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Capitolo 38

«No. Loro sanno quel che fanno.» disse.

Guardai il braccio su cui ricordai di aver avuto la bruciatura. Avendo tolto la benda di quella ferita rimase solo la lontana traccia ma ripensai alla tizia venuta a lasciarmi il pranzo. E soprattutto a come non gliene fosse importato niente di vedere a cosa fossero servite le bende che avevamo chiesto.

Già... Loro lo sanno...

«Andate a casa ora.» Aggiunse un beta.

E, anche non volendo, così facemmo. Così, quando arrivammo, Liam rimase lì con noi per provare a far compagnia a sua cugina. Lei insistette per star da sola e, anche avendo provato a convincerla a restare, sgattaiolò in camera sua non appena io e suo cugino fummo presi da uno dei nostri soliti stupidi discorsi.

«Da come lo dici tu sembrano due bagni. Guarda che ce n'è solo uno in comune tra le due camere, non è colpa mia se voi lo avete lontano.»

«E io che ho detto?» chiese.

«Non ne ho idea... la grammatica serve, sai?» risposi.

Sembrò assurdo parlare di roba simile in un momento come quello ma aiutò a non pensare ai problemi veri.
Tipo Raff in infermeria.
Tipo la guerra di cui ancora non si poteva sapere nulla.

Il dramma fu il dopo. Infatti, dopo quell'istante di spensieratezza, calò il silenzio. E, dopo di esso, fu lui a parlare per primo mentre io cercai di evitare il suo sguardo concentrandomi su altro.

«Te la sei presa per quello che ho detto?» chiese.

Bambina... Ricordai. E in quel momento l'unica cosa che volli fare fu mentirgli. Dirgli di no e lavarmene le mani. Ma, in fondo, ora era tutto a posto... Perché avrei dovuto?

«All'inizio... Solo un po'. In fondo un po' è vero, forse un po' lo sono.» confessai pensando che se l'avessi considerata una cosa grave da subito non avrei taciuto prima di andar via quella mattina.

Lui sorrise.

«Questo però non vuol dire che potevi dirlo.» Precisai.

E lì abbassò la testa come se per una volta fosse in imbarazzo lui.

«Scusa.» sputò.

Quell'unica parola mi sorprese eppure non me la sentii di accettare quelle scuse. Non potei non pensare a ciò che era successo quella sera.

"Sto bene" mi risuonò in testa la voce di Raff. Come poté essere possibile che gli avessi creduto?
Quanto ero stata ingenua? Quanto ero stato bambina? Certo molto più di "un po'".

Mi alzai dal divano per andare verso camera mia. L'idea era stata di lasciarlo lì. Avrebbe capito, come sempre; mi avrebbe semplicente lasciata sola. Raggiunta la porta però esitai. Che volessi davvero quello?

Stare da sola... ricordai di averlo sempre preferito. Ma allora perché in quel momento sembrò diverso? Che fossi io a essere diversa? Che non fossi più la tizia strana e solitaria arrivata nel bosco durante la luna piena? Quella lasciata in disparte un po' da tutti. Quella in grado di trovare un mondo nuovo solo nella musica. Che stessi diventando altro?

Mi fermai con la maniglia già in mano. Poi la lasciai, girandomi verso di lui. Fu una delle rare volte in cui non provai a evitare quei suoi dannati occhi.

La tensione in quel momento avrebbe potuto tagliarsi con un coltello.
Tutto ciò sarebbe potuto finire benissimo in un litigio e ne fummo a conoscenza entrambi. Lui, però, non fece altro che raggiungermi sulla porta ancora chiusa.

Fece per avvicinarsi ma non potei fare a meno di respingerlo guardando la sua maglia ancora sporca di sangue. Anche se seppi, fin da subito, che fosse solo un pretesto.

Avrebbe potuto essere anche solo l'abitudine di provare a scappare da quelle sensazioni. Ma stavolta il problema era quella sua abitudine di spingermi contro qualcosa ogni volta che aveva bisogno di tenermi vicina.

Riuscii a capire che fosse il suo modo di non farmi scappare. Di trattenermi senza dovermi toccare. Ma non riuscii comunque a farmelo andar bene.

Non avrei saputo neanche cosa dirgli se me l'avesse mai chiesto. Tecnicamente non fu vicino neanche allo sfiorarmi, ma sentii ugualmente il ricordo di quelle bruciature. Come se la poca distanza tra di noi, si fosse già convertita nei secondi mancanti perché sentissi dolore: cosa che, ovviamente, non sarebbe successa mai.

