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Capitolo 30

La zip. Per un secondo pensai di essere finita in qualche noioso film. Uno di quelli triti e ritriti, stracolmi di cliché. Lasciai perdere.
Fossi stata meglio avrei sicuramente tentato di vedermela da sola ma... non mi andò neanche di provarci. Riuscii solo a continuare ad ascoltare il sangue pulsarmi odioso fin nel cervello.

Seppur riluttante mi voltai, abbracciando la morbida ed enorme t-shirt.

Scacciai il più in fretta possibile mio fratello dalla testa. Non avevo più preso il telefono. Non ci avevo più pensato. Non ne avevo neanche più parlato. E, fino a quel punto, tutto era andato bene. Non sarei crollata. No. Non l'avrei fatto. Solo a patto di non pensarci però. O perlomeno non in quel momento.

Lo sentii avvicinarsi cautamente. Cosa pensava? Che potessi davvero spezzargli entrambe le braccia e mettermi a cercare la chiave nelle sue tasche?

Prese la linguetta della zip tra le dita ma restò immobile. Era strano, sembrava imbarazzato... dalla zip? No. Era impossibile, il problema avrebbe potuto essere qualunque cosa tranne quella. Io però stavo troppo male per indagare.

«Sei troppo tranquilla.» Constatò poi come se potessi non essermene resa conto. E improvvisamente non m'importò più nulla di poter sentire quanto fosse a disagio. Volli solo uscire: stargli lontano... ma allo stesso tempo anche saltargli addosso a mo' di iena incazzata nera più che di lupo.

Ciò non tolse, però, che fossi tesa, contratta, e tremante. Chiunque altro avrebbe pensato solo che fossi sull'orlo di una crisi di nervi. Ma lui no. Per lui, così come per me, il punto fu un altro: il battito. Il fottuto battito.

Be', scusa allora. Pensai di rispondergli. E magari, in una situazione diversa avrei optato per mandarlo a quel paese, ma mi limitai a star zitta.

Lo sentii decisamente troppo vicino, e lui dovette saperlo fin troppo bene. Probabilmente proprio per questo fece scivolare la cerniera con lentezza snervante. Fino a farmi rabbrividire.

Non appena mi lasciò, scappai lontano da lui. Ormai, da un'intera settimana andava avanti così: lui si avvicinava troppo, io fuggivo. Semplice e ripetitivo. La situazione in cui ci trovammo non poté cambiare niente.

Andai in camera, consapevole di avere lui al seguito.

Poi scivolai dietro la porta del bagno, senza nemmeno aprirla bene. Mi sentii come se stessi per siucidarmi nel momento in cui dovetti richiuderla.

L'acqua fresca della doccia mi aiutò a svegliarmi un po' e così iniziai a pensare a cosa sarebbe successo dopo essere entrata nel branco.
Avrebbero smesso di guardarci come alieni... forse.
Non sarei più stata un'alfa (non che mi fossi mai considerata tale).
Non...

Aspetta un attimo... Pensai.

Non sarei più stata un'alfa: che motivo avrei avuto per continuare ad allontanare Liam? Lui era molto più esperto di me riguardo le relazioni. Io invece nemmeno ne avevo mai cercata una. Sarebbe stato un disastro. L'avrei perso.

Ma poi in quale altro modo sarebbe potuta finire? C'era forse un'alternativa? Un'alternativa che non comprendesse dover smettere di evitarlo magari? Perché doveva essere tutto tanto ingarbugliato?

Pensai ancora una volta al limbo in cui ci trovavamo. In bilico. Un equilibrio perfetto tra il permetterci di stare insieme e l'allontanarci definitivamente.
E a me andava bene. Anzi, piaceva proprio. Sapere di poter contare su di lui senza però dover combattere con il lasciarmi avvicinare: era perfetto. Perché mai avrei dovuto rinunciarci?

Mi decisi a lavar via il resto del trucco che ancora sentii di avere in faccia. Ma quasi mi spaventai avvicinandomi al lavandino. Mi ritrovai a guardare due piccoli soli dorati che mi fissarono attraverso lo specchio. Era davvero così che diventavano i miei occhi? Chi l'avrebbe mai detto. Eppure non fui sicura che mi piacessero.

