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𝑫𝑰𝑪𝑰𝑶𝑻𝑻𝑶

 

La finestra al lato destro della parete era aperta e le tende in lino svolazzavano dolcemente a causa dell'aria notturna; la calura estiva rendeva tutto estremamente appiccicoso e poco confortevole.
La luna era alta nel cielo e vegliava su quelle povere anime attraverso il suo occhio bianco, vezzeggiando dolcemente la pelle di chi aveva bisogno di una semplice carezza.
In lontananza, le luci del castello di Insperia si scontravano con l'oscurità della Foresta Nera in cui risiedeva il ragazzo.

Levi se ne stava seduto sul materasso morbido, con entrambe le mani tra i capelli sottili, tirandoli leggermente: il suo cuore batteva all'impazzata, come se avesse corso senza mai fermarsi; la gola era secca e la testa gli scoppiava, non permettendogli di aprire completamente gli occhi.
Ancora una volta aveva fatto lo stesso sogno.
Sé stesso, in un mondo senza sua madre e con un odio spropositato nei confronti della donna che amava.

Velocemente sciolse i piedi dal nodo causato dalle lenzuola fradice di sudore, colpa del sonno irrequieto che da sempre era stato un suo difetto, e si alzò camminando a piedi nudi fino alla cucina. Passando davanti allo specchio vicino la porta d'ingresso, si soffermò ad osservare il suo riflesso, analizzando attentamente quel volto che a stento riconobbe: i capelli neri erano più lunghi e gli ricadevano in morbidi ciuffi sugli occhi; la barba era leggermente incolta e sugli zigomi, così come sulla fronte e sul mento, erano presenti dei punti bianchi, simbolo del clan da cui proveniva la madre. Stropicciandosi gli occhi, si diresse verso il secchio in ferro sul tavolo centrale dell'ambiente e immerse in esso un bicchiere di legno, preso dalla credenza: prima di andare a dormire, era solito recarsi al pozzo al centro del bosco a raccogliere dell'acqua dal ruscello che scorreva sotto il piccolo paesino.

Ne bevve avidamente un sorso abbondante, lasciando che delle gocce fresche scendessero sul suo petto sudato e tonico, mentre con gli occhi trovò l'unico strumento in grado di alleviare un'anima tormentata come la sua.

Afferrò il violino, andando poi verso il giardino che circondava la sua abitazione; si sedette sulla roccia piatta sotto un cipresso, la cui base ospitava piccole margherite bianche e, chiudendo gli occhi, appoggiò la guancia sulla spalliera nera dello strumento. Le dita affusolate e dai polpastrelli callosi si mossero automaticamente su quelle note che conosceva bene: il ritmo oscillava tra un tremendamente lento e un estremamente accelerato, per poi tornare a un tono quasi malinconico. Era una giostra di emozioni dalla quale non era mai riuscito a scendere.

Il suo animo aveva sempre prediletto l'apatia, la completa indifferenza verso alcuna emozione come la felicità e la spensieratezza. Per qualche motivo, fin dalla sua infanzia, non si riteneva degno di provare tali sensazioni, per il semplice fatto che non ne aveva mai avuto la prova. Nonostante sua madre fosse presente e lo avesse sempre coccolato, vederla piangere per tutte quelle notti e soffrire dietro quel sorriso dolce, gli avevano fatto capire che quelle emozioni erano un'illusione.

Questa era la sua convinzione prima di incontrarla.

Il suo cuore aveva preso a palpitare nello stesso istante in cui i suoi occhi si erano scontrati con quelli di lei.
Il desiderio di averla, lo aveva portato a sperimentare sensazioni profonde, riempiendo gradualmente il vuoto presente nel suo cuore.

-Ho sempre amato il modo in cui suoni il violino-

La sua voce, calda come un raggio di sole in piena estate, gli accarezzò i timpani, facendolo sorridere.
Aprendo leggermente gli occhi la vide lì, appoggiata allo stipite della porta con addosso solo una delle sue tante camicie bianche che lui era solito indossare quando andava in visita al castello.
I lacci, vicino allo sbuffo di pizzo, erano sciolti, lasciando che il tessuto si aprisse in un profondo scollo a V, rivelando il solco del suo seno prosperoso.
I capelli color grano, mossi e lunghi fin sopra i fianchi, erano lasciati liberi dalla treccia che era solita farsi durante la giornata.

La luna, timidamente, illuminò la figura della ragazza non lasciando più alcuno spazio all'immaginazione di Levi.

