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Capitolo 56

«Ohh... Ma quanto puzzi?» chiesi senza riflettere quando un'odore forte e pungente arrivò alle mie narici.

Lui sembrò confuso. Poi però capì da solo a cosa mi riferivo.

«È profumo, lo uso dopo la doccia. Che c'è di strano?» Chiese ridendo della mia reazione.

«Amore, che con questo ci uccidi qualcuno.» protestò Lydia.

Li spinsi via entrambi.

«Ecco, questa era un'altra delle cose da chiedervi.» Enunciai.

Si guardarono un attimo.

«"Amore"? Da quando? Cos'è tutta questa smielatezza?» Li presi in giro senza alcun ritegno.

«Ma senti chi parla! Devo proprio ricordarti come vi ho sorpresi quando sono tornata a casa?» Rise lei.

Mi ci volle un secondo per ricordare.

«Touché.» Ammisi poi arrossendo.

«A proposito, tempismo eccellente, cugina.» Rispose Liam ancora infastidito, alzando un pollice in un sarcastico cenno d'approvazione.

«Ma davvero?» chiese Raff imbarazzato e al tempo stesso divertito.

Fatti gli affari tuoi almeno tu! Ero decisamente più in imbarazzo io, ma anche consapevole di essermela cercata. In effetti avrei potuto stare zitta.

Liam rispose con un'alzata di spalle, stringendo le labbra a una fessura.
Subito dopo ci fu il silenzio: un silenzio in cui fu palese che mi stesse guardando.
Cosa volesse però rimase un mistero. Almeno per me.

«Okaaaay... allora noi andremmo.» disse poi Raff.

«Cosa? Dove?» chiesi stupidamente. E pensare che fosse sembrata una domanda lecita nella mia testa.

«Beh... penso vogliate... voglio dire... ho... ho sete. Tutto qui. Vado a prendere dell'acqua.» rispose arrampicandosi sugli specchi.

«Ma...» Provai a parlare prima che Lydia m'interrompesse tranquilla.

«Già. Direttamente dal ruscello.» Gli resse il gioco.

Possibile che quella sera si fossero coalizzati tutti contro di me?

Vedendoli uscire iniziai a farmi prendere dal panico. E in qualche modo dovetti anche darlo a vedere perché Liam urlò. E niente meno che la frase che fino a quel momento avevo dato per scontato fosse quasi una mia proprietà esclusiva. Ovvero:

«Porta aperta!»

Mi girai a guardarlo. Era diventato davvero così ovvio? Per un istante pensai perfino fosse stata una presa in giro.

Lui mi sorrise. Ormai doveva aver imparato a memoria perfino il modo in cui lo dicevo.

Ma quanto cavolo poteva poi piacermi quel sorriso? Era davvero lo stesso che avevo odiato nel bosco?

«Contento ora?» Scherzai lasciando scemare un po' d'ansia.

«Sì. Abbastanza.»

Scossi la testa lasciandomi sfuggire una mezza risata.

Poi, però, in un secondo decise di spazzare via tutte le idee che mi ero fatta sul perché avesse voluto restare da solo con me.

«Ti va di ascoltare un po' di musica?» chiese.

Ecco.

Cosa?

Mi sentii una maniaca. Perché, fino a quel momento, avevo dato per scontato di ritrovarmi di nuovo in tutt'altra situazione?

Tirai un sospiro di sollievo che minacciò di rendere pubblica la quantità d'ansia provata.

«Certo.» risposi rassicurata.

E, ancora una volta, mi ritrovai davanti all'interrogativo che affliggeva qualunque adolescente al mondo. Ovvero: dove cazzo erano finiti gli auricolari?

Sono abbastanza sicura di non averli rimessi a posto. Quindi... dove sono? Mi domandai ancora.

«No. Insomma... certo. Sì. Ma...» Fu l'unica spiegazione che riuscii a dare.

«Li hai persi, vero?» Osò chiedere.

«È così evidente?» Sentii le guance pizzicare.

«Un po'.» Rise.

Passammo il più della serata mettendo a soqquadro la mia stanza.
Sotto il letto niente.
Tra le coperte niente.
Nell'armadio niente.
Nel comodino niente.
Tra i vestiti niente.
Sotto la coperta di Sahiri niente (eccetto un altro gatto fatto interamente di pelo).
Complessivamente, quindi, l'unica cosa che trovammo fu il nulla cosmico. E basta.

Poi il colpo di genio.

«Scusa un secondo...» disse avvicinandosi a me.

«Cosa?» Chiesi notando subito la sua mano avvicinarsi al mio fianco per tenermi.

Con l'altra invece cercò semplicemente nella mia tasca. Doveva aver visto qualcosa.

Quella che indossavo era una semplice giacca sportiva, con il cappuccio stropicciato e sistemato male sulle mie spalle. L'avevo presa quasi a caso dell'armadio. Non mi era saltato in testa neanche per sbaglio che potessero essere lì.
Quando li tirò fuori sgranai gli occhi.

