Capitolo 24
Non c'erano mai stati dubbi sul fatto che Raff fosse più forte di me, ma per qualche motivo, a me ancora ignoto, ero sempre riuscita a cavarmela contro di lui.
Sempre... tranne questa volta. Pensai guardando il punto in cui, ancora una volta, si dimenò il dolore.
È tutta colpa sua. Non potei fare a meno di guardare, anche se solo di sfuggita e con la coda dell'occhio, Liam.
Tutto ciò solo per riflettere un secondo in più sul colore lasciato da quei fiori dal nome impronunciabile. "Farga" doveva voler dire drago. Ma "ghigni" sarebbero stati quelli che i vampiri si sarebbero dipinti sulle faccie ripensando a quel colpo frantuma-ossa.
Con il permesso del nostro "allenatore" andai a sedermi dietro un albero. Se proprio avessi dovuto sollevare la maglietta per controllare il livido, avrei preferito farlo senza nessuno ad assistere.
Quello non era certo il nostro primo giorno nella foresta di Ingr, eppure eravamo osservati come se lo fosse sempre. In modo speciale da uno dei vampiri poi, che sembrò avermi stupidamente scambiata per la sua cena. Fossi stata un po' meno fissata con il tenere un profilo basso, magari sarei andata perfino a litigarci pur di farlo smettere.
Ma no. Non ritenni fosse il caso di dare spettacolo. Non di nuovo almeno.
Quindi, pur di non pensarci preferii controllarmi il costato notando quanto una delle costole sembrasse rotta. Mi rifiutai di crederci. Raff era forte, ma non tanto inesperto da regalarmi una frattura per errore.
Riabbassai velocemente l'orlo della maglia sentendo rumore di passi non troppo lontano dal punto in cui ero.
Guarirà da sola. Mi convinsi.
«Sta dando fastidio anche a te?» Sentii la voce del "colpevole" venire dalle mie spalle.
«Cosa? Farmi guardare da tutti come se fossi improvvisamente diventata un puffo? No, figurati.» Risposi sporgendo le labbra in una buffa smorfia.
Lui rise.
«Già.» Disse lui sedendosi di fianco a me.
Ignorai l'impulso di allontanarmi un po'. Preferii muovermi il meno possibile.
«E così... Non ne hai mai dato nemmeno uno?» chiese sperando evidentemente di aver trovato qualcosa di cui parlare.
«Sì, beh... magari sono un po' meno socievole di quello che sembra.» Scherzai.
Sorrise.
Io socevole... be', era proprio tutta da ridere in effetti.
Per un po' ci fu silenzio. Poi continuò con quella che iniziò a sembrarmi un'interrogazione di matematica: infinita.
«Non sei mai curiosa?» chiese.
«No.» risposi indifferente.
La verità? Ok... Forse almeno una volta o due dovevo esserlo stata, o le mie labbra non sarebbero mai sembrate mirtilli. Ma di certo non lo avrei ammesso. E tanto meno davanti a lui.
Non appena fece ancora per parlare mi alzai. Andai via. O almeno, provai a farlo.
Ma dopo una fitta di dolore dritta e tagliente nelle costole, fui costretta ad appoggiarmi con la schiena all'albero. E, come se tutto ciò ancora non bastasse, ci pensò l'ustione a finirmi, pulsando, come faceva ormai da ore, sotto la fasciatura.
Be', poco male. Sarebbe stata la scusa perfetta per andarmene.
Andar via... certo. Continua a crederci. E con quale forza di volontà? Pensai.
Ero stanca, dolorante, e ogni parte di me mi urlava di restare ferma lì, ad aspettare chissà cosa poi.
«Ti accompagno. Qui dovremmo aver finito quindi lui non dovrebbe farci storie. Sai... avresti potuto farti colpire già dall'inizio, almeno avresti saltato l'allenamento.» disse alzandosi.
A chiunque altro, quella, sarebbe sembrata una presa in giro. Ma ormai avevo imparato a conoscerlo. O meglio, a farmi andar bene il suo modo di parlare.
Fece per prendermi sottobraccio ma mi allontanai.
«Ce la faccio.» Cercai inutilmente di non sembrare antipatica.
«Ok...» Fu strano ma ormai sembrò quasi essersi abituato a essere allontanato.
E in qualche modo, avevo sempre saputo che sarebbe successo. Avevo solo dato per scontato che ci avrebbe messo un po' più di tempo.
Arrivati a casa, lui vide la mia stanza prima di me. Io mi buttai sul divano e mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
«Non dovresti medicarla?» disse indicando la benda sul mio braccio.
«Forse... ma lo faccio dopo.» Cercai di convincerlo a lasciarmi stare.
Lui alzò gli occhi al cielo ed andò a cercare le bende dietro la porta che credetti portasse in camera mia.
«Non è giusto, voi avete le stanze più grandi e un bagno per camera.» disse tornando.
«Ho una finestra?» chiesi senza nemmeno aprire gli occhi.
Immaginai stesse sorridendo prima di rispondermi.
«Sì, ce l'hai.» disse probabilmente avvicinandosi.
«Perfetto.» risposi con nonchalance.
