𝑽𝑬𝑵𝑻𝑶𝑻𝑻𝑶
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La luce dei piccoli faretti a led attorno a lui lo costrinsero ad aprire gli occhi, sbattendo più volte le ciglia chiare. L'iride si strinse, mettendo a fuoco tutto ciò che lo circondava: riconobbe un luogo mai visto e dei ciuffi di capelli viola appartenenti alla ragazza che lo aveva spinto a commettere tutte quelle azioni deplorevoli.
Rose si mordicchiava le unghie lunghe senza spezzarle; e quel ticchettio dei denti contro lo smalto scuro sembrava dettare il tempo al rumore metallico delle forbici proveniente, invece, dal lato opposto.
Gli occhi blu guizzarono verso sinistra e le iridi si allargarono per il terrore non appena videro le dita di Caym all'interno del suo stesso petto, anatomicamente esposto.
L'uomo si accorse dell'accelerazione del cuore che stringeva tra le mani e subito sollevò il suo sguardo glaciale, incrociando quello atterrito di Theon.
I monitor presenti accanto a lui segnavano i parametri vitali con stridori di inflessione perfetta mentre un tubo, spesso quanto l'indice di un uomo adulto, percorreva un percorso snodato dalla macchina per l'ossigeno fin dentro la sua gola, consentendo ai polmoni di avere la giusta quantità d'aria.
Nonostante la sua funzione fosse quello di mantenerlo in vita, in quel momento stava svolgendo completamento l'opposto, impedendogli di conseguenza anche di urlare.
Tossì più volte, rantolando.
Ma Caym non ci badò molto; piuttosto si mostrò infastidito per quella piccola variante che non aveva considerato.
«L'anestetico non ha retto fino alla fine...» commentò il demone, più a sé stesso. «La prossima volta aumenterò la dose di cinque...»
La voce atona, coperta dalla mascherina chirurgica, gli arrivò alle orecchie distante: come un sussurro, durante un incubo senza fine.
«Ho provato a essere delicato ma hai dei muscoli che non sono semplici da incidere» si rivolse a lui, afferrando poi delle pinze divaricatrici e avvicinandole alla struttura spugnosa dei polmoni.
Theon aveva la perfetta visuale di sé stesso proiettata sullo specchio, dalla tinta leggermente opaca e ossidata, posto sopra di lui: disteso sul tavolo operatorio, freddo ed estremamente rigido, aveva tutti e quattro gli arti bloccati lungo i fianchi da nastri in pelle e gli organi, contenuti dalla cassa toracica, esibiti, come fossero carne da macello.
Probabilmente fu grazie a quel pizzico di anestesia ancora presente nelle sue vene che il suo stomaco non rigettò quel poco che conteneva.
«È un vero peccato che tu abbia aperto gli occhi» continuò Caym, alzandosi dallo sgabello in pelle e sfilando velocemente i guanti dalle mani affusolate «ti avevo preparato una bella sorpresa»
Caym uscì dal suo campo visivo e istintivamente Theon provò ad alzarsi, seguendo la parte meno razionale della sua mente, quella animalesca, quella di una preda che deve fare di tutto pur di scappare dal suo predatore.
Ma ormai non poteva, poiché era stato lui stesso a entrare in quella tana, spinto dalla curiosità di trovare un riparo o, più illusivamente, una via migliore per raggiungere il suo obiettivo.
In questo modo, non aveva fatto altro che uccidersi con le sue stesse mani.
L'unica via per la sopravvivenza, adesso, era sottostare alle leggi della natura:
"Una volta catturata e immobilizzata, la preda non può più scappare", gli aveva detto una volta la madre, liberando poi un coniglio dalla trappola dai denti aguzzi.
Ed era esattamente la sua posizione, con la sola e unica differenza che non avesse nessuno che lo liberasse.