Anneka si morse il labbro inferiore con fare indifferente, mentre si avvicinava lentamente a lui. Il ragazzo posò il violino accanto a sé, allungando le braccia, pronto ad avvolgerle attorno ai suoi fianchi. Inspirò profondamente il profumo della sua pelle marmorea, costellata da nei chiari e piccoli come lentiggini e, sollevando delicatamente il tessuto di cotone leggero, depositò un bacio poco sopra l'ombelico, provocandole dei brividi. Vide la ragazza sorridere a un gesto tanto dolce e decise di continuare, segnano un percorso lussurioso fino al collo, annullando la distanza tra i loro corpi.

Anneka gemette, sedendosi a cavalcioni sulle sue gambe.

Afferrò il viso di lui tra le mani, poggiando la fronte sulla sua.

«Hai fatto di nuovo quel sogno?» gli chiese, segnando delle linee immaginare sulle spalle muscolose.

«Si... E anche in questo non eri mia» sussurrò, riprendendo i baci da dove li aveva interrotti. «Adesso però voglio fare tutt'altro che pensare ai miei incubi...»

Insinuò una mano tra i suoi capelli lunghi, tirandoli dolcemente e lasciando così il collo completamente scoperto. Anneka inarcò i fianchi, facendo così scontrare la sua intimità con quella di lui.

«Levi...»

«...Mh?»

Mugugnò lui, accarezzandole la schiena e stringendo i fianchi in una morsa ricca di piacere.
Anneka spinse Levi ad appoggiare la schiena contro la roccia fredda, lasciando dei baci sui suoi pettorali segnati da cicatrici, mentre le dita sciolsero velocemente il nodo dei suoi pantaloni. Levi ansimò quando la ragazza sfiorò la sua erezione con il palmo della mano e chiuse gli occhi, inebriandosi di quel piacere.

«Io ci sarò sempre... Nei tuoi sogni e nella tua vita...» sussurrò a pochi centimetri dal suo orecchio, mordendogli il lobo.

Improvvisamente Anneka si ritrasse dal suo corpo, facendo materializzare un coltello dalla lama estremamente affilata sulla sua mano. Con la punta fredda segnò una linea dalla base del suo collo fino al centro dell'addome.

«Anneka...»

Con un sorriso sinistro stampato sulle labbra, conficcò l'arma sul suo petto, spingendo fino al manico.
Un dolore indescrivibile colpì Levi, annebbiandogli qualsiasi pensiero razionale.

«P-perché mi fai questo?» domandò lui, in preda gli spasmi del dolore.

«Perché te lo meriti» disse, prima di svanire come fumo colpito dal vento.

-È davvero esilarante vederti in questo stato! -

Caym era poco distante da lui, con un sorriso stampato sul volto.

«Non pensavo fossi così stupido nel ricadere in un inganno simile...»

Levi provò a estrarre il pugnale dal suo petto ma delle catene si materializzarono improvvisamente attorno ai suoi polsi, bloccando le braccia sopra la sua testa. Era inerme e alla completa mercé di quel mostro che credeva morto.

«Ah-ah! Dimentichi che qui siamo nell'inferno che io ho creato per te, quindi non puoi fare assolutamente nulla!» si inginocchiò alla sua altezza, afferrandolo per i capelli. «Vivere costantemente con la persona che odi più al mondo e farti tradire, dimostrando realmente ciò che sei... Stavolta mi sono proprio superato!» continuò, prima di tirargli due pugni dritti sullo zigomo destro.

Un rivolo di sangue nero scese da esso, ricadendo sulla pietra grigia.

«Qui non sei niente, sei privo di poteri magici e demoniaci. Qui sei succube del dolore, della paura, dell'angoscia e di tutti quei sentimenti negativi che opprimono la tua anima...» posò una mano sull'impugnatura dorata del pugnale, muovendolo delicatamente.

Levi cercò di non urlare per il dolore, tenendo le labbra serrate tra i denti.

«Sei talmente debole che non sei in grado di ferirmi neppure nel tuo stesso subconscio! Sai per quanto tempo sei andato avanti?»

«Perché... Caym...?» cercò di chiedere, sforzandosi di respirare.

«Non si risponde a una domanda con un'altra domanda!»

L'uomo gli tirò un altro pugno, questa volta sul naso, che prese a sanguinare copiosamente.