Avrei preferito di gran lunga un colore più tenue. Tipo quelli di Liam. Quel color ambra pallido e desaturato era decisamente più carino... E sicuramente meno spaventoso.

Mi avvicinai allo specchio come se guardarli da vicino potesse renderli un po' più naturali.

Quel colore svanì dopo poco. Non seppi perché. Dopo però mi rimase quindi solo una cosa da fare: uscire da quel bagno. E se solo avessi potuto farlo anche da quella casa...

La porta... Pensai con una rassegnazione che sembro riempirmi l'anima.

Ci sarebbero state un milione di cose da fare pur di non pensare a cosa sarebbe successo, eppure in quel momento avrei voluto fare solo quelle che mi avrebbero costretta a uscire.

Sistemai meglio i capelli nella treccia, poi infilai solo la t-shirt. Niente intimo. Non avrei strappato neanche uno solo dei miei vestiti senza prima sapere cosa diavolo fosse disponibile a Ingr.

Ero pronta. Eppure rimasi ferma davanti alla porta prima di uscire. Guardai le gambe scoperte più o meno allo stesso modo che con il vestito, ma questa non era come quello. Non era fatta per farmi sembrare elegante e perfetta. E non indossavo calze. Sarei davvero uscita come se mi fossi svegliata in quel preciso istante?

E, ancora una volta, mi ricordai di non avere la ben che minima scelta.

Mi risedetti sul ciglio del divano, a guardare quella dannatissima porta. Il sollievo della doccia svanì dopo troppo pochi secondi e così, ancora, sentii sempre meno aria arrivare ai poveri polmoni.

Ignorai lo sguardo di Liam su di me e sperai di non dover passare l'intera nottata lì dentro. Mi aspettai avrebbe lasciato stare dopo poco, invece continuò a osservarmi.
Mi sentii come un animale allo zoo. Chiusa in gabbia e studiata da qualcuno troppo curioso.

«Ti fidi di me? Forse ho un'idea.» Cercò di chiedermi.

Lo odiai nel momento stesso in cui aprì bocca. La sua voce nel silenzio di quella stanza suonò come graffi su una lavagna e la tensione già presente avrebbe potuto tagliarsi con un coltello. Neanche me ne resi conto ma gli lanciai un'occhiata di fottuto ghiaccio.

Taci.

L'unica cosa di cui potei essere davvero sicura fu che, per quanto stessi male dentro, la mia faccia non avrebbe fatto capire nulla da fuori. O almeno pregai che fosse davvero così.

Calò il silenzio mentre ancora lui aspettava una mia risposta e, ovviamente, mi girai di nuovo verso la porta, ignorandolo.

«Dico davvero...» Parlò ancora.

Certo... Pensai scocciata. Soltanto dopo realizzai di non aver nemmeno capito ciò che aveva detto.

Cosa mi ha chiesto? Un'idea?

Sospirai.

«Di che tipo?» E piano mi girai a guardarlo.

Lui sorrise. Poi mise la sua mano sulla mia facendomi ripensare al solito dolore. Anche se assente.

Quando io mi spostai lui si avvicinò fino ad arrivare a un palmo dal mio viso. Distolsi subito lo sguardo.

Mi stampò un semplice bacio sulla guancia. Abbastanza piano da lasciare che mettessi faticosamente da parte le ustioni. Mi arrabbiai più di quanto non avessi mai fatto quando con una mano mi prese il viso, portandomi lentamente a guardarlo.

Non l'avrei ammesso. Non l'avrei neanche mai accettato. Eppure credetti di star per piangere.

Dannata porta. Fu l'unico pensiero che riuscii a formulare.

Tenne gli occhi fissi sulle mie labbra mettendomi in imbarazzo e convincendomi sempre di più a scappare una volta ancora da lui.

«Ascolta.» sussurrò poi nuovamente imbarazzato e prendendomi alla sprovvista.