«Ti conviene calmarti Theon o il cuore ti scoppierà. In tal caso, tutti i miei sforzi saranno stati vani – sospirò, tornando con il viso sopra il suo – Rose ha creato un fantoccio che sta tenendo compagnia a Helene e al suo Principe azzurro. Nessuno noterà la tua assenza, ma sicuramente noteranno la tua nuova essenza»
Un ghigno si posò su quel volto aquilino, mentre gli occhi azzurri dell'uomo si posarono su una scolopendra maculata, dai colori vividi e dalle mille zampe sottili e agitate.
L'insetto si contorse più volte prima di essere avvicinato alla superfice liscia del cuore di Theon.
Delle urla soffocate fuoriuscivano dalle labbra secche del ragazzo, mentre l'essere si intrufolava tra le cavità dei suoi organi vitali.
Delle lacrime di disperazione, miste a quelle di dolore, scesero lungo le guance spigolose, mentre le iridi erano fisse sul suo riflesso impotente.
Caym afferrò nuovamente dei guanti puliti e si sedette sullo sgabello rialzato, sotto gli occhi inorriditi non soltanto di Theon ma anche di Rose.
«La scolopendra è simbolo di coraggio e virtù, ciò che purtroppo tu non possiedi» il rumore del trapano per rimettere a posto la parte antecedente della cassa toracica riempì la stanza, insieme a quella spiegazione macabra. «Con questo, sarai finalmente inarrestabile e capace di ogni gesto...»
Theon non ascoltò oltre.
Percepì solo il pizzico dell'ago della siringa conficcarsi nella pelle del suo collo e l'anestetico mescolarsi al sangue delle sue vene stanche.
La sua unica preghiera, in quel momento, fu quella di non svegliarsi mai più, di rimanere in quello stato di completa solitudine e silenzio per sempre.
Solo così non avrebbe causato altro male, né a sé stesso e tanto meno agli altri.
Ma ormai, ogni suo pensiero e desiderio cadevano nel dimenticatoio delle menti antiche dei Primordiali.
Erano lamenti inascoltati, misti a quelli di chi, prima di lui, aveva osato sfidarli.
Essi erano onnipresenti, onnipotenti e onniscienti e, in un modo o nell'altro, avrebbero travato il modo di vendicarsi di tale affronto.
Con ogni mezzo in loro possesso, e in ogni modo da loro conosciuto.
****
La strada che avevano percorso per raggiungere il Moonknight Angel era stato un lungo viale alberato di Central Park, dai colori autunnali e dalla quantità di scoiattoli che Levi mai si sarebbe immaginato di incontrare in un luogo urbano.
Nonostante avesse vissuto per millenni in diversi parti del tempo, trovarsi in una metropoli in un così stato avanzato di tecnologia era una novità.
Una novità che non gli dispiaceva affatto poiché, a fargli compagnia, c'era Anneka.
Sembrava come se il destino si divertisse a giocare con lui, mantenendo attiva la presenza della ragazza in ogni sua nuova esperienza.
Non faceva altro che indicargli i diversi grattaceli che li circondavano, aggiungendo nomi e descrizioni di cose che poco gli importavano in quel momento, dato che la sua attenzione era stata totalmente catturata dall'espressione estasiata che aveva preso vita sul volto di lei.
In quei mesi in cui non aveva fatto altro che vederla nelle vesti di un vero e proprio ritorno al passato, Anneka sembrava finalmente brillare.
Anneka sembrava essere finalmente sé stessa e Levi aveva avuto modo di notare alcune caratteristiche che lo avevano portato a ricredersi, a ripensare al modo in cui si era comportato e ad aprire la sua mente a qualcosa che andasse oltre a quel prima, al quale era inevitabilmente legato.
Si accorse di quanto fosse stato immaturo e di quanto quella sofferenza lo avesse offuscato e limitato.
Vivendo, seppur in poco tempo, in quella realtà, aveva capito di dover andare avanti e di non possedere alcun motivo per continuare a pensare al passato, perché mai come in quel momento aveva la certezza che non si sarebbe più appropriato dei suoi giorni.