«Un mese... Sei resistito un mese in questo inferno, ripetendo sempre la stessa identica scena, credendo che ci sia ancora qualcuno disposto ad amarti» sputò, avvicinandosi al suo volto. «Tu non conti niente per nessuno! Guarda! Guarda dove sei finito per colpa delle persone che hai cercato di salvare!»

L'oscurità prese ad inghiottire quel luogo, costellato da stelle e tranquillità. L'aria sembrò farsi rarefatta, mentre una nebbia bianca prese ad avvolgere le loro figure.

Era questa la coscienza di Levi: un'indefinita oscurità, circondata da una nebbia di inettitudine.

«Perché ti ostini a fare l'eroe se tutti ti voltano la spalle?»

La sicurezza e l'arroganza, le uniche due compagne di vita di Levi, scivolarono via dal suo animo, facendolo ricadere in quel vortice di frustrazione e consapevolezza che, nonostante tutto, Caym aveva ragione. Nessuno si era preoccupato per lui e nessuno lo avrebbe mai fatto. Era debole e non gli restava altro che ammettere tale debolezza.

«Ti propongo un gioco: se mi dai la risposta giusta, ti libero da questo inferno. Va bene?»

L'ambiente attorno a loro cambiò nuovamente, diventando la sala di ricevimento di un palazzo antico: probabilmente il luogo in cui Caym si era nascosto per tutto quel tempo. L'uomo si sedette su un trono rosso e dorato, mentre Levi era a pochi passi dai suoi piedi, con i polsi e le caviglie incatenante al pavimento.

«Bene, prendo questo tuo silenzio come un sì. Iniziamo: sai chi ti ha mandato qui?»

«...Tu»

«Ah... Sbagliato!» rispose Caym, tirandogli un calcio sul mento.

Levi cadde sul pavimento, sbattendo la testa contro il marmo bianco. Il gusto metallico gli inondò la bocca e lo costrinse a sputare una grossa quantità di sangue dalle labbra.
Il demone inspirò profondamente, accavallando le gambe e chiudendo le mani dalle dita nere sullo stomaco.

«Okay, va bene... Dato che mi sento generoso, ti do un'altra possibilità. Avanti, dimmi chi è!»

Levi cercò di sussurrare una risposta che Caym però non riuscì a comprendere.

«Parla più forte, pezzo di merda!»

«N-non lo so...»

«Non lo so, cosa? Hai dimenticato di aggiungere due paroline...»

«Non lo so... M-mio signore...»

«Bene... Adesso ci siamo» sorrise. «Va bene, te lo dirò io!» disse, sollevandolo due dita e facendogli segno di avvicinarsi di più a lui.

Levi prese a strisciare sul pavimento, arrivando a pochi centimetri dal viso di Caym, il quale posò una mano sulla spalla, stringendola delicatamente.

«Theon ti ha mandato qui, facendoti bere il sangue di Lucifero» sussurrò, «ha pensato di salvarti dopo la maledizione di Namtar»

Levi sollevò lo sguardo verso Caym, ancorandolo ai suoi occhi.

«Oh... Non guardarmi così! Sto dicendo la verità»

«Tu menti! Per quanto possa odiarmi lui... Lui non farebbe mai una cosa del genere...»

Caym lo guardò, scuotendo la testa in senso di negazione. Sollevò un braccio davanti a sé aprendo come un piccolo schermo retroilluminato dalla quale presero forma alcune scene: era Theon, in Accademia, precisamente in infermeria; disteso, accanto a lui, il suo corpo inerme. Lo vide guardarsi intorno, prima di estrarre una piccola ampolla dalla tasca posteriore dei pantaloni e versare il contenuto vermiglio tra le labbra del ragazzo.

Levi non poteva credere ai suoi occhi.

Sapeva con certezza che Theon non aveva mai nutrito alcuna simpatia nei suoi confronti, ma mai si sarebbe immaginato che sarebbe arrivato a tanto. Sapeva che fosse a conoscenza delle conseguenze di quel gesto quindi perché lo aveva fatto? Perché lo aveva condannato a un destino tanto crudele?

«Avrai la possibilità di chiedere spiegazioni tu stesso dato che... Tra poco ti sveglierai!» disse, liberandolo dalle catene e dal pugnale.

L'uomo si sistemò comodamente sul suo trono mentre Levi si sollevò lentamente piano da terra, massaggiando i polsi indolenziti.

«Questa è l'ultima possibilità che ti concedo Levi: dovrai portarmi Anneka. Decidi tu il modo in cui guadagnarti la sua fiducia, ma l'importante è che me la porti viva. Intesi? Se deciderai di venire meno a quest'ordine, come l'ultima volta, ti trascinerò in un inferno talmente insopportabile che preferiresti essere scuoiato vivo.»