«Come ho fatto a non vederli?» domandai come se potesse rispondermi lui.

Sorrise sgarbugliandoli e attaccandoli al suo telefono.

«Scusa...» Fu il momento più imbarazzante e al tempo stesso divertente che Ingr avesse mai visto.

«Be', almeno abbiamo trovato qualcosa da fare. Che ne sai? Magari ci saremmo annoiati.» Scherzò sistemando una cuffietta sul mio orecchio.

Mi soffermai per un istante su quel tocco. Com'era strano sentirlo senza aspettare dolore. Portai una mano a sistemare l'auricolare, incontrando così la sua. Eppure non sobbalzai.

C'era comunque qualcosa di strano in quei tocchi ma sicuramente molto più sopportabile.

Cercai io stessa il suo sguardo. Quasi volendomi vantare di quello che stava succedendo. Dopodiché la situazione cambiò in fretta.

Sentii il suo pollice accarezzarmi una guancia.

Perché trovavo strano che fosse solo piacevole, che non ci fosse niente di tanto fastidioso da rovinare tutto? Quella era la copia della normalità più fedele che avrei mai potuto provare e a me sembrava strana. Era possibile?

Un sorriso pizzicò gli angoli della mia bocca.

Sentii la sua mano scendere lungo la mia guancia. Arrivarmi leggera sul collo.

Abbassai lo sguardo, imbarazzata un po' da ogni singolo dettaglio di quella situazione.

Arrivò sulla spalla. Accarezzando poi il mio braccio. Sentii mi stesse studiando quando lentamente prese la mia mano.

Cercai di guardarlo negli occhi, di sforzarmi per non sembrare timida. Certo... come se fossi capace di nasconderlo. E infatti, come a dimostrare la mia imbranataggine, sobbalzai quando nella cuffietta partì una canzone che nemmeno riconobbi.

Lui sorrise. Non potei crederci. E così, un'altra volta, avevo finito per fargli tenerezza. Ero un cazzo di panda altro che lupa.

Mi sentii come se stessi per esplodere ma sembrò non farci caso. Tornò sulla mia guancia per accarezzarla ancora mentre si avvicinava alle mie labbra.

Cercai di non pensarci ma quella sera ogni bacio sembrò fare più rumore che mai, facendomi rabbrividire ogni volta.
Abbassai la testa senza allontanarmi troppo.

Quanto ero stata distratta per non accorgermene mai? Mi ero convinta di non pensare poi tanto alle ustioni, di riuscire a gestirle. Ma forse ci avevo sempre pensato davvero troppo per riuscire a non sentire quei piccoli e imbarazzanti schiocchi.

Sorrisi, e lui ricambiò quel sorriso prima di riprendere.

Per un po' chiusi gli occhi. Lasciando che qualunque pensiero si scansasse per far spazio a quella sensazione.
Solo per un po'. Solo un po'. E un altro po' ancora. Persa com'ero nel seguire quei suoi leggeri tocchi sulle braccia e sui fianchi, quasi non ci feci caso quando mi avvicinò al letto. Fece piano. Pianissimo. Con un mezzo passo incerto e silenzioso. Che avesse ancora paura di spaventarmi?

Ma dai... stavolta sono tranquilla. Giuro! Mi hai vista anche tu prendere la... la pozione...

Fu pensando quelle precise parole che la verità mi si fiondò addosso.
La pozione. Era semplicemente quello il motivo per cui ero tranquilla?
Volevo davvero che succedesse così? Per merito di uno stupido intruglio dal dubbio contenuto?

Ero tranquilla solo perché quella sera all'appello mancava la parte più ansiosa e paranoica di me. Cosa avrei potuto dire a lui una volta tornata in me? Che era solo stata colpa di quella roba scura e viscida?

Neanche il tempo di pensare qualcosa da dirgli che lo sentii spostare l'orlo della mia maglietta.
E proprio io, che fino a un secondo prima ostentavo serenità perfino a me stessa, a quel tocco sobblazai, tirandomi indietro all'istante.

Tranquilla un corno... Pensai con la testa già bassa e il suo nome fermo in gola.

«Liam...» Soffiai sottovoce.

Lui sospirò, facendomi intuire quanto ormai sentirsi chiamare per lui fosse diventato un brutto presagio.

«Lo so...» rispose con un sospiro.

E per una volta fui io a capirlo al volo. Così, quando indietreggiò per lasciarmi spazio, fui io a fermarlo tenendolo per una mano.

Il mio letto non era poi troppo stretto. Solo quel tanto che bastava a farci stare appiccicati l'uno all'altra. Con non poca difficoltà da parte mia che, più restavo sdraiata lì, più mi convincevo di stargli praticamente addosso e cercavo di allontanarmi un po' a ogni suo movimento.

Praticamente lui non poté provare a mettersi comodo senza che io mi facessi un po' più lontana.

Neanche a dirlo poi, quella notte non dormii poi molto. Sarebbe stato difficile tra la musica nelle cuffiette e lui che continuava a riportarmi vicino a sé.

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