«Vedi quella fontana laggiù? Solitamente in estate l'albero diventa talmente tanto folto che non passa un solo raggio di sole! Era lì che andavo a studiare insieme alle mie amiche»
Si ammutolì all'improvviso e questo distrasse Levi dai panni del classico turista con le cuffie e con la propria cassetta a raccontargli la storia di tutto ciò che lo circonda.
«Che succede? Non hai più nulla da esporre?» chiese, cercando di ironizzare.
Ma ciò non bastò ad allontanare quello sguardo malinconico che le velò improvvisamente gli occhi.
«No, è che... È la prima volta che mi interfaccio effettivamente con la mia vita... Prima di tutto questo» si giustificò, inspirando profondamente. «Ma non voglio rovinare la serata! Procediamo verso la nostra tappa!»
Levi avrebbe voluto chiederle altro, dare sfogo a quella curiosità inedita che si era impadronito dei suoi pensieri, ma preferì tacere, seguendola oltre l'altro lato della strada.
Si fermò dietro alcuni ragazzi, in attesa di entrare nel locale.
Il bodyguard vestito di tutto punto squadrò ogni ragazzo, prima di porre un timbro su dorso della loro mano.
Quando arrivò il loro turno, Anneka sorrise amabilmente, facendo qualche battuta che permise a Levi di accedere al locale, nonostante i suoi abiti non fossero formali: per quanto potesse sembrare strano, la maggior parte dei locali presenti nelle vicinanze di Central Park esigevano un dress code abbastanza serrato, ma questo non era una cosa alla quale aveva pensato Anneka. Conoscendo Levi, sapeva con certezza che non avrebbe mai messo in valigia qualcosa di elegante.
«Sbaglio o mi hai appena fatto passare per uno stupido europeo?»
«Non stupido, semplicemente un turista non a conoscenza del dress code dei locali newyorkesi»
«Ho vissuto in molti posti del mondo, conosciuto molte lingue e culture, ma non sono riuscito a capire una sola parola di ciò che hai detto»
Anneka rise annunciando poi al barista due Cosmopolitan, prima di sedersi sullo sgabello alto e rivestito in pelle nera.
Erano talmente vicini che Anneka dovette incastrare le proprie gambe tra quelle di Levi ma quel contatto non sembrò dare fastidio a nessuno dei due.
Il ragazzo era completamente assorto in tutta quella novità che lo circondava e Anneka ebbe modo di osservarlo attentamente, cercando di non farsi notare.
Il modo in cui era vestito, il suo essere calmo e spiccatamente emozionato, le fece pensare a cosa sarebbe successo se si fossero incontrati in circostante diverse, più normali.
Forse si sarebbero conosciuti distrattamente in facoltà, avrebbero bevuto qualche drink, passato alcune serate insieme e chissà, magari non ci sarebbe stato nulla tra di loro.
O magari tutto.
Era un destino che non le era dato sapere, ma era pur sempre qualcosa su cui poteva sognare.
Per quel motivo, decise di godersi quelle poche ore a disposizione da vera newyorkese, cercando di divertirsi e di non pensare ai suoi doveri. Almeno per una notte.
D'altronde, era lo stesso obiettivo di Levi.
Quando il barista posizionò i due bicchieri alti, contenenti un liquido rossastro, Levi lo osservò stizzito, prima di rivolgersi ad Anneka.
«Suppongo tu non abbia mai visto il film Sex and the City»
«Non so neanche cosa sia un film»
«Oh mio... Ci sono talmente tante cose da recuperare che non so da dove iniziare!» afferrò il suo calice, indicando a lui di fare lo stesso. «Dedichiamo questo brindisi al fatto che, una volta terminata questa storia, faremo tutto ciò che non hai mai potuto fare!»
I bicchieri si scontrarono ancor prima che Anneka si accorgesse di ciò che le sue labbra avevano pronunciato.
Levi sorrise, sorseggiando il drink.
«Sono proprio curioso di sapere cosa mi farai... fare»
Ma a quella battuta, seguì un silenzio imbarazzato, salvato dall'inizio della musica che prese a fuoriuscire dalle casse presenti sul tetto di tutto il locale.
