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Capitolo 41

«Poteva restare uno solo di noi, quindi ho pensato di vedere come stavi.» disse Liam entrando.

Tornai a odiarlo per qualche secondo. Non avrebbe potuto semplicemente lasciarmi andare a letto? Poi però mi venne spontaneo sorridergli.

«Sto bene.» risposi tornando in camera anche un po' imbarazzata da quel gesto.

Si sedette sul letto mentre io sistemai qualche vestito nell'armadio e tornai in bagno per mettere via l'accappatoio. Odiai sapere che fossero cose che avevo già dato per scontato di fare la mattina seguente. Ma non potei certo lasciar perdere tutto e mettermi a dormire... non con lui lì almeno. Non lo dissi, ma avrei preferito cacciarlo che vederlo seduto lì.

Mi resi conto di non avere neanche poi troppo sonno, ma non riuscii comunque a vedere l'ora di sdraiarmi. Eppure cacciarlo davvero sembrò troppo perfino per me.

Quando uscii dal bagno lo trovai di fronte a me. Quasi mi spaventai. Fu però ovvio ormai. In qualche modo glielo si poté leggere in faccia: aspettava di chiedermi qualcosa.

«Cosa c'è?» Gli sorrisi.

«Nulla.» mentì lui.

Quindi lasciai stare, seppur incuriosita. E finimmo semplicemente seduti sul letto, con lui ad avermi rubato (di proposito) il posto vicino alla finestra. Incredibile quanto gli piacesse darmi fastidio.

Pensai di poter trovare miliardi di attività più utili ma ci limitammo a guardare la stanza farsi sempre più buia man mano che le luci fuori venivano spente.

Tutto partì quando il suo telefono si accese completamente da solo. Nel buio della stanza fu impossibile non notarlo. Strizzai gli occhi per la luminosità dello schermo e realizzai di non aver neanche mai notato che lo portasse ancora con se.

«Scusa, lo fa spesso. È impazzito da quando siamo qui.» spiegò.

E quella frase mi mise curiosità.

«Davvero? Cos'ha che non va?» chiesi.

«Esattamente non so. Ma la percentuale della batteria è ferma al punto in cui era quando siamo arrivati. Si accende da solo. Certe volte si spegne mentre lo uso. E improvvisamente è diventato muto; non riproduce più nessun tipo di suono quindi... beh, come sveglia non è il massimo. Lo porto in giro solo perché ci sono momenti in cui torna a funzionare e posso parlare con i miei.»

E improvvisamente mi sentii in colpa. Mi rimproverai ancora una volta di non aver mai neanche provato a utilizzare il mio.
Dopo l'ultima volta, ricordai di aver lasciato che finisse da qualche parte in uno dei cassetti. L'unica cosa di cui fui sicura fu l'attuale posizione delle mie cuffiette. Dare più importanza a loro che al telefono stesso: assolutamente normale per me.

Non che fosse poi quello il problema però. Il problema, fu il mio essermi allontanata quasi del tutto dalle persone con cui mi avrebbe permesso di parlare.

Ripensai a Tabitha. A Dylan. Al nonno. Alla nonna. Mi tornarono in mente soprattutto i rimproveriresi da quelle persone. Ricordai di essere stata terrificantemente immatura e che mi fosse piaciuto esserlo. Eppure in quel momento mi sentii diversa. O meglio... Seppi di non avere nulla di diverso; e che se fossi stata ancora a casa probabilmente sarei stata ancora a ridere, cantare, e combinare guai in quantità industriali. Ma lì, lì non riuscii a essere come prima. Lì dovetti essere diversa.

Decisi quasi subito di lasciar perdere e concentrarmi su qualcos'altro di quello che lui aveva detto. Certo, prima o poi avrei dovuto guardare quel qualunque cosa stavo diventando, ma non sarebbe stato quello il momento.

È diventato muto... Ragionai.

Così mi alzai e aprii l'armadio. Trovai subito la felpa con cui ero arrivata a Ingr. Ricordai che, dopo averla lavata, era diventata poco più di un posto dove nascondere gli oggetti. La mia felpa preferita, ma chiusa nell'armadio senza essere indossata mai. Avrei solo rischiato di rovinarla durante qualche allenamento.

