Capitolo 63
Cosa avrebbe dovuto farci?
«Tieni, scegli qualcuno da dipingere e non scordarti qualche insulto eh!» le disse la donna.
Non riuscii a capire quale, ma fu chiaro che stesse cercando in ogni modo di farmi pagare per qualche torto. Glielo lessi in faccia... anche se probabilmente avrei dovuto farlo già prima di uscire di casa.
Mi vennero i brividi quando si girò a guardarmi.
«Lydia...» cercai di dissuaderla senza neanche aver nulla da dirle.
«Levati la maglia.» Rise lei.
Passai le ore successive a protestare e a sentire sempre di più l'opprimente presenza delle pareti della stanza. Poi dovetti cedere. Anche se solo a causa della nausea che iniziò a salirmi.
Capii che non sarei scappata anche da quello e, scendendo a patti, arrivai a dover scoprire solo un braccio (anche se fino alla spalla).
Sentii il cuore prendere a martellate la testa già dolorante e respirare passò dall'essere già parecchio difficile all'essere completamente impossibile.
Trattenni il fiato.
Poi lasciai che Lydia si avvicinasse.
«Chiudi gli occhi.» suggerì Talia.
Lei lo disse cercando di essermi d'aiuto ma mi sentii come se chiudendo davvero gli occhi potessi solo vedere fiamme infernali bruciarmi da dentro.
La signora poco distante da Nanyja, invece, lo disse riferendosi alle regole di quello stupidissimo gioco. Regole che dovetti costringermi a seguire.
Ci hai lavorato. Non è niente di che. Mi auto-incoraggiai.
Poi rimasi immobile ad ascoltare un cuore tanto perfido da fingersi in tachicardia. L'unica cosa che mi sentii in potere di fare fu chiedermi per quanto ancora avrei dovuto fingere di riuscire a reprimere l'ansia. La costante sensazione di essere in serio pericolo. Di trovarsi in trappola. Di star commettendo il più grande sbaglio della vita: l'ultimo. Anche se così non sarebbe stato.
E tutto ciò senza emettere un solo fiato. Anche quando sentii, quella che avrei rabbiosamente definito una "troia ubriaca", pulire la vernice già spalmata dicendo di aver sbagliato.
Te lo dico io cos'hai sbagliato! Hai sbagliato a nascere, Lydia! Decisi che me l'avrebbe pagata. Forse più tardi di quanto sarebbe stato furbo, ma me l'avrebbe pagata.
Mi sembrò di sentirla giocare con la mia pelle ancora per un tempo infinito. Poi finalmente smise di torturarmi, levandomi una mano di dosso e mettendo fine a quel supplizio.
«Allora? Cosa ho scritto?» chiese con le guance rosse d'alcool.
E la realtà mi piombò crudele addosso facendomi capire di aver completamente scordato di star dietro ai movimenti delle sue mani. Dissi la prima cosa che mi passò per la testa.
«Gelato. Ma adesso lasciami.» le tolsi malamente il mio polso dalle mani.
Realizzai di dover aprire gli occhi ma dovetti astenermi dal farlo. Seppi che fossero cambiati, e già solo l'idea di lasciare che le altre mi vedessero in quello stato bastò a disgustarmi. Forse proprio per questo approfittai dei pochi secondi aggiuntivi che involontariamente lei mi concesse.
«Avanti, non è difficile» disse.
E presi finalmente un mezzo respiro.
«Non so, dimmelo tu.» rinunciai ritrovandomi a guardare ancora una volta quell'odiosa, piccola stanza.
«Mh... visto che ci sei puoi leggerlo.» rispose quasi rovesciando la ciotola del giallo.
Eppure leggendo capii soltanto che avesse bevuto più di quanto pensassi. A forza di aggiungere giallo, il blu era diventato verde e la scritta incomprensibile.
«Grazie, probabilmente un giorno mi tatuerò una dedica simile adesso però...» Lasciai la frase a metà alzandomi e barcollando via nonostante il nauseante vorticare della stanza.
Le gambe sembrarono guidarsi da sole verso l'uscita ma...
No. Resta. Pensai con poco più rispetto di quello dato a cucciolo di cane cattivo. E fermarmi a pochi passi dalla libertà riuscì solo a lacerarmi l'anima.