Lo speaker annunciò una serie di eventi che si sarebbero susseguiti durante la serata, inclusi anche i vari quiz imbarazzanti e di prove.
Il primo di quella serie di attività fu il karaoke, un avvenimento alla quale Levi non aveva mai assistito.
Il modo il cui si portava le mani davanti alla bocca per coprire il suono delle sue risate causate dalle scarse doti canore di chi si improvvisava cantante per una sera, fu una delle scene che mai Anneka si sarebbe aspettata di assistere.
Dopo vari drink e svariate attività successive, la mezzanotte era volava via e sul palco avvenne il momento delle esibizioni da parte delle band emergenti e fu un momento davvero estasiante per Levi, il quale rimase senza parole.
Il suo sogno era sempre stato quello di imparare a suonare il violino alla perfezione e la sua mente iniziò a vagare sul fatto che potesse esistere, forse, un futuro in cui anche lui sarebbe potuto salire su quel palco e esibirsi difronte a quelle persone.
In quel futuro e con quelle tecnologie esistenti, avrebbe potuto perfezionare la sua tecnica.
E per un attimo si perse in quell'ottimismo, quel luccichio di speranza che sembrò contagiare anche Anneka, la quale si avvicinò a lui.
«Ti diverti?»
Chiese, sussurrandogli all'orecchio.
Levi si girò velocemente, facendo scontrare appena i loro nasi.
Anneka fissò istintivamente le sue labbra piene, sbilanciandosi.
Lo sfavillio presente negli occhi di entrambi sembrò pulsare in tutto il loro corpo, risvegliando istinti e pensieri che mai avrebbero pensato di possedere.
E quell'improvvisa chimica, generata forse dal troppo alcol e dalla presa che lentamente andava scemando sui loro freni inibitori, si sarebbe potuta manifestare se solo un flash non avesse interrotto quel momento.
Una ragazza di bassa statura e dai capelli lunghi fin sotto le orecchie, si nascondeva dietro una polaroid, la quale si beffò di loro mostrando una foto, che pian piano prendeva colore, in una linguaccia.
Anneka si voltò improvvisamente verso di lei, rizzando la schiena per prendere immediatamente la distanza da Levi ma non fece in tempo a dire qualcosa che le parole le morirono in bocca, pesanti come la costatazione che quella era una delle sue migliori amiche.
Clio abbassò la macchina fotografica, mostrando il suo viso da hawaiana: il color caramello della sua carnagione sembrava spiccare di più a causa del suo completo blu acceso. Degli enormi orecchini pendenti sfioravano il tessuto della giacca e sembravano riflettere il colore rossastro non soltanto del rossetto ma anche delle sue guance, che divennero via via sempre più evidenti a causa dell'imbarazzo.
«Sono stata incaricata come fotografa della serata per via di un progetto della mia università» spiegò velocemente. «Siete nuovi in città? Non vi ho mai visti!» continuò, sorridendo sempre in maniera dolce.
Anneka non face altro che fissarla, cercando di immagazzinare il più velocemente possibile tutti i dettagli di quel volto, almeno per un'ultima volta. E per quanto volesse parlarle e chiederle come stesse, se avesse vinto quel concorso di fotografia e come fosse andata la vacanza in Spagna, nulla uscì dalle sue labbra.
Quelle parole, frenate dallo stupore, si scontrarono con il duro muro della verità: Clio non l'aveva riconosciuta.
Levi, osservando la scena, capì cosa stesse succedendo e per questo decise di dare sfoggio del suo francese, sperando di alleggerire quella situazione dall'imbarazzo che si era venuto a creare.
«Désolé mais nous ne parlons pas anglais, mais nous vous remercions pour la photo» disse, prendendo la fotografia dalle mani piccole della ragazza e cercando di sorridere nel modo più gentile che conosceva.
Clio cercò di arrangiare delle scuse in francese a sua volta, ma venne interrotta da un'altra ragazza, dall'aspetto più mascolino, che le mise un braccio sulle spalle, rimproverandola sul fatto di non dover fare foto senza chiedere prima il permesso, come se fosse una madre con la propria figlia.
