Capitolo 68
Mi sembrò tutto troppo sfocato.
Sentii gli occhi bruciare come avessi la febbre altissima. Eppure non avevo minimamente voglia di restare a dormire. Il problema fu che non ne avessi neanche di alzarmi.
Una tragedia; avevo da fare. Dovevo andare a lezione e dovevo farlo in questo stato... Una fottuta tragedia.
Ci volle un po' perché mettessi finalmente a fuoco la stanza. Poi la riconobbi.
Il color legno più caldo e saturo dell'arredamento ammassato. L'arancio tenue delle pareti di quell'unica, piccola stanza. E, infine, quell'altarino composto da poche mensole e ricordi di persone uccise dalla stessa persona che lo teneva in casa.
Non ero in camera mia... Ed ecco il motivo per il quale la mia povera schiena continuava a maledirmi. Non si era neanche sprecato a mettermi a letto. Mi aveva lasciata su un tavolo in mezzo a quel caos di un ripostiglio.
Be', sai cosa? Per adesso mi sta bene. Tavolo sia. Pensai richiudendo gli occhi.
Quanto avrei voluto riuscire a tornare a dormire. Forse avrei potuto... Poi mi ricordai perché fossi lì. Fui tentata di controllarmi almeno il fianco tastandolo con una mano ma... no. Avevo troppo sonno e troppo poca voglia di alzarmi. Sentivo di poter ignorare facilmente anche la luce calda e dorata che arrivava dalla piccola finestrella nella stanza.
Luce dorata... Riflettei. Il sole stava tramontando? Be', tanto meglio, avrebbe voluto dire che le lezioni erano già finite. Perché piangere sul latte versato? Le avevo già saltate. Adesso potevo concedermi una dormita a cuor più leggero.
O almeno lo sperai, ma...
«Riesci a muoverti?» Gli sentii chiedermi.
«Mh... lasciami stare.» Mi lamentai.
Fossi stata solo un po' più lucida avrei taciuto piuttosto che rispondergli a quel modo.
Boom! Una bastonata a punzecchiarmi con forza il braccio destro.
«Riesci a muoverti.» Constatò lui guardandomi stringere l'arto dolorante a me.
«Mhrh...»
«Alzati.» Ordinò.
Non mi mossi.
Boom. Seconda pungolata. Stavolta in piene costole.
Strinsi forte gli occhi e ansimai. Con cosa cazzo stava colpendo? Un attizzatoio?
«Alzati.» Ripetè.
Stavolta non ci pensai due volte e, nonostante aprire gli occhi mi avesse sfiancata, io ci provai a obbedirgli. Riuscirci però... no, quello mi sembrò infattibile.
Sentii la testa girare come gli spaghetti di mia nonna quando il condimento finiva sotto. La pelle del mio fianco sinistro tirare come se improvvisamente fosse diventata di due taglie più piccola. Stava per stracciarsi?
Così mi fermai restando a metà tra lo stare seduta e l'essere sdraiata. Appoggiata con le mani al legno solido.
«Avanti!» mi "incoraggiò" lui con un altro colpetto sul braccio.
Presi un respiro prima di mettermi composta. E buttando un occhio al mio fianco e alla gamba, ormai straziati, ringraziai di aver messo vestiti vecchissimi.
Aveva ritagliato un enorme buco nel tessuto dei pantaloni per scoprire la ferita. La felpa invece credetti gli fosse bastato alzarla.
Rimasi interdetta nel guardare la mia pelle nei punti appena curati. Neanche l'ombra di punti di sutura, né, tantomeno, di cicatrici.
Solo gigantesche irritazioni. Striscie simili ai segni lasciati da qualcosa di ruvido strofinato con forza sulla pelle.
Ecco perché tira... Pensai impressionata da quelle striature arrossate.
«O così, o su quel tavolo ci saresti rimasta.» disse lui senza il ben che minimo tatto.
«Gli elfi non suturano così.» Mi permisi di obbiettare.