Ci volle un momento perché capissi a cosa si riferisse e, seppur in ritardo, fu più chiaro.
Mi concentrai sul battito notando fosse leggermente più veloce. Rimasi senza parole per qualche secondo.

«È davvero questo il tuo piano? Infastidirmi fino a... a cosa? Fino a trasformi per esasperazione?» Sbottai liberandomi da quella presa delicata e continuando a sentire il cuore martellarmi di rabbia nel petto.

«Riesci a fidarti almeno per un po'?» Mi zittì.

Feci per rispondere, ma effettivamente non mi venne in mente nulla tranne la porta chiusa a chiave.

Merda di una porta.

Mi cadde lo sguardo sulle sue labbra. Seppi che non sarebbe stato come l'ultima volta. Che sarebbe servito solo a innervosirmi. D'altro canto... pensai di essere chiusa lì dentro da troppo. Tentare non mi sarebbe costato nulla, giusto?

Eppure valutai ogni opzione possibile almeno quattro volte prima di provare io stessa ad avvicinarmi. Mi fermai solo all'ultimo minuto messa in soggezione dai suoi occhi quasi chiusi ma ancora abbastanza aperti da guardarmi.

Il primo era stato messo da parte e quasi dimenticato, ma un secondo bacio cos'avrebbe voluto dire? Rinunciare al limbo? E, ancora una volta, ci pensò lui per entrambi.

Rabbrividii quando sentii la sua mano sul fianco.

«Non devi per forza se non...» Provò a parlare.

«No, lo so. È solo... difficile.» Spiegai interrompendolo.

E un'altra volta lo sguardo gli cadde sulle mie labbra. Esitai solo quando aprì leggermente la bocca avvicinandosi.

Maleddittissima porta.

Lui però dovette accorgersene perché la richiuse. Sentii le guance e le punte delle orecchie andare a fuoco quando arrivò alla mia.

Lentamente mi ritrovai sotto di lui, con il cuore a scandire frazioni di secondo che non credetti fossero possibili. Continuai ad afferrare l'orlo della t-shirt e a tirarlo giù desiderando di avere qualcos'altro addosso apparte quella.

Sentii presto pelle, unghie e vene formicolare fino a bruciare come fuoco. Mani e piedi iniziarono a pulsare e ogni odore nella stanza si fece più forte. Compreso il suo.

«Tremi...» Mi fece notare sussurando ancora a un soffio dal mio viso.

Dannatissima porta.

Accennò un leggero sorriso intenerito, forse dal modo in cui stessi reagendo, e dispiaciuto. Sorriso che però scomparve dopo pochissimo. Precisamente quando mi parve di poter sentire le costole allungarsi e piegarsi lentamente. Poi due schiocchi sordi e agghiaccianti provennero da sotto la sua mano. Esattamente dal livido che aveva lasciato la bastonata di Raff.

Mi lasciarono ansimante di dolore, m'intasarono gli occhi di lacrime che mi rifiutai di versare.

In un istante lui si allontanò, convinto di avermi fatto male. Mi tornarono in mente le volte in cui avevo sentito gli altri lamentarsi, dopo essersi trasformati, di non controllare più bene la propria forza. Ma non ebbi la mente abbastanza lucida per soffermarmi davvero su quel pensiero.

Lui sembrò più tranquillo solo quando vide cosa realmente era successo. Be', almeno uno dei due si calmò.

Nella mia testa il panico invece scattò come una trappola per topi. Provai ad abbassare lo sguardo per controllare, ma mi afferò il viso e scosse la testa.
Capii non fosse il caso.

Un'altra serie di strani e dolorosissimi rumori mi spinse a contorcermi come un serpente. E ad allontanarmi bruscamente da lui e dal divanetto. Mi ritrovai sul pavimento, appoggiata a qualcosa con il braccio sinistro. Almeno fin quando non lo sentii rompersi e accavallarsi su se stesso.

Poi le orecchie fischiarono forte, la vista mi si appannò e ci fu il vuoto per un'interminabile frazione di secondo.

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