Capitolo 67
Mi svegliai, presa di sorpresa dall'improvvisa assenza di musica e risate in sottofondo. Estrassi una delle asticelle con fin troppa forza finendo per ferirmi l'orecchio destro. Soffocai un sibilo di dolore ascoltando un piccolo fiotto di sangue caldo scendermi sul collo.
Lui accese la luce trovandomi già con il cappuccio sulla testa abbassata perché non mi riconoscesse.
Avanti!
Eppure no. Non riuscii a far nulla. L'idea era stata di lanciare l'asticella e farla finita... e invece era ancora lì. Ferma nel mio pugno stretto e tremante.
Porca puttana..
Ecco perché non mi ero fatta problemi. Ecco perché non avevo dato alcuna risposta all'Assassino. Perché non mi ero opposta. Ecco perché avevo deciso tutto all'ultimo e senza darmi scelta. Una parte di me doveva aver saputo fin da subito che non l'avrei fatto.
Che non ce l'avrei fatta e che mi sarei fatta catturare o uccidere dal capo di un branco di lupi feroci. Troppo codarda per fare ciò che andava fatto. Per darci una possibilità di tornare alle nostre vite.
Rimasi lì appollaiata. Con lui fermo a guardarmi. Pietrificato. Ero comparsa dal nulla in casa sua; aveva paura di me. Io invece mi facevo schifo. Forse se fossi semplicemente sgusciata via non mi avrebbe seguita... Forse.
Poi un enorme punto interrogativo crebbe nella mia testa: perché non chiedeva aiuto? Perché non chiamava il branco? L'avrebbe fatto quando meno me l'aspettavo e me li sarei ritrovata addosso. Ne ero sicura.
Mi avrebbero torturata, sventrata, o peggio rinchiusa chissà dove e lasciata a marcire. E, se mai qualcuno si fosse preso la briga di informarli, Dylan e il nonno si sarebbero vergognati di me.
Fu lì quindi, davanti a una me completamente travolta dal panico e con ancora la testa bassa e un'espressione concentrata in viso che lui fece per parlare innescando quindi l'asticella che finalmente partì inaspettata contro la sua gola. Un solo attimo. E poi l'avevo fatto. L'avevo ucciso.
Un grido strozzato prese a uscire di prepotenza dalla sua bocca spalancata, troppo debole e pesante per arrivare alle orecchie di sua moglie e di sua figlia. I suoi occhi furono fissi su di me ma non più pieni di paura. E fu proprio quello a fregarmi. Quegli occhi pieni di confusione e finta calma.
Lo sguardo sconvolto di un moribondo fu sufficiente a farmi credere di essere stata riconosciuta.
Ed essere stata riconosciuta mi impedì di andarmene e lasciarlo lì a morire da solo.
Qualche lezione a Ingr l'avevo seguita, sapevo di avergli mancato di un pelo la carotide e avrei quindi avuto un po' più tempo. Ma per fare cosa poi? Implorare perdono? No. Mai!
Anche in una simile situazione mi rifiutai di umiliarmi a quel modo. Che fosse davanti a un'alfa o a un cadavere.
Anche se forse avrei dovuto. Lui aveva provato ad aiutarmi in fondo. Aveva provato a integrarci nel suo branco e io avevo barattato la sua vita con la nostra libertà... Avrei bruciato nel girone più basso dell'inferno.
Mi avvicinai fulminea a lui, lottando contro ogni mio istinto per infischiarmene delle ustioni. E, reprimendo un brivido, lasciai che con una mano prendesse entrambe le mie.
Scusa... Scusami. Pensai ormai quasi sul punto di piangere. Eppure non emisi un solo fiato. Avevo tradito la sua fiducia. Come avrei potuto pretendere che mi perdonasse? Come avrei potuto piangere davanti a lui? Tremavo, e la cosa peggiore fu saper di starlo facendo senza avere modo di smettere.
«C-cchi se-i?» soffiò poi lui. E lì capii di aver frainteso tutto.
Mi ritrovai a realizzare troppo tardi che non si stesse tenendo la gola. E quindi, di non avere la minima idea di dove tenesse l'altra mano. Quella libera. Be', la risposta arrivò presto. Affilata e vendicativa, dritta nel mio fianco sinistro, poi nella gamba.