«Gli elfi no. Gli stregoni sì. Adesso alzati.» Ordinò.
Panico. Aveva chiamato uno stregone? Gli elfi non facevano domande né parlavano troppo... Ma gli stregoni? Chi diavolo ne aveva mai visti? E se fossero stati delle lingue lunghe? Ero fregata.
«HAI CHIAMAT-» Presi a sbraitargli contro.
«Non ho chiamato proprio nessuno. Adesso fa' silenzio. E alzati.» Mi zittì.
Mi ci volle un secondo per elaborare il tutto.
«Tu...?» azzardai.
«Non sono stato chiaro? Ho detto alzati.» disse ancora portandomi l'attizzatoio sotto il mento e sollevandomi meglio la testa.
Non ti addolcisci neanche quando si parla di te eh? Cercai di prenderlo in giro.
Respirai. Poi mi misi in piedi a stento, portando comunque il peso quasi esclusivamente sulla gamba sana.
«Ho sonno.» mi lamentai.
«Passerebbe se ti domandassi cosa ti sarebbe successo se ti avessi lasciata dormire.» rispose acido.
Rassicurante. E ancora una volta mi lanciai nel sarcasmo con il solo scopo di non prenderlo a testate.
«Cammina, su.» disse lui.
E mai l'avessi fatto. Dopo appena due passi il ginocchio sinistro decise di lasciarmi da sola... per terra.
Eppure, nonostante la botta con il terreno, potei godermi la soddisfazione di far sobbalzare l'Assassino. Chi l'avrebbe mai detto, allora era davvero possibile coglierlo di sorpresa?
Lo guardai poi inginocchiarsi per prendermi sottobraccio. E lì qualcosa esplose nei meandri più oscuri del mio cervello.
«NO, FERMO!» urlai ancora prima di capire il significato di quel gesto.
E lui improvvisamente sembrò ricordarsi di quel mio piccolo, anzi piccolissimo, insignificante, problema.
«Ce la faccio da sola.» riportai la voce a un volume più consono.
Mi rialzai aggrappandomi al tavolo, per poi risedermici. L'uomo invece prese uno sgabello che sistemo proprio di fronte a me.
«Allora?» chiese. E per una volta, una sola, mi sembrò di scorgere un po' d'umanità in quella voce.
«Cosa?»
«La notizia si è diffusa questa mattina sul tardi; l'alfa è morto. Vuoi raccontarmi com'è andata o dovevo scavare in quel cervelletto sconvolto mentre dormivi?» chiese.
Ci rimasi di pietra per qualche secondo. Poteva farlo davvero? Be', buon per lui perché da me non avrebbe ottenuto niente.
Era già tanto l'essermi rovinata la vita, e probabilmente anche il sonno, per i prossimi decenni. Non avrei fatto parola con nessuno di ciò che avevo dovuto fare. Nessuno. Mai. E avevo deciso ciò nel preciso momento in cui avevo visto l'alfa guardarmi dentro.
Tenni lo sguardo basso, muta. Poi lo sentii parlare ancora.
«Shira?»
Scossi la testa. Non volevo. Avrebbe potuto trapassarmi lo sterno con quell'attizzatoio così come infilarselo su per il... Insomma, credo di aver reso l'idea. Non avrei parlato con lui del mio primo morto.
«Shira, perché credi che l'abbia chiesto proprio a te?» domandò.
E almeno a quello mi sembrò di poter rispondere con facilità.
«Sono l'unica a seguirti davvero... Sapevi che non avrei fatto storie, che se avessi deciso di farlo non avrei fatto domande.»
«O magari perché ti considero intelligente. Sai, Ingr ha un modo di autogestirsi abbastanza particolare. Qui le decisioni vengono prese dai cittadini stessi. Come ad esempio quella di richiamarvi qui come soldati. E sai cos'è successo quando durante uno degli incontri ho proposto di rimandarvi indietro?»
Intelligente aveva appena detto? Eppure non fui sicura di capire.
