ma dalle reazioni di Edgar capiva che doveva essere qualcosa di davvero pericoloso.
Ma poco le importava.
Sua madre era in pericolo e lei l'avrebbe protetta, a costo della sua stessa vita.
Appunto per questo, aveva passato gli ultimi giorni a studiare i movimenti di ogni singola persona incaricata di sorvegliare il perimetro, riuscendo ad appuntarsi il nome delle guardie e l'orario di cambio turno.
Tutto si svolgeva in quattro rotazioni con otto persone diverse, divise in quattro gruppi. Questi, avevano il compito di occuparsi dei quattro punti cardinali della barriera. Ognuno era tenuto a indossare una specifica divisa, che consisteva in una maglia nera, un pantalone del medesimo colore e un paio di anfibi: nulla che Anneka non si potesse procurare dall'armadio di Helene, dato che il suo guardaroba verteva, per la maggior parte, su quel colore.
Oltre a ciò, a tutti veniva dato un bracciale con una pietra incastonata bianca il cui colore mutava se la persona in questione fosse stata in pericolo, e un'arma in caso di scontro.
Sulla base di tali informazioni, aveva organizzato un piano: si sarebbe infiltrata nella guardia quella sera stessa.
Semplicemente, doveva stare attenta a non farsi riconoscere da nessuno, quindi era necessario che evitasse il turno di Theon o di Helene.
Dopo essersi esercitata fino a poco prima di cena, Dusan l'aveva congedata facendole i complimenti per la costanza e la tenacia con la quale si allenava.
Era salita velocemente nella sua stanza, trovando la sua compagna distesa sul suo letto. Indossava una maglia e un paio di mutande nere ed era intenta a leggere un libro dall'aspetto decisamente antico.
Teneva i capelli legati in uno chignon imperfetto e la matita tra le labbra, mentre lo sguardo era corrucciato e attento.
«Non ti ho mai visto leggere...» disse Anneka, sciogliendo i lacci delle scarpe.
«Già, ma devo scoprire cosa è successo a Levi e l'unico che può dirmelo è questo vecchio grimorio di mia madre» rispose frustrata.
«Kate è una maga come te?»
«Sì, una delle più brave anche!» Helene si tirò su, incrociando le gambe. «Sei stata molto coraggiosa oggi con Levi!» cantilenò con un sorriso.
«A tornare indietro, gliene avrei tirati due di schiaffi!»
Helene scoppiò in una risata, chiudendo il libro e stiracchiandosi, prima di infilarsi un paio di jeans scuri.
«Hai fatto bene, se l'è meritato. Si è comportato da stronzo e tu l'hai messo al suo posto» rispose l'amica. «Comunque, vado a cena. Vuoi che ti aspetti?»
«No, va pure. Dopo l'allenamento di oggi, ho solo bisogno di una bella dormita!»
Helene fece spallucce, dicendole che l'avrebbe raggiunta dopo cena.
Una volta che la ragazza chiuse la porta alle sue spalle, Anneka mise in atto il suo piano.
Afferrò il guardaroba necessario e lo infilò velocemente, passando poi a sistemare il suo letto: decise di infilare il suo pigiama a qualche cuscino e di chiudere le tende, così che Helene non si accorgesse dell'inganno.
Riallacciò nuovamente le scarpe e tirò su il cappuccio della felpa smanicata, nascondendo i capelli raccolti in una treccia. Si sedette sul letto fino a quando non sentì alcun trambusto fuori la sua stanza, segno che tutti si erano riuniti per la cena.
Aprì la porta lentamente e, assicurandosi che il passaggio fosse libero, uscì.
In punta di piedi percorse il corridoio, per poi scendere velocemente le scale e raggiungere il raduno dei ragazzi per il cambio turno, che si teneva dietro la palestra.
Una volta arrivata, un ragazzo le passò una spada, la cui impugnatura argentea era decorata con alcuni rami intrecciati, e il bracciale, che mise velocemente al polso.
Non disse una parola, cercando di sembrare il più naturale possibile: dopotutto quei ragazzi non li conosceva; quindi, era più che sicura che loro non sapevano chi fosse.
«Bene, se siete pronti, cominciamo il nostro turno» proruppe una ragazza dai capelli biondi, voltandosi poi verso di lei. «Aspetta ma... tu non sei Anneka, l'amica dei gemelli Zucosky? Che ci fai qui?»
Merda!
Cercando di mantenere la calma, sollevò lo sguardo rispondendo nel modo più naturale possibile.
«È stato Edgar a mandarmi, voleva che vedessi cosa significa proteggere l'Accademia.»