«Je suis désolé si mon amie vous a dérangé, elle ne sait pas comment se comporter. Bonsoir et encore désolé» disse, sorridendo e allontanandosi velocemente.
Levi si voltò verso Anneka, i cui occhi erano fissi sulle due figure che pian piano si erano riunite a un altro gruppo, poco distante.
Il ragazzo non potè fare altro che terminare il suo drink e trascinarla via da quella situazione.
Per quanto avessero avuto la possibilità di dimenticare il vero motivo per cui avevano intrapreso quel viaggio e di godersi quegli attimi, il destino era sempre in agguato, così come i Primordiali.
I loro occhi, presenti in ogni attimo del tempo.
«Stai -»
Lei si voltò, con il volto rigato dalle lacrime e un sorriso presente sul viso.
«Anneka...»
«Levi... Va bene così. È stata la cosa più giusta: in questa storia loro non avrebbero senso e sapere che Caym non le ha toccate, che le ha lasciato vivere la loro vita mi rende estremamente felice. Certo, mi fa male sapere che le mie amiche non sanno più chi sono ma avrò i miei ricordi a farmi compagnia ogni qualvolta mi mancheranno»
«Avremmo dovuto dirtelo»
«Già, avresti dovuto» sussurrò, prima di tirare su con il naso. «Hai fame?» chiese, allungando una man verso di lui. «Prima di andare via, dovremmo gustarci un hot-dog in uno dei camioncini più buoni di New York!»
Levi la osservò e titubante intrecciò le dita con le sue, facendosi trascinare davanti a quel carretto fatiscente, dai colori sbiaditi e dall'aspetto per niente appetitoso. Ma l'odore dei würstel sulla piastra, gli fecero dimenticare di tutto il resto.
Anneka ordinò due hot-dog completi e nel giro di qualche minuto si sedettero su una panchina, nel silenzio insolito della città che non dorme mai.
Soffiando sul panino, lo addentò lentamente e lo stesso fece Levi.
Un'esplosione di sapori avvenne all'interno della sua bocca, sapori che non aveva mai avuto l'onore di assaporare. Non badò molto al fatto che era caldo, infatti lo divorò velocemente, voltandosi poi verso di lei che, inevitabilmente, scoppiò a ridere.
«Non era troppo grezzo per il tuo palato raffinato?» lo prese, masticando un altro boccone.
«Decido io cosa sia raffinato per me, e questo lo è sicuramente» si difese, gettando la carta sporca all'interno del cestino in metallo.
Levi si sedette più comodamente sulla struttura in ferro e osservò l'ambiente che lo circondava.
«Quindi è questo il tuo mondo? Grandi posti e hot-dog?»
«Già»
«Cosa ti manca di più?»
«Rispondere con tutto è esagerato?» disse ridendo. «Dopo la morte di mia madre, il mio unico pensiero è la vendetta. Io devo farcela per lei e solo quando sarò riuscita nel mio intento, potrò davvero godermi questa vita, anche se lei non sarà qui presente per assistere»
«Carorum adsunt in vita et in morte» rispose Levi. «Le persone care sono presenti in vita e in morte» tradusse. «Mia madre me lo diceva sempre»
Anneka lo osservò e inspirò profondamente.
Detestava momenti come quelli.
Momenti in cui Levi diceva la cosa giusta, al momento giusto.
Detestava essere collegata a lui emotivamente e odiava il fatto di non capire se quella tranquillità scaturita dalle sue parole fosse dovuta al legame o a lui stesso.
Ma, d'altronde, d'ora in avanti poteva fidarsi solo di lui e di nessun altro.
Costruire un rapporto sano e basato almeno su un briciolo di fiducia, era ciò che serviva per quel viaggio che stavano per intraprendere.
Per questo, decise di cavalcare quell'onda di confessione e di chiedere, per l'ennesima volta, qualcosa che lo riguardava.
