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Capitolo 9

Le sue parole mi fecero ripensare a mio nonno.

"E di tanto in tanto ricorda a loro e, soprattutto a te stessa, che non gli appartieni."

Lui in fondo aveva solo fatto qualcosa che, di tanto in tanto, facevo io stessa: era stato esattamente come gli altri lo volevano. Aveva cercato di cavarsela.

Forse però lui aveva dimenticato di appartenere a sé stesso. Chi poteva biasimarlo però? Certe volte sparire era troppo comodo per essere anche utile.

La mia attenzione tornò alla gatta ai suoi piedi. Faceva le fusa ma non perché fosse rilassata, anzi, riuscivo a vederlo chiaramente: era tesa. E sicuramente molto più di quanto non avessero notato gli altri.

Le pupille le si erano improvvisamente dilatate al punto da ricoprire quasi del tutto il giallo delle iridi.

Non osava batter ciglio e le sue orecchie guizzavano verso ogni direzione nel tentativo di riconoscere ogni genere di suono o rumore.

Eppure, continuava a farsi coccolare. Come se, qualunque cosa lei stesse ascoltando, non dovesse assolutamente arrivare alla mente del ragazzo. Cosa diavolo prendeva a quella creatura?

«Bene. Allora mi dispiace informarti che non puoi esserci d'aiuto.» rispose quell'uomo misterioso con il tono spento di un impiegato annoiato.

E, dopo quella frase, tutto successe in una frazione di secondo.

La figura aveva parlato con una voce talmente apatica da non far intuire neanche minimamente la sua prossima mossa. Come avremmo mai potuto prevedere ciò che sarebbe successo dopo? Non era scontato, o normale. Eppure qualcosa nei suoi occhi lo rese chiaro quasi subito. Fu terrificante.

Il tizio tirò qualcosa di sottile e argenteo fuori da una tasca e lo lanciò fulmineo verso Greg.

In un attimo sangue caldo schizzò ovunque.

Liam scattò indietro.
E io, invece, non mi mossi di un millimetro. Come avrei potuto?

Portai un piede all'indietro ma non osai fare neanche quel piccolo passo.

Sentii lo stomaco contorcersi e ribaltarsi a quella vista e ci volle un lunghissimo secondo perché mi accorgessi di star trattenendo il fiato.

Lasciai che l'ombra di un respiro minuscolo e tremante uscisse dalle mie labbra. Poi la voce di Liam ruppe il silenzio, spezzandosi durante l'unica parola che pronunciò.

«Lydia...»

Mi resi conto di avere sua cugina qualche metro alla mia destra.
Con la bocca aperta e uno strano verdognolo a colorarle il viso. Fissava la gola tagliata del ragazzo.

Raff era poco dietro di lei che stringeva i pugni e per un secondo sembrò che esistessero solo il sangue e quella strana figura nella penombra davanti a lui. Poi spostò lo sguardo sulla ragazza dai lunghi capelli corvini e gli occhi azzurri e sconvolti. Appena in tempo per vederla cadere in ginocchio.

Un istante solo e fu al suo fianco sulla terra ancora rossa e umida. La mano destra ferma sulla sua fronte, mentre la sinistra le teneva delicatamente i capelli.

Cercava di aiutarla. E allora perché io lo trovavo solo disgustoso?

Liam si avvicinò quasi subito.
Io invece mi limitai a fare quel passo indietro stavolta.

Non m'interessava di avvicinarmi al corpo ancora agonizzante di Greg o alla ragazza terrorizzata.

Non se potevo invece andare via da quella scena. Dissolvermi nel nulla che aleggiava sulla foresta. Sgattaiolare da qualche altra parte. Sparire un'ultima volta, prima che quell'uomo mi trovasse e mi facesse fuori.

Perché, certamente, l'avrebbe fatto. O forse sarei rimasta nascosta ad aspettarlo. Troppo orgogliosa (e certo stupida) per non tentare di fargli rimpiangere il giorno in cui mi aveva quasi spaventata.

Seppi da subito di dover trovare il modo di aiutare ma sembrò non essere proprio mai stato nella mia natura. E forse era vero.

Non ero una persona che aiutava, se non sé stessa, ovviamente. In qualche modo dovevo pur aver fatto per sopravvivere fino a quell'età.

Poi qualcosa mi colpì: uno scintillio nel mezzo della ferita sanguinante di Greg.