Mi premetti un po' di più contro il legno, come se servisse ad allontanarmi. E lui invece "risolse" il problema togliendosi la maglia.

Sentii guance e orecchie andare a fuoco ma notai anche qualcosa sulla sua pelle che mi strappò quasi del tutto da quella situazione.

Cicatrici?

Fece nuovamente per avvicinarsi cercando le mie labbra, ma ci fu qualcosa che non andò. Avrei voluto chiedergli fin troppe cose. Come se le fosse procurate, ad esempio.

Notai non fossero poi troppo grandi, ma il solo fatto che ci fossero fu strano. Abbassai la testa.

«Cosa sono quelle?» domandai anche un po' stupidamente.

Lui sospirò, come se avesse sperato fino all'ultimo che io non le notassi.

«Guarite... Da molto tempo.» disse cercando di convincermi ad alzare lo sguardo.

«Questo lo vedo ma... Come?» chiesi ancora.

«È meno grave di quello che pensi.» Mi prese il mento cercando di farsi guardare in faccia.

«Liam... come?» Insistetti.

Sospirò ancora, avvicinandosi al mio collo convinto che bastasse quello a distrarmi. Mi premetti ancora un po' contro la porta, non riuscendo comunque a impedirgli completamente di arrivarci.

«Come?» ripetei seppur un po' più timidamente.

Finalmente rispose.

«Mio padre. Lui era un alcolista.» Rispose freddo ma senza allontanarsi.

Un brivido mi attraversò e cercai di non darlo a vedere. Avrei solo voluto che parlasse un po' più lontano dalla mia pelle.

Mi tornò in mente la faccia che aveva fatto quando, la prima notte, Lydia aveva accennato al suo patrigno.

Al modo in cui si era chiuso in sé stesso dopo che, nel bosco, avevo quasi toccato quello che aveva detto essere solo un graffio sulla sua schiena.

Ricordai di non aver fatto domande, ma pensai che forse il problema non fosse mai stato lo zio di Lydia, né le scale da cui disse di essere caduto. E che forse quella faccia fosse dovuta all'odio provato verso di lui.

Eppure pensai anche di non poterlo sapere. Di non dovermi impicciare né fare ipotesi. Allontanai quei pensieri capendo che forse certe cose avrebbe dovuto dirmele lui. Che sarebbe stato troppo facile che mi sbagliassi.

«Perché non me l'hai...» iniziai prima che m'interrompesse.

«Perché quando la gente scopre queste cose ti vede come qualcuno di problematico. Ti offre il suo aiuto come se ne avessi un bisogno disperato. Non capisce che magari stai bene. Che magari ti è solo mancato un po'... Che dopo si cresce. Anche tu vuoi aiutarmi?» rise amaro sull'ultima domanda.

Non seppi come reagire o cosa rispondere. Mi limitai a restare in silenzio mentre lui si avvicinò ancora un po' di più al mio orecchio. Troppo vicino. Avrei preferito qualunque altro modo di parlarne, ma questo lui dovette saperlo bene.

Quando riuscii a sentire il suo respiro solleticarmi la punta dell'orecchio (ormai intenta a bruciare perfino più delle guance) finalmente parlò.

«Allora...» si fermò come se non fosse sicuro di poter continuare.

Poi riprese.

«...Allora togliti qualcosa.» Sussurò prendendo con due dita l'orlo della mia maglietta.

Rabbrividii, e finii per volerlo ammazzare nel momento stesso in cui sentii il dorso della sua mano entrare in leggero contatto con la mia pelle.
Lo spinsi via di forza.

«Non puoi restare serio almeno per una volta?» chiesi quasi urlandogli contro.

«Dipende. Per fare cosa?» sorrise.

Sentii ancora le guance bruciare. Lui dovette accorgersene, ma non smise di sorridermi.
Mi affrettai a nascondere il mezzo sorrisetto che sentii affiorare sulle mie stesse labbra nonostante fosse qualcosa di dettato più dal nervosismo che da altro.

Lasciammo passare alcune ore, poi decidemmo di prendere Lydia e andare finalmente a controllare cosa fosse successo a Raff.

So perfettamente che questa non è l'ora migliore per pubblicare il capitolo ma... eccolo😅 (Il prossimo sarà puntuale, giuro...🤞🏻)

(Mi trovate su instagram con diversi meme sulla storia: @kuma272_wattpad)

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