Capitolo 57
Quella mattina svegliarmi di fianco a lui fu quasi traumatico.
Non aprii subito gli occhi. Semplicemente mi beai del rumore dolce e ovattato della sveglia di Lydia, e del profumo che pervadeva l'aria. Solo dopo realizzai di quale profumo si trattasse. Mi ci volle un po' per ricordare. Fortunatamente non troppo. Così non sobbalzai quando parlò.
«Ancora un po'-» La voce fredda e roca gli impedì di finire la frase senza troncare l'ultima "o" in un suono bruscamente spezzato.
Mi alzai e misi seduta, sapendo fin da subito di quel qualcosa che non andava.
La testa girò come avessi le vertigini. Difficile considerato il mio essere bassa e ancora seduta per giunta. Un violento brivido mi attraversò con la delicatezza di un elefante in una maratona. Iniziai a sentire la pelle formicolare. E lo stomaco contorcersi, stritolato da un tagliente filo invisibile. A stento sentivo di essere ancora capace a respirare. Inspirai profondamente correndo poi in bagno.
Finii sotto la doccia senza neanche spogliarmi, pregando che aiutasse. E anche se non subito la cosa funzionò. L'acqua fresca spense le fiamme stanche e intorpidite che fino a quel momento si erano rifiutate sia di bruciare a pieno, che di svanire nel nulla di cui erano fatte.
Quando uscii dal bagno trovai solo Lydia ad aspettarmi.
Maledetta boccetta di schifo!
Già da quella stessa mattinata la Sala Piccola non fu più la stessa.
Arrivandoci notammo subito l'assenza di banchi, cuscini, o anche solo semplici tappetini sul pavimento. Ciò significava che tutto si sarebbe potuto fare lì, tranne che svolgere un'altra lezione.
La cosa più sconvolgente, però, fu che i nostri "professori" fossero già presenti. Diedero quasi l'idea di essere normali insegnanti in quella situazione. Se ne stavano semplicemente in piedi davanti al resto dei ragazzi e li guardavano come se stesse per partire la peggior ramanzina della storia.
L'Assassino ci fece quasi subito cenno di avvicinarci al gruppo.
Come sempre c'eravamo tutti: fauni, vampiri, elfi, ninfe, satiri, streghe, maghi e sirene. Ma ovviamente anche lupi. Tre lupi per la precisione. Più, qualunque cosa fossimo noi in confronto a loro.
Ci squadrarono da capo a piedi.
Tia, Jack, e Talia sembrarono saperne tanto quanto noi, se non addirittura meno e nessuno di quei sei uomini volle dirci nulla. Si limitarono a guardarci, e guardarsi, sussurrando brevi frasi nella loro lingua natale.
Non li avevo mai sentiti tanto comunicare tra loro in quel modo. A Ingr, la nostra era diffusa tanto quanto la loro lingua. Se non perfino un po' di più. La maggior parte delle creature di Ingr era arrivata dal nostro mondo. E, secondo quel poco che ci avevo capito, tutti dallo stesso nostro portale: la catapecchia nel bosco del nostro paesino. (Che, in quanto anche unico portale, non dava poi grande possibilità di scelta quindi.)
L'Assassino sembrò parlare più piano forse proprio affinchè io lo capissi.
«Dovremmo occuparcene noi.» Mi sembrò avesse detto. I due uomini a cui si rivolse lo guardarono con disgusto, quasi disprezzo, per poi annuire amaramente e controvoglia.
«Io prenderei i quarti di mare.» disse poi nella nostra lingua.
A quelle parole gli altri due cercarono di nascondere la sorpresa. Doveva essere stato qualcosa di positivo quella decisione perchè sembrarono comunque rinquorati.
L'uomo si allontanò dal gruppo dirigendosi verso la parte destra della sala. Lo guardammo mettere le mani su borse e pergamene appoggiate a ridosso di un tavolo.
Fu in quel momento che mi arrivò una prepotente gomitata. E, superata la voglia di imprecare, mi decisi a guardare chi me l'avesse data. Di fianco a me solo Talia che faceva strani cenni e tirava leggeri calci per spingermi in quella direzione.
La guardai confusa. Che si fosse bevuta il cervello? Perché mai avrei dovuto seguirlo? Più lontano mi stava e meglio mi sentivo. E poi allontanarsi senza permesso in una situazione del genere sarebbe stato come suicidarsi.
