Capitolo 66
Mi alzai controvoglia e mi costrinsi a mettere in pratica il peggior piano della mia vita.
Arrivata a casa non feci altro che fermarmi per la bellezza di tre minuti pieni a fissare la porta d'ingresso.
Entra e non fare storie. Vuoi tornare a casa, no? Non volevi riportarci anche gli altri? Pensai "rincasando" e camminando finalmente verso la camera di Lydia.
Annusai attentamente l'aria fuori dalla stanza prima di infilarmici.
Dell'odore di Raff non erano rimaste che delle leggere tracce; via libera.
«Lydia...» chiamai.
«Mh?» rispose con l'aria di chi sta per andare al sonno più pesante.
«Come stai?» le chiesi pensando che avrebbe dovuto chiederlo lei a me.
«Mh-h. Bene. E tu?» domandò ridacchiando.
«Mai stata meglio. Vado a dormire, ok? Se ti serve qualcosa sono in camera mia.» mentii.
«Anche io.» disse per poi tuffare la faccia nel cuscino senza preoccuparsi minimamente di struccarsi o di mettere il pigiama.
Qualcosa mi disse che non avrebbe verificato se avessi davvero dormito in casa quella notte.
Mi soffermai sull'odore nell'appartamento. O meglio, essendoci abituata, ormai neanche lo sentivo più. Ma sapevo perfettamente fosse l'odore mio e di Lydia e che qualsiasi lupo l'avrebbe sentito: dettaglio importante considerando che stessi per portarmelo dietro fin sopra la scena di un crimine. Forse quel giochetto con le boccette di profumo mi sarebbe tornato utile ancora una volta. Il problema fu che quella del vampiro era andata persa durante la prova.
Fanculo... Mi sarei arrangiata.
Mi assicurai di avere ancora dei vecchi vestiti sul polveroso fondo del mio armadio ringraziando di essere stata troppo pigra per fargli prendere aria. Indossarli non sarebbe stato il meglio che potessi volere ma me la sarei cavata anche con il naso pieno di quell'odore di vecchio e di chiuso.
Eppure ancora non riuscii a convincermi che bastasse. Forse sarei dovuta andare ancora in un posto prima. E, nonostante non avessi alcuna voglia di fare avanti e dietro per tutta Ingr, fui sicura che un'altra fermata mi avrebbe aiutata.
Poco prima di uscire dalla finestra della mia stanza recuperai le asticelle di metallo dal cassetto del mio comodino. Per strada feci forse più attenzione a loro che a dove mettessi effettivamente i piedi. Meglio così però, perché quella sera scoprii che la più lunga di loro non fosse l'unica a poter diventare flessibile.
Arrotolai la più grande attorno al collo a mo' di collare e vi legai le altre.
Solo una decisi di tenerla in mano e, durante tutto il tragitto, non feci altro che studiarla.
Ero quasi arrivata quando finalmente iniziai a capirne il funzionamento.
Se tenuta con forza e fermezza era rigida e tagliente. Ma se presa con delicatezza diventava molle e flessibile. O almeno così mi sembrò. Ottenni la conferma alla mia teoria solo allentando i nodi con cui avevo legato le altre al mio nuovo "collarino".
Così forse una o due avrei rischiato di perderle ma in compenso avrei potuto estrarle più velocemente e senza rischiare di tagliarmi la gola per errore.
La seconda tappa del piano era lì proprio davanti a me. Eppure ero tutt'altro che contenta. Come diavolo avrei potuto esserlo sapendo che la mia vittima avesse perfino provato ad aiutarmi in passato?
Mi avvicinai a una zona in particolare del ruscello. Ricordai di averlo visto lì nei dintorni. Ne fui certa. Un punto preciso del fiumiciattolo in cui l'acqua non arrivava troppo spesso e tendeva a stagnare.
Il lato positivo del dover scansare piccoli kappa fu però l'odore di quel posto: petricore. Fu quello a condurmi nel punto giusto.
Tolsi la vecchia felpa impolverata per passare un po' d'acqua sulle braccia e sul collo, pentendomene quasi subito a causa del freddo.
Con il mio ho fatto... E adesso come lo copro l'odore di polmonite?
Mi detestai eppure continuai a tentare di mantenere ogni pensiero sulla soglia del ridicolo, del sarcastico.
Omicidio. Commettere un omicidio. Seppur architettato ad arte, questo dovevo fare. Come potevo pensarci seriamente e a cuor leggero?
I pochi chilometri a separarmi dalla mia prima vera vittima li percorsi a passo di lumaca. L'idea era stata fin da subito quella di non rifletterci troppo. Di agire e basta. Ma se fino ad allora c'ero riuscita perché ora era diverso? Perché non riuscivo più a non pensarci?