«Incontri? L'hai già...?» provai a domandare.
«Non siete pronti per questo. Un po' di allenamento non cambierà le cose. La Vera Foresta per voi sarebbe un suicidio più che per gli altri. Un vero spreco, e questo io lo sapevo ancora prima di venirvi a prendere ma Ingr funziona così. Non sono io a decidere. Quindi? Cosa credi sia successo?» Mi domandò interrompendomi.
E un'alzata di spalle fu la mia risposta più ponderata. No. Decisamente non mi ero ancora ripresa abbastanza da poter affrontare quel discorso.
«Che tutti hanno concordato sul lasciare a Sar via libera sul cosa fare con i sopravvissuti. Adesso, per quanto potesse essere una brava persona, lui era un alfa fin troppo innovativo. Credi che avrebbe lasciato andare quelli che oramai per lui erano dei membri del suo branco? Non posso evitarvi la spedizione ma, se vi assicurate di restare vivi, posso riportare te da tuo fratello, Liam da suo padre, Raphael dal suo branco e Lydia dai suoi.»
Mi paralizzai. Ci considerava uno spreco ma... Stava provando ad aiutarci? E, soprattutto, sapeva di mio fratello e degli altri e non ci aveva minacciati con nessuno di loro?
«Quindi, adesso che ti ho raccontato la mia parte, puoi raccontarmi la tua o preferisci che la cerchi davvero da solo?» chiese poi con nonchalance.
E lì un ricordo mi esplose nella testa: Liam. Cosa cazzo ci faceva lì a quell'ora?
No. Che ci fosse lui di mezzo era solo un motivo in più per tacere. Avrei dovuto mentire.
«Mi ha rubato una delle lame. Ha fatto tutto con quella.»
Mi guardò per qualche istante ancora. Senza dire nulla. Né io continuai a spiegarmi. Ero brava a mentire, lo ero sempre stata. Ma non tanto da competere con chi, come lui, lo faceva per mestiere. Sperai solo che se la fosse bevuta ma avevo i miei dubbi.
«Come ti senti?» Domandò sorvolando sulla questione.
Perché doveva fare così? Far finta di essere preoccupato, o perfino che gliene importasse qualcosa. Assurdo. Non faceva altro che confondermi le idee. Come se nella mia testa non ci fosse già abbastanza disordine.
«Bene» pronunciai consapevole di mentire ancora.
Seguì l'ennesimo silenzio in cui non fece altro che guardarmi.
«Se hai domande falle adesso che sono disposto ad ascoltarti.» disse.
«Ma non a rispondermi, giusto?» Tastai piano quel terreno decisamente sconosciuto. Adesso si interessava addirittura a cosa gli avrei chiesto?
E uno sguardo severo fu la sola risposta che ottenni da lui.
Be', tentare non dovrebbe farmi male, no?
«In che senso le decisioni vengono prese dai cittadini?»
Mi guardò sorpreso.
«Hai rischiato di morire dissanguata, puoi farmi qualunque domanda... E scegli di parlare di politica?»
Non dissi nulla, aspettai soltanto, curiosa della sua risposta.
Sorrise, assumendo un'aria quasi gentile.
«Ogni specie di Ingr ha un suo rappresentante nei raduni degli stregoni. Qui la violenza però non è un taboo, e non c'è niente che impedisca a una specie di spodestare un capobranco o un qualunque tipo di rappresentante come meglio crede. Per questo ogniuno di loro deve attenersi a ciò che pretende la loro fetta di cittadini.»
«Durante ogni incontro poniamo ai leader una o più domande che loro porranno agli altri e a cui ci porteranno la loro risposta nell'incontro seguente. Qui sono i civili che ci comandano.» spiegò.
Niente di più pericoloso. Pensai riferendomi alla sua ultima frase. Piacere alla gente di Ingr non era mai stato un mio talento. Se si fosse venuto a sapere della mia colpevolezza nessuno avrebbe potuto farla finire bene. Non per me.
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