Furono gli altri cinque insegnanti a darmi spiegazioni, anche se a modo loro.
«Sareste voi.»
«Parlava di voi.»
«Sveglia!»
«I quarti di mare...»
«Si riferiva a voi. Dovreste andare.»
Dissero parlando l'uno addosso all'altro.
Forse fu solo colpa di quei loro toni, ma mi sentii umiliata.
Cosa cazzo è adesso un "quarto di mare"?
Seguimmo l'uomo fino allo spiazzo in cui ci allenavamo.
Non c'erano case troppo vicine e, anche se ci fossero state, gli alberi della foresta non avrebbero consentito una visuale tale da distrarsi. Eppure io ci riuscivo sempre. Che fosse così difficile per tutti concentrarsi solo sull'allenamento? Avevo i miei dubbi.
«Sapete già cosa fare qui.» Ci disse.
In effetti... Pensai annoiata dall'idea.
«Raff e Lydia, Liam e Shira. Dopo, vincitore contro vincitore, stessa cosa faranno i vinti.» spiegò senza dilungarsi.
Ma perché cazzo devi volermi così male?! Non so combattere, ok?! Lo abbiamo accertato da tempo. Non possiamo farla finita?! L'abbiamo capito tutti ormai! Gli altri con la pratica sono migliorati, io no. È questo che vuoi ripetermi?! Be', LO SO GIÀ! Sbraitai nella mia testa.
Il primo scontro durò poco. Abbastanza da guardare il modo in cui Lydia giocò con la forza di Raff.
In quanto a muscoli fu evidente che non ci fosse nulla da fare e per questo fu alla resistenza che puntò lei. O, ancora meglio, alla sua scarsa pazienza. Lo portò da un lato all'altro del campo, sfiancandolo ma sopratutto annoiandolo a morte.
«Che c'è? Non mi hai vista passare?» Gli rise in faccia con ancora il fiatone.
Lui non rideva più ormai dalle prime cinque battute di quel genere.
Il problema per lei sarebbe stato solo uno, ovvero: non era la prima volta che combattevano. Lui ormai sapeva come porre fine a quegli inseguimenti e non esitò a farlo.
Restò fermo. Immobile. Guardandola dritta negli occhi. Fu impossibile non vedere il sorriso che si scambiarono. Nell'aria ci fu la tensione di due molle pronte a scattare. Poi lui alzò le mani.
«Sei in arresto, amore?» domandò lei sorridendo ancora.
Raff stavolta ricambiò quel sorriso e decise improvvisamente di rilassarsi avanzando di un mezzo passo. Come se tutto fosse finito. Come se tra loro ci fosse già un vincitore.
Vedendolo lì per poco non la incoraggiai io stessa. La mossa successiva mi sembrò quasi ovvia. Uno scatto e avrebbe potuto prenderlo e tirarlo al tappeto. Lei però non si mosse. E se ne pentì subito dopo.
Con un salto lui si gettò a terra afferrandole le caviglie. Da lì non dovette far altro che portarla, seppur con fatica, sotto di sé.
«Ti arrendi?» sussurrò al suo orecchio con modi aventi ben poco a che fare con una battaglia. Nel silenzio della foresta non fu difficile per noi sentirli parlare.
Lydia cercò di spintonarlo via. Si dimenò. Per un istante mi sembrò perfino di vederla cercare una via di fuga nell'erba circostante. Tutte cose che su di lui non ebbero però alcun effetto. Quindi finì semplicemente per annuire, arrendendosi. E, dando stupide, anzi stupidissime, idee all'Assassino che, di fatti, li raggiunse subito dopo aver tirato fuori qualcosa da una delle sue borse.
Prese la mano destra di Raff, tagliando il suo palmo con quello che si rivelò essere qualcosa di simile a un plettro di metallo. Sangue caldo iniziò a uscire dal segno orizzontale sulla sua mano e il ragazzo si lasciò sfuggire una smorfia che l'uomo ignorò.
«Ma non ho vinto?» chiese confuso.
«Certo. Ora sporcale la gola.»
A nessuno di noi fu chiaro quell'ultimo ordine.
«Eh?» chiese.
«Eh?» Gli fece eco lei.
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