Tirai fuori i miei auricolari dalla tasca. Non avrebbe potuto essere più strano riprenderli in mano.

«Se vuoi possiamo provare con questi.» proposi.

Quella sera non feci altro che ripensare a ciò che facevo prima del bosco. Prima di lui. Prima del branco. Ma nulla mi sembrò più normale.
Notai che perfino le canzoni che ascoltammo fossero diventate strane. Diverse. Nostalgiche.

Tenemmo un auricolare ciascuno e scoprimmo di avere gusti musicali opposti, quindi, ci limitammo alle canzoni più famose. Quelle che nessuno dei due poteva non conoscere. Quelle imparate per sbaglio dopo averle sentite centinaia di volte in radio. Centinaia di volte... Eppure in quel momento mi sentii come se non le avessi mai ascoltate prima.

La cosa più assurda di quella serata però fui io, che mi trattienni con il solo scopo di non cantarle. Fui consapevole di averlo fatto davanti a chiunque. Ma l'idea che ci fosse solo lui ad ascoltarmi rese tutto più difficile.

«Avanti!» disse spingendomi con una spalla e lasciando che mi pietrificassi per un attimo.

«Non è nelle mie corde...» sorrisi.

«Ne troviamo un'altra.» insistette.

Scossi la testa nascondendo una risata.

«Allora?» chiese.

Ci pensai per un secondo.

«Solo se mi fai vedere un gioco.»

Stavolta si bloccò lui.

«Ahh...» disse con una smorfia. Come se si fosse fatto male.

«Sono fuori forma. Magari un'altra volta.» Provò a cavarsela.

Scossi la testa e infilai timidamente una mano nella tasca della sua giacca.

Eccolo! Pensai sentendo il bordo delle carte in disordine con le dita.

Cercai di radunarle per poi prenderle e darle al mago.

Lui abbassò la testa ridendo.

«Va bene. Le hai prese tutte?» chiese sapendo che il mazzo dovesse essersi aperto nella sua tasca.

«Penso di sì...»

Così iniziò il gioco fidandosi e non controllando.

«Perfetto, pensa una carta.»

Una carta... ok, il 2 di quadri.

«Fatto.» risposi.

«Bene, ora scorri nel mazzo fin quando non la trovi e non farmela vedere.» Ordinò.

Iniziai a scorrere le carte aspettando di vedere la mia. E, nel mentre, lui iniziò a parlare.

«Ti ricordi quando eravamo nella buca? Quando hai detto che non volevi che nessun altro toccasse le tue cose?» chiese.

Quella domanda bastò perché mi distraessi da ciò che stavo facendo.

«La discussione con Raff...» dissi facendogli capire che me ne ricordassi.

«Già. Ma sai... Non pensavo che arrivassi a questo punto!» rise.

E improvvisamente non ebbi più la minima idea di cosa stesse dicendo.
Lo guardai interrogativa.

«La tua carta non l'hai toccata nemmeno tu. Non manca qualcosa nel mazzo?» Tenne quel sorrisetto dall'aria arrogante.

Mi resi conto di essere quasi alla fine delle carte senza aver ancora visto la mia.
Quindi aprii il mazzo per controllare rapidamente le ultime. Già...

Sorrisi alzando lo sguardo su di lui.

«Dov'è?» domandai.

Lui alzò le mani volendo dirmi di non aver fatto nulla. Chi avrebbe potuto credergli? Aveva il modo di giustificarsi di un baro preso alla sprovvista.

«Non guardarmi così. Io l'ho chiesto se eri sicura di averle prese tutte.» Tenne le sopracciglia alzate presentandomi la sua faccia più innocente. Si sforzò perfino di sembrare sorpreso ma fu impossibile non vedere il sorriso nascosto in quegli occhi scuri e profondi.

Infilai nuovamente la mano nella sua tasca e ci trovai una sola carta.
Tirandola fuori non potei fare a meno di sorridere.

«Il 2 di quadri?» chiese quasi ridendo.

La feci vedere anche a lui.

«Il 2 di quadri.» Confermai concedendomi di domandarmi almeno come la conoscesse.

«Il 2 di quadri...» ripetè prima di rubarmi un bacio.

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