«E a te, invece, cosa manca di più?»
Levi gettò la testa indietro, osservando il cielo completamente nero.
«Alza lo sguardo» gli disse, indicando un punto indefinito nel cielo. «Vedi le stelle?»
«No»
«Ecco, è questo che mi manca»
«Le stelle?»
«No»
«E allora?»
«La luce» sorrise, continuando a fissare quel manto buio. «A me manca la luce proprio come a questo cielo mancano le stelle» disse, guardandola dritto negli occhi. «È una cosa di cui capisci l'importanza solo una volta che ne vieni privato, soprattutto quando non c'è nulla al mondo che te la possa ridare»
****
«Avvisiamo i gentili passeggeri che il volo 78980 diretto a Praga è pronto per il decollo. Effettueremo uno scalo all'aeroporto di Zurigo dopo aver viaggiato per 7 ore a bordo di questo aereo. Una volta atterrati, i signori passeggeri attenderanno in un'area riservata fino alla partenza da Zurigo per Praga. Vi ringraziamo per aver scelto di viaggiare con...»
Edgar non ascoltò oltre tale annuncio.
Aprì il suo taccuino e segnò l'orario di arrivo a Praga, ripassandosi anche tutti i vari appunti sulle cose che avrebbero dovuto fare una volta arrivati a Hrensko.
Quel paesino era un posto perfetto per creare una via di fuga nel tempo.
Nonostante ogni cosa era stata organizzata nei minimi dettagli, c'era sempre qualcosa a preoccuparlo.
Voltandosi verso i due posti occupati da Levi e Anneka, notò che i due non avevano parlato né a colazione né tantomeno durante il viaggio in auto. Non si erano punzecchiati e non aveva chiesto nulla riguardo la loro missione.
«Allora, siete pronti?» decise di chiedere con un entusiasmo che poco venne condiviso, sistemando il cuscino da viaggio dietro il suo collo.
Anneka gli sorrise per cortesia, annuendo debolmente e ritornando con gli occhi sullo schermo del sedile posto difronte a lei, intenta a scegliere qualche film da guardare durante il volo per poi coprire le orecchie con un paio di cuffie.
Levi, invece, per l'ennesima volta, si immerse in quelle pagine ingiallite, ignorandolo completamente.
Edgar inspirò profondamente, prima di rassegnarsi a quella situazione.
Afferrò il flaconcino di calmanti e ne prese alcune gocce.
Chiudendo gli occhi, pregò i Primordiali di non giocare troppo con le loro vite.
SPAZIO AUTRICE
Buon pomeriggio miei cari lettori! Ebbene sì, sono tornata dopo una lunga pausa causata non soltanto da un blocco improvviso, scaturito forse dall'imminente fine di quest'opera, ma anche da diversi impegni privati e universitari che mi hanno impedito di dedicare il mio tempo a One of us.
Detto questo, sono contenta di essere tornata e spero lo siate anche voi!❤️
Purtroppo, One of us sta per giungere al termine ed è appunto questo capitolo a sancire la fine di questo primo arco narrativo e l'inizio di un secondo che prenderà piede nel prossimo capitolo per poi continuare con la seconda parte di OOU che spero di pubblicare dopo l'estate.😍
Ma torniamo a noi.
In questo capitolo non succede molto ed è appunto per questo che non lo ritengo uno dei miei preferiti (infatti è stato molto difficile scriverlo), ma vediamo all'inizio come Theon si ritrovi a pagare le conseguenze delle sue azioni e alla fine di come Levi e Anneka si avvicinino sempre di più, senza però comprendere se sia dovuto al Legame o a qualcos'altro.
Adesso, vorrei chiedervi: secondo voi, Theon, si merita tutto ciò? Se sì, per quale motivo? E Anneka e Levi approfondiranno il loro rapporto o rimarranno in bilico tra una crisi e l'altra?
Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina! ⭐
E se volete farmi sapere cosa ne pensate, sarei contenta di leggere i vostri commenti! ✍️❤️
Buona serata!❤️
-imsarah_98
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