Il ragazzo aveva smesso ben presto di stringersi la gola tra le mani, lasciando che il sangue, di quello che ormai era solo un cadavere, sgorgasse lontano da lui.

Lasciai andare ogni tensione e, silenziosamente, mi avvicinai.

La pozza in cui annegarono le suole delle mie scarpe non fece il minimo rumore. Nessuno si accorse di me. O non subito almeno.

Il mio sguardo si perse nel luccichio. Ogni rumore esterno sempre più ovattato e lontano.

Soltanto dopo una voce si fece strada nel silenzio senza però risultare troppo chiara.

«Tu! Non...»

Non riuscii a capire di chi fosse, ma nemmeno mi interessò.

C'era qualcosa di più interessante a cui pensare.

Mi ritrovai con un piccolo bastoncino d'argento insanguinato tra l'indice e il pollice.

Non più di qualche millimetro come spessore e notai facilmente come man mano si assottigliava sulle estremità.

Sembrava... un ago, pur essendo troppo grande.

Osservai per un po' il modo in cui rifletteva la luce. Mi concentrai sul peso che aveva nella mia mano. Su quanto fosse bilanciato. Su quello strano slancio che sembrò avere anche da fermo.

Poi un brivido percorse la mia schiena quando qualcuno me lo strappò di mano.

«Ho detto di non toccarlo.»

Un uomo dal viso severo e abbastanza giovane, con lunghi capelli bianchi come i suoi vestiti. E che vestiti poi. Chi cuciva certa roba? Candidi e perfetti ma completamente assurdi.

La giacca bianca pesante aveva una coda di rondine lunga fino ai talloni ma anche la chiusura di un semplice gilet. Sotto di essa, dalla scollatura, si vedeva qualcosa di simile a un lupetto.

Pantaloni sempre bianchi. E scarpe del medesimo colore. L'unica cosa a spiccare, in effetti, erano i ricami dorati a nascondere le cuciture della giacca.

Ma perché guardarlo da vicino mi diede così fastidio? Che mi aspettassi davvero un aspetto normale dopo ciò che aveva fatto?

Mi fissò con sguardo truce. Poi rimise il bastoncino in tasca senza curarsi di pulirlo e sporcando di rosso la linda stoffa.

Nella mia testa balenò un unico pensiero.

Sii come loro ti vogliono.

Aveva ucciso Greg perché non poteva essergli d'aiuto, quello che voleva erano bestie docili e poco problematiche.

E così, la risposta più logica uscì dalle mie labbra prima che potessi soppesarne il significato.

«Mi scusi.» dissi.

Del lei... davvero? Mi sorpresi di me stessa.

E l'uomo assunse un'aria più compiaciuta ma non sembrò fidarsi. Mi lasciò erroneamente intravedere, però, quanto fosse pieno di sé.

Il rispetto, finto o vero che fosse, poteva essere il suo punto cieco.

Mi sarebbe piaciuto concentrarmi solo su quello strano assassino. Ricavare qualche informazione su chi fosse e cosa volesse. Ma ci fu qualcosa a distrarmi.

Una sensazione. La sensazione di essere osservata. E capii all'istante di chi fosse la colpa.

Girandomi notai Liam, Raff e Lydia fissarmi inorriditi. Era la quantità di sangue sulle mie mani a disgustarli. E bastò che mi accorgessi di avercelo perfino sui vestiti per capirlo. Sentii lo stomaco ribellarsi a tutto ciò che avevo scelto di fare quella notte.

Cosa sto combinando?
Avvicinarmi al corpo morto di Greg come niente. Scappare davanti a Lydia quando tutti cercavano di aiutarla. Fermare Liam quando stava per...

Mi bloccai.

Quando stava per interrompere quei due!
Se fossimo arrivati avrebbe smesso di parlare! Magari il discorso sarebbe finito lì e lui sarebbe potuto scappare.
L'ho fermato io... Sono stata io ad impedire a Liam di avvicinarsi. È...

No. Per un istante mi mancò il coraggio di completare quell'innocuo pensiero.

È colpa mia. E tutto solo perché ero curiosa di vedere cosa faceva la gatta!

Fu in quel momento che sentii il suo pelo bianco strisciare sui miei pantaloni. Provai a trattenere un brivido ma non servì a nulla.