Soffocai un urlo.
Tolsi finalmente il cappuccio permettendo alla poca luce presente di illuminarmi il viso.
Lui spalancò gli occhi ed estrasse l'arma dalla mia carne ferita e dai pantaloni infradiciandoli di sangue. Quando l'ultimo alito di vita lo abbandonò lui ancora mi osservava.
Adesso mi aveva riconosciuta.
Recuperai la mia asticella. Poi usai il suo pugnale per frastagliare e approfondire il taglio sulla sua gola in modo che non potesse essere associato alle mie armi.
Mi alzai a fatica. Afferrai la boccetta di profumo e la lanciai sul pavimento sperando coprisse qualunque fosse il mio odore in quel momento.
Inciampando nei miei stessi passi e rialzandomi il cappuccio della felpa tornai alla finestra.
Mi gettai fuori correndo e zoppicando via senza guardare nemmeno. Il risultato fu andare a sbattere contro un Liam ancora di cattivo umore. Cosa cazzo ci faceva lì a quell'ora?
Mi afferrò come se volesse sorreggermi. Non sapeva chi fossi, non sapeva perché scappassi né perché stessi barcollando ma provava comunque ad aiutarmi.
No, in battaglia lui non ci sarebbe neanche mai arrivato. E, per quanto orribile, avevo fatto la cosa giusta.
Avrei dovuto portarci via prima che accadesse il peggio, e se questo fosse stato l'unico modo me ne sarei fatta una ragione... a patto di uscirne viva.
Il solito ricordo di quel dannato incantesimo stavolta tuonò nella mia testa il suo più violento grido di battaglia. Così mi allontanai bruscamente dalla sua presa gentile e confusa, rischiando di cadere come se non avessi ancora una gamba buona a sorreggermi.
Soffrendo a ogni singolo, affannato, respiro, mi diressi verso l'unico albero a sembrarmi meno alto e, senza voltarmi indietro, mi arrampicai soffocando gemiti di dolore e imprecazioni varie.
Eccolo. Eccolo l'unico buco in tutto quel mio piano lavorato ad arte. Ecco la ragione per cui sarebbe saltato tutto all'aria.
Perché non avevo messo in conto di poter non essere la sola armata? Forse perché era un lupo mannaro? Magari perché avrei dovuto ucciderlo prima che avesse il tempo di trasformarsi? Be', poco sarebbe importato adesso.
Mi lanciai da un ramo all'altro con la grazia di un ippopotamo assonnato. Mi tenni in piedi con il precario equilibrio degli ubriachi del mio paese. E, seppur iniziando a domandarmi quanto sarebbe durato il passaggio della mia vita davanti ai miei occhi, arrivai dall'Assassino.
Mi lasciai cadere fino al ramo più basso dell'albero su cui ero, da lì mi lanciai in casa sua approfittando delle finestre aperte.
Fu l'atterraggio più doloroso della mia vita... Eppure mi sembrò di sentire i pochi globuli rossi ancora all'interno del mio corpo applaudire al pilota.
Merda, come sicario faccio schifo.
Dopo tutto ciò non ci fu più niente da raccontare. Il vuoto più assoluto. Il sonno più tormentato. E Raff che mi guardava allontanarmi sulla rupe dopo avergli tirato addosso una vuota minaccia... Anche se dopo quella notte si sarebbe potuto prenderla sul serio.
Poi Lydia che avevo ingannato e lasciato a dormire ubriaca e sola in casa. E lui.
Lui che mi evitava dopo che l'avevo lasciato da solo nel mio letto e gli avevo rotto un braccio. Lui che fingeva andasse tutto bene e mi chiedeva perfino di avvicinarmi sulla sdraio. Lui che si allontanava e mi lasciava da sola sulla rupe dopo ciò che gli avevo detto. Ancora e ancora.
Forse sarebbe andata meglio se solo avessi saputo come gestire tutto ciò... Ma ormai che importanza aveva?
Potevo solo riguardare la scena e lasciare che piano piano anche quei ricordi svanissero nel buio.
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