Accollati alla parete. Respira. Aspetta. Forse solo seguendo questi semplici ordini riuscii a superare la cosa e partecipare alla seconda parte della serata.
Fui abbastanza sicura di non aver mangiato poi tanto eppure spesso dovetti tenere la bocca chiusa per non rischiare di restituire la cena.
Poi, proprio quando pensai di poter resistere fino a fine serata, Lydia arrivò (ridicolmente allegra) a infastidirmi... come se già non fosse fastidioso essere obbligati a socializzare con donne adulte e senza peli sulla lingua. Cercò di stare in piedi tenendosi a Talia e per un momento credetti di poterle sorridere e reggere il gioco. Sicuramente ci avrei almeno provato se solo però non mi si fosse buttata addosso.
Volli ucciderla, e invece mi pietrificai.
Fui abbastanza sicura di essere appena piombata nel pieno di un altalenante attacco di panico e, pur sapendo che mi avrebbe concesso un po' di tregua, perfino spostarmi e lasciare che lei si aggrappasse al muro sembrò troppo faticoso.
Dopo in qualche modo capii che quella strana atmosfera tossica non sarebbe sparita con qualche secondo di pausa così colsi la palla al balzo.
«Dovresti portarla a casa.» disse Talia.
«Già, forse è meglio. Ci vediamo domani.» Risposi frettolosa prendendo Lydia per un braccio e fiondandomi fuori.
Mai l'avessi fatto.
Non appena fummo sole per strada lei ne approfittò per servire l'ennesima portata della sua misteriosa vendetta.
Prese a cantare barcollando da una parte all'altra e, soprattutto, reggendosi a me. Si esibì in carezze, schiaffi, e abbracci che scansai sempre per un pelo.
L'unica cosa a non essermi chiara fu ancora il perché, ma fu ovvio che volesse portarmi a un esaurimento nervoso. E ci riuscì. Anzi, sarei stata più stupita se non ce l'avesse fatta.
A pochi metri dalla rupe (dove avevo deciso di andare a riprendere fiato) lei mi si gettò addosso di peso.
Una giraffa. Sempre alta e bellissima, certo, tranne che mentre schiaccia un nano da giardino sotto di sé, e in particolar modo se quel nano da giardino sei tu.
Perfino in terra lei non ci provò nemmeno a spostarsi. Mi ritrovai i suoi capelli in faccia e sempre meno aria nei polmoni. La gomitata sullo sterno poi fu totalmente gratuita eppure, eccetto quella, ci fu qualcos'altro a non andare in quel momento. Qualcosa di decisamente più grave: le ustioni.
Qui si stava andando ben oltre il semplice panico o il ricordo del dolore. Qui fu come se si fosse appena rotto qualcosa tra presente e passato, di fatto, iniziai a sentire piccoli, bollenti, brividi, percorrermi l'epidermide.
Sembrò impossibile riuscire a ignorarli ma, se non loro, almeno riuscii a ignorare i miei occhi roventi e stracolmi d'acqua.
Lei si limitò a stiracchiarsi come se avesse solo bisogno di mettersi più comoda su di me e forse fu quella la goccia a fare traboccare il vaso.
Mi dimenai in ogni modo. Fin quando dal mio polso, quello che lei teneva bloccato sotto il gomito, si sentì arrivare uno strano e doloroso scricchiolio.
In qualche modo stavolta sembrò far meno male. O forse, grazie a chissà quale grazia, non era davvero rotto. O, ancora forse, ero semplicemente più concentrata sulle scosse elettriche che sentivo camminarmi addosso come ragni.
Provai a non pensare a quegli strani e allarmanti formicolii, a levarmela di dosso anche a costo di romperle qualcosa. A quel punto poco mi sarebbe importato di ferirla.
«Mh... piangi.» farfugliò però lei senza ancora lasciare che mi liberassi.
Cosa?
Si girò per guardarmi, ostinandosi ancora a non lasciarmi un solo millimetro di spazio vitale. Tenne i gomiti premuti contro il terreno accanto alle mie spalle e appoggiò il mento sulle mani poco diversamente da come avrebbe fatto leggendo tranquillamente un libro.