Levi rimase immobile, con lo sguardo fisso al pavimento.

«E che questo ti sia da lezione: tutti ti tradiscono, perché a nessuno importa di te. Ognuno pensa a sé stesso e dovresti farlo anche tu»

Aveva ragione.
Era arrivato il momento di mettere da parte le promesse fatte alla madre e cercare di farsi valere, facendo ciò che gli riusciva meglio: obbedire agli ordini e uccidere, se necessario.

«Va bene mio signore, prometto che questa volta non mancherò al mio impegno»

«Bene anche perché ricordati che voi due... Siete legati»

Disse, indicando le dita della sua mano sinistra.
Levi le sollevò davanti gli occhi, fissando il segno di quelle due linee sottili nere.

«Ci vediamo presto, mio caro»

Quelle furono le ultime parole che Levi sentì, prima di aprire definitivamente gli occhi in un luogo che non aveva mai visto. Il tetto spiovente in legno, le pareti in pietra grezza e la luce delle candele sparse per la stanza. La luna, alta nel cielo, illuminava debolmente il suo letto. La vista era annebbiata e sentiva il corpo intorpidito, quasi pietrificato, mentre avvertiva una presenza accanto a lui. Un ammasso di capelli scuri era appoggiato sulla sua spalla sinistra, mentre un respiro regolare gli colpiva la pelle nuda.

Cercò di muoversi, svegliando la persona che dormiva accanto a lui.

Riuscì a distinguere il contorno di quel viso, gli occhi leggermente a mandorla, di un verde smeraldo. Gli zigomi alti e le labbra carnose schiuse in un'espressione di stupore.

Allungò la mano destra, l'unica in cui avvertiva un minimo di sensibilità, e la posò sulla sua guancia: sentì le dita bagnarsi, segno che stesse piangendo.

«In questo momento non riesco a vederti ma... Sono sicuro che assomigli a un maiale» disse.

Helene posò una mano su quella del ragazzo che, con il pollice sulle sue labbra, avvertì un sorriso. La ragazza si fiondò tra le sue braccia, infilando il volto nell'incavo del suo collo magro.

Levi sorrise, avvolgendole le spalle con il braccio destro.

«Mi sei mancato...» sussurrò la ragazza.

Per quanto volesse sforzarsi, la certezza con la quale Caym aveva descritto la situazione in cui si trovava, non gli permise di credere a quella reazione: in quel momento, per lui, non esisteva altro che la voglia di evadere per sempre da quel luogo, lasciando dietro di sé tutto l'ammasso di inadeguatezza, rimorso, dolore che si portava dietro.
L'unica cosa che poteva fare nel frattempo, era fingere con suo padre, con Helene e persino con Theon, nello stesso modo in cui loro lo facevano.

«Da quando siamo così sentimentali?»

«Perché siamo amici e ti voglio bene!»

Amici.
Una parola che doveva contenere mille significati, che forse lui stesso aveva conosciuto in un tempo ormai troppo lontano.
Sensazioni troppo distanti per averne anche solo un ricordo.

«Perché cazzo non riesco a muovermi?!»

Sbuffò frustrato, cercando di cambiare discorso.
Sentiva il corpo completamente pietrificato e il fatto di non poter vedere, rendeva la sua frustrazione ancora più amplificata.
Sentì Helene muoversi accanto a lui e a seguire dei passi che si propagarono per tutta la stanza.

«Vado a chiamare Theon, lui saprà cosa fare»

Gli disse, prima di sentire la porta chiudersi con un tonfo. 

SPAZIO AUTRICE!

SORPRESA!
So che vi avevo detto che avrei fatto un aggiornamento doppio giorno 31 dicembre, ma i chili di pasta a forno non mi hanno permesso di concludere il capitolo in questi giorni! Ma adesso ci sono, con questo nuovo attentato alla vita di Levi 🙈
Ammetto che un po' mi fa tenerezza 🙊

Ma comunque!
Caym è di nuovo comparso e ha di nuovo fatto un casino (come suo solito), distorcendo i pensieri di Levi che, in un certo senso, aveva cominciato a comportarsi bene, dopo aver parlato con sua madre, salvando Anneka e seppellendo sua madre.
Secondo voi cosa farà adesso?
Quale sarà il suo piano?

Grazie mille per aver letto la mia storia!
Ci vediamo presto

-imsarah_98

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