«Io sono il capo squadra e non ero stata informata di ciò. Dovrei chiedere, prima di procedere.»
Disse la ragazza, avviandosi verso l'ingresso dell'Accademia.
Anneka doveva pensare velocemente se avesse voluto dare al suo piano almeno una possibilità di riuscita, così si avvicinò a lei afferrandola delicatamente per un braccio.
«Non vorrai mica passare per quella che non ascolta quando le viene impartito un ordine...» sussurrò Anneka, guardandola negli occhi. «Cosa potrebbe pensare di te se andassi lì a chiederne conferma? Immaginerà che tu non sia adatta a questo ruolo»
La ragazza rimase ferma per quelle che parvero ore, prima di riprendersi e tornare dalla sua squadra.
Anneka sospirò, avvicinandosi al gruppo che avrebbe eseguito il controllo nella parte sud, proprio il punto che considerò più vicino a Lostwinter.
Silenziosa seguì i tre ragazzi che non facevano altro che ridere e scherzare, ignorandola totalmente. Rimase leggermente indietro, così da poter osservare attentamente l'ambiente, alla ricerca di un sentiero o di una via di uscita.
Camminarono fino a quando il sole ritirò il suo ultimo raggio, ritrovandosi difronte a un'enorme pietra con un segno inciso sopra: sembrava una runa di stampo vichingo.
«Questo è il punto in cui la barriera si interseca con la parte est ed ovest» gli spiegò brevemente un ragazzo dai capelli rossi e dalla faccia piena di lentiggini «e qui, c'è la barriera!» concluse, indicando un velo trasparente.
Anneka si avvicinò e, sollevando una mano, sfiorò la superficie limpida sentendola vibrare sotto le sue dita. Osservandola più da vicino, si notava la sua presenza poiché oltre di essa la realtà sembrava muoversi con un moto ondoso, proprio come quando si fissano le onde del mare, cercando di scorgere un qualche dettaglio nel fondale blu.
Quindi è questa.
Si disse, sospirando leggermente.
«Bene, noi ci fumiamo una canna, se vuoi puoi aggiungerti!» disse sempre lo stesso ragazzo, tenendo una mano appoggiata sulla fondina della pistola.
«No, sto bene così, ma grazie dell'offerta!» rispose cordialmente, sedendosi su una pietra piatta.
I tre si appoggiarono alla pietra runica e iniziarono a passarsi la cartina uno ad uno, chiudendo gli occhi ad ogni tiro.
Anneka attese, fino a quando non li vide talmente tanto su di giri che non si sarebbero più accorti della sua presenza.
Così, senza fare alcun rumore si avvicinò nuovamente alla barriera e, sfilandosi il bracciale, lo lasciò cadere sotto i suoi piedi, calpestandolo con la suola pesante degli anfibi.
Allungando le dita verso la superficie, spinse leggermente la mano permettendole di uscire. La sensazione fu identica a quando si immerge un dito nella gelatina.
Sospirò e, dopo aver dato un ultimo sguardo a quei ragazzi e all'Accademia, fece un salto, uscendo completamente.
«Ce l'ho fatta...» sussurrò, portandosi una mano al petto.
Si rese conto solo in quell'istante per quanto tempo avesse trattenuto il fiato.
Si voltò nuovamente e l'enorme edificio illuminato non esisteva più: al suo posto, c'era solo un'immensa distesa di alberi.
"Anneka c'è una cosa che devi capire: una volta che sei entrata a far parte di questo mondo, dovrai imparare a perdere i tuoi cari. Dovrai imparare a perdere anche te stessa."
Le parole di Levi le tornarono in mente, ricordandole ciò a cui sarebbe andata incontro.
Fissando il sentiero tortuoso davanti a sé, Anneka arrivò alla conclusione che quella regola per lei non valeva.
Lei non avrebbe perso nessuno.
Dopo aver preso un bel respiro, si incamminò in quel sentiero tortuoso, illuminato solo dalla luce fioca della luna della prima notte.
In lontananza, le luci di Lostwinter la chiamavano a sé.
Mamma, sto arrivando.
Nascondere, in latino
SPAZIO AUTRICE!
Buon pomeriggio a tutti quanti! Come state? ❤
Diciamo che io non ho molto da dire... Quindi lascio la parola a voi!
Vi è piaciuto questo capitolo?
Cosa ne pensate della scelta di Anneka, ha fatto bene ad andare via dall'Accademia?
E Levi, dopo l'incontro con la madre, cosa avrà deciso di fare?
Grazie mille per aver letto la mia storia!❤✨
A presto ❤
-imsarah_98
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