Vidi il suo viso abbastanza vicino da notare le sbavature del mascara che doveva aver pulito poco dopo essersi sporcata e sentii l'odore quasi fruttato dell'alcool di Ingr anche prima che aprisse bocca.
Piangere?
Era questo che voleva? Che piangessi?
COL CAVOLO! Pensai.
Ringraziai perfino di avere i capelli davanti agli occhi. Almeno, se davvero avessi finito per dover versare anche solo una lacrima, lei non avrebbe avuto la soddisfazione di vederla.
Presi silenziosamente un respiro.
«Perché?» domandai.
«Mhm...» mugugnò lei facendo ciondolare la testa all'indietro come se fosse stanca morta.
«Raff, lui... "non sai parlarne" e "Shira non piange" è sempre così.» Rise stordita.
La guardai tornare seria solo quando realizzò cosa stesse dicendo. Un singhiozzo le scappò mentre pesanti lacrime iniziarono a solcarle il viso.
Poi prese a pulire il mio braccio dalla vernice ormai asciutta. La odiai.
«Piangi.» ripetè.
Le avrei risposto ma in quel momento notai i ragazzi scendere la rupe e avvicinarsi a noi. Non avevo neanche pensato che potessero essere lì.
Ero stesa e scomoda sotto di lei, sporca di blu, giallo e verde e con solo i ciuffi di capelli fuori dalla treccia a nascondermi gli occhi. Mi resi perfino conto che fossero cambiati. I miei occhi, e con loro anche il mondo intorno a me. Eppure stavolta perfino quei colori tenui e perfetti non riuscirono a calmarmi.
Mi lasciai prendere dal panico. Mi dimenai un'ultima volta. Quanto bastò per rompere definitivamente il mio povero polso e far cadere Lydia sull'erba gelida. Sentii il cuore a mille e presto anche le ossa contorcersi.
Il nulla. Ancora una volta.
Poi riaprendo gli occhi ci misi un po' a capire cosa fosse successo. Vidi Raff guardarmi con ammirazione, restare precisamente a un passo dall'esplodere di gioia. Che diavolo gli prendeva?
Lydia invece era infastidita, spaventata, e persino un po' disgustata (oltre che ancora ubriaca fradicia). Liam invece sembrò non starci capendo più nulla... Come me insomma.
Tralasciando Raff, che era sempre stato abbastanza incomprensibile, ricordai l'ultima volta che avevo visto i due cugini guardarmi così: quando ero stata circondata dal sangue di Greg.
Riuscii solo a restare lì impalata ripensando a quei momenti. Con il suo sangue sulle mani e l'assassinio fresco nella mia mente. Non mossi un passo neanche quando, cercando le mie mani e immaginandole nuovamente insanguinate, trovai un paio di pulite zampe.
Mi ero appena data la zappa sui piedi eppure mi sforzai di limitarmi a provare poco più di una semplice scocciatura. Respirai, lottai contro il panico e i brividi lungo pelle. Lasciai addirittura che la mia mente divagasse concentrandosi su vari odori. Poi corsi fino a casa.
Solo ritrovandomi nuda come un neonato a fissare il vuoto realizzai di non sapere neanche cosa fare lì dentro.
Ripensai alle parole di Sar.
"La vera prima trasformazione è la seconda."
Be', le mie hanno fatto schifo entrambe.
Tra noi quattro, poveri stronzi costretti a essere lupi, c'era da subito stato un tacito accordo dopo le nostre prime volte, ovvero: nessuno si sarebbe più trasformato. Non per partecipare alle notti di luna piena. Non per curiosità. Non per gioco. Assolutamente per nessun motivo. Faceva troppo male e significava solo essere più pronti a farlo anche in una possibile battaglia.
Fummo tutti felici che i nostri insegnanti in bianco non ce lo avessero mai imposto. E forse, proprio perché immaginassero che da trasformati avremmo davvero finito per "sgrazzavare" qualunque cosa.
Sarebbe stato il nostro modo di restare umani nonostante per tutta Ingr fossimo solo bestie da tenere legate. Almeno se non avessi appena rovinato tutto.
Cercando di rilassarmi lasciai da parte la questione. Anche solo per finire su altro. Tipo Lydia e quei suoi odiosi capricci.
"Piangi" dice lei... Pensai constatando che adesso le lacrime fossero chissà dove, braccate dall'ansia.
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