Tornai a casa, e usai le rovine della vecchia scala all'esterno per salire sul tetto; nonché pavimento di quello che anni prima doveva essere stato un altro appartamento.
Da lì non ci volle niente per salire su uno degli altissimi alberi della foresta.
Me n'ero resa conto stando nascosta tra i rami meno trafficati di Ingr. C'era un'intera altra città sopra la città. E quella notte sarebbe diventata la mia.
Nessuno sano di mente si sarebbe arrampicato su quegli alberi; perché avrebbe dovuto? Be', io un motivo ce l'avevo però. E, pur disgustandomi più di qualunque altra cosa al mondo, era più che valido.
Mi mossi in totale silenzio passando di ramo in ramo, scendendo e risalendo per brevi tratti alcuni tronchi. Certo, nessuno mi avrebbe vista. Ma comunque non sopportai di passare troppo spesso dalle zone più spoglie.
Forse fare attenzione a come muovermi servì soprattutto a non pensare. D'altro canto ritenni comunque di vitale importanza accertarmi che io stessa non riuscissi a sentire il rumore dei miei passi. Pur con metri e metri di distanza tra me e chiunque avrebbe mai potuto esserci ad ascoltare.
Saltai con qualche difficoltà sul tetto della casa di Talia. Se tutto fosse andato bene non avrei più potuto guardarla in faccia.
Cercai per un buon quarto d'ora la botola di cui aveva parlato l'Assassino senza trovarla se non strappando uno spesso strato di muschio. Sì, l'alfa sapeva bene come nascondere qualcosa. E ne fui ancora più convinta vedendo la velocità con cui il muschio tornò a ricrescere e coprire la porticella di legno. Era un incantesimo.
... e io una brutta persona. Pensai, odiandomi. Cosa stavo facendo?
Aprendo la mia piccola via d'accesso però notai qualcosa di diverso da ciò che aveva immaginato il mio mittente. Ovvero che quella botola non portasse all'ufficio o alla camera da letto, bensì in camera di Talia.
Stando alla logica, quella era una via di fuga segreta e potenzialmente salvavita in caso di guai. E cosa faceva? Sceglieva di lasciare quella stanza a sua figlia piuttosto che farci la propria camera?
Scrollai la testa come un cane appena sveglio. Non era il momento di fermarmi a riflettere sulla sua carriera genitoriale. Dovevo solo ucciderlo e procurarmi la nostra libertà. Dovevo solo uccidere l'alfa.
Dovevo solo mettere gli scrupoli da parte.
Mi lasciai cadere in camera facendo attenzione a non emettere il minimo suono. E quasi mi compiacqui del rumore ovattato che fecero i miei piedi sul pavimento.
Scivolai fuori con più tranquillità quando notai la porta del corridoio ancora chiusa a separare la festa in corso dal resto della casa. Sgattaiolai in giro per un po' prima di appostarmi nel suo ufficio. Non girovagai neanche poi tanto in realtà, solo il tempo di trovare uno dei suoi profumi.
Ne trovai uno ancora nella confezione, praticamente nuovo. Probabilmente un regalo non gradito da lui, ma da me invece sì.
Ci cosparsi il suo ufficio, poi rimossi il blocco dalla finestra e mi ci acquattai, pronta a scappare in caso le cose si fossero messe male.
Passai delle ore, scomoda e al buio, chiedendomi per quanto ancora i lupi avrebbero voluto festeggiare. Ma soprattutto, chiedendomi come avrei fatto. Forse avrei solo dovuto andarmene e lasciare che l'Assassino si fottesse. Perché poi l'aveva chiesto proprio a me? Solo perché nel bosco ero stata la prima ad assecondarlo?
Be', ti darò una notizia sconvolgente: NON AVEVO SCELTA! Pensai come se potessi gridarlo direttamente in faccia a lui.
Come avrei fatto? Avrei solo lanciato quella sottospecie di coltello mancato e sarei scappata? Senza dirgli nulla? L'avrei ucciso però... Cosa diavolo avrei dovuto dirgli? Che mi dispiaceva? Be', cazzi miei! A lui che sarebbe importato con la gola aperta e sanguinante? ... Aperta e sanguinante per colpa mia.
Se è vero che i morti da qualche parte finiscono... Greg, vendicati pure! Fammi uccidere! Almeno mi libero da questa trappola. Fu l'ultimo esasperato, folle pensiero prima di lasciarmi quei ragionamenti alle spalle.
L'avrei fatto. Dovevo. Basta pensarci.
Così le ore passarono e, proprio mentre mi ritrovai a scivolare nel sonno, accompagnata dall'ancora giovanissima luce dell'alba, lui arrivò.
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