E dopo aver provato imbarazzo, senza sapere neanche per che cosa, ricordai a me stessa la situazione in cui eravamo tutti, ovvero: davanti a sconosciuti.

Ricordai quindi il modo in cui questi stessero reagendo. E il modo in cui avrei dovuto reagire io.

Ero troppo visibile. Il bersaglio perfetto per l'odio degli altri. Che in fondo, la colpa a qualcuno avrebbero pur dovuto darla.

Uscii lentamente dalla pozza di sangue e cercai di ricompormi, per quanto fosse possibile.

Fui contenta di constatare di non avere lacrime agli occhi né tremori. Non ancora almeno. Ma ero stata, fin troppo, ferma a fissare il corpo e ciò poteva bastare a tradire il mio panico. Certo, magari sarebbe parso anche normale ai loro occhi. Ma solo fastidioso a quelli dell'uomo.

Oltre a tutto ciò, poi, ci fu anche la confusione lasciata dal senso di sicurezza che mi aveva provocato tenere in mano quell'asticella d'argento.

L'uomo vestito di bianco e ricami parlò ancora.

«Vi spiego la situazione» Aspettò una risposta che non arrivò mai. Poi continuò.

«Voi siete miei.» Si limitò a guardarci.

Ah be'... se è così allora... Presi a deriderlo forse proprio per recuperare un po' della mia solita indifferenza. Avevo bisogno di lucidità.

«Io vi addestrerò a combattere per quello che è giusto» Proclamò convinto.

Quindi quello che a te sembrerà giusto. Lo corressi tra me e me.

Mi sembra giusto... Sì, molto giusto.

«È così che ripagherete il vostro debito. Morirete combattendo o sarete voi a uccidere i vostri nemici.» continuò ancora.

Ripagheremo un debito che non è nostro e uccideremo i tuoi nemici quindi. Già... Sempre più giusto.

Avevo il cuore a mille ormai.

«E se almeno uno di voi si guadagnerà il diritto di porre delle richieste... in quel caso, potrete chiedere di tornare a casa o qualunque altra cosa vi passi per la testa»

Diritto?

«Non vi sarà permesso sottrarvi ad allenamenti e lezioni. Non vi sarà permesso rifiutarvi. Non vi sarà permesso avere paura.»

E da lì il silenzio la fece da padrone per qualche secondo.

Mi presi un momento per osservare gli altri qualche passo dietro di me.

Nessuno sembrò avere la minima intenzione di dire niente. Ma cos'avrebbero potuto rispondere a quella serie del tutto insensata di divieti?
C'era già stato un omicidio in fondo.

E, che lo vogliate o no... Non ce ne saranno altri. Pensai trovando estremamente facile la mossa successiva.

Feci un passo avanti, guardando l'uomo dritto negli occhi. Lui non distolse lo sguardo. Anzi, sembrò voler verificare se ce l'avrei fatta io. Mostrare timidezza fortunatamente non fu tra i miei programmi. Non proprio in quel momento almeno.

«E quando iniziamo?» chiesi quindi fintamente diplomatica.

Lui sorrise, assumendo un atteggiamento all'apparenza perfino gentile.

«Va bene anche ora.» disse.

Quindi... adesso si potrebbe pensare che accettassi tutto ciò, e in effetti sarebbe stata la via più utile. Eppure, fui convinta di poter escogitare qualcosa per fregare quel tizio.

Mi sarebbe solo servito più tempo. Una mente più lucida. Magari più lontana dal cadavere.

Ci fece aspettare non troppo lontano dalla carcassa mentre lui scorrazzava per il bosco cercando chissà cosa.

Avremmo potuto scappare, certo, ma con quale fine? Se non fossimo tornati per nostra scelta, sarebbe stata la luna a farci tornare la sera dopo.

Ci sarebbe servito un piano. E sicuramente più dettagli su che diavolo di cervello avesse quell'uomo.

Quando tornò, un coniglietto era nel panico non potendo liberarsi dalla sua presa.

Lui ci diede una rapida occhiata, poi porse il tenero roditore a Lydia. La ragazza lo prese senza alzare mai lo sguardo sul viso del tizio che...

«Uccidilo» disse.

Come avevo detto, ecco il capitolo di oggi.
E ora che avrete letto questo capitolo "leggero e spensierato", se vi va, votate la storia e suggeritemi dei miglioramenti.😁

(Mi trovate su instagram con diversi meme sulla storia: @kuma272_wattpad)

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