Schizzai in piedi non appena sentii la sua mano sull'interno del polso. Ancora una volta aspettai di sentire le bruciature ribellarsi a quel tocco. Mi ci volle un secondo per far elaborare al mio cervello che quella fitta non ci sarebbe stata. Quella nella costole, invece, ci fu eccome. Deglutii risedendomi.
Solo allora mi resi conto di come mi stesse guardando.
Avrei voluto sprofondare. Non era stato certo un comportamento normale quello.
Mi aspettai cominciasse a vedermi come una qualche sottospecie di pazza isterica. E invece, reagì in un altro modo.
«Fa male?» domandò curioso.
La domanda mi lasciò a bocca aperta.
Faceva male?
«Sì... più o meno... ma allo stesso tempo anche no.» cercai di spiegargli.
«Chiarissimo, direi.» Mi sorrise.
«È come se fossi ancora abituata ad aspettare che brucino. Capisci? Cioè, io lo so che le ferite non ci sono più ma... non so... penso che siano state il mio modo di ricordare, nonostante l'incantesimo.»
«Ma se sapessi già che qualcuno sta per toccarti?» replicò avvicinandosi cauto per prendermi nuovamente il polso.
Esitai, e lui se ne accorse.
«Lasciami fare...» Sussurrò.
No.
Ma invece sì, decisi di non spostarmi.
E nel frattempo mi resi conto di star vedendo di nuovo i colori tenui del nervosismo, anche se non seppi dire da quanto.
Sentii le guance riscaldarsi quando incrociai il suo sguardo.
Lui sciolse delicatamente la fasciatura stando anche abbastanza attento a non toccarmi troppo. Poi lasciò a me.
Mi guardò mentre, per l' ennesima volta, spargevo più pomata che potevo sulla ferita.
Ciò mi porto a reprimere qualunque cosa potesse fargli capire quanto facesse male.
Finito di bendare di nuovo il mio braccio restammo in silenzio (anche se solo per poco).
«Che fine ha fatto Lydia? Dovrebbero aver finito già da un po', giusto?» fece lui.
«Sarà con Raff.» Fu una frase che dissi senza pensare, e di cui mi pentii subito.
«Voglio dire... Scusa, io... Non intendevo in quel senso.» Blaterai.
«Tranquilla, l'ho visto come si comportano. Mi aspettavo solo che Raff me ne parlasse. È mia cugina. Non mi aspetto che lei mi dica di ogni ragazzo che le piace. Abbiamo un buon rapporto ma neanche ci conoscevamo prima di qualche anno fa.»
«Mh...» Mugugnai pensando che non avessero ancora detto nulla neanche a me.
«Però, tornando al discorso di prima... Non hai risposto.» disse aspettandosi che capissi subito: cosa che, ovviamente, non feci.
«Cosa?»
«Se sapessi già che qualcosa sta per toccarti?» chiese ancora.
«Pensi che ti saresti avvicinato tanto se non riuscissi a star ferma nemmeno in quel caso?»
«Già... Ma se ad esempio mi avvicinassi troppo?» Sembrò non essere sicuro di ciò che diceva.
Quella domanda impiegò un po' prima di prendere significato.
Poi però provai a rispondergli.
«Non funziona così. È una sensazione strana quando ti avvicini e so cosa stai per fare... non posso misurarla in base a quanto qualcosa sia vicina. Ma perché ti interessa tanto?» domandai ormai stufa del discorso.
Era dalla prima domanda che fissavo il pavimento imbarazzata.
E quando mi girai a guardarlo notai subito i suoi occhi puntati su altro.
«Perché... Insomma volevo solo...» Disse pensieroso e sorridendo leggermente, avvicinandosi in modo quasi goffo.
Per la prima volta capii al volo cosa avesse in testa e perché fosse tanto attento: aveva paura che scappassi. Assurdo!
Cosa che però avrei voluto fare in effetti. Se solo non ci avessi però già provato quando mi aveva riaccompagnata a casa dei nonni e, quella stessa sera dietro quell'albero.
Forse era arrivato il momento di affrontare la cosa. In fondo scappare a cosa mi aveva portata (oltre che a un paio di labbra blu) fino ad allora?
Affrontarlo...
Già...
Come?
Mi venne spontaneo tenere le braccia conserte e rannicchiarmi un po' di più.
Quanto odiai quella sensazione? Forse avrei potuto abituarmi a sentirlo così vicino ma non a sentirmi così in trappola.
Quasi mi spaventai quando con una mano mi prese piano il viso, impedendomi di indietreggiare. Non mi accorsi di star facendo nulla ma, in qualche modo, dovevo avergli fatto capire che tenermi non era il modo giusto perché la tolse subito.
Pensai di avvicinarmi un po' anch'io ma rimasi ferma, a un passo dal suo viso. Fermamente convinta di star facendo solo un gigantesco disastro. Chiusi gli occhi e... Insomma, ci pensò lui.
Mi allontanai non appena lo sentii provare a schiudere anche se solo di poco le labbra ma, nonostante fossi un pezzo di legno, non fu nemmeno poi tanto male. Anzi, per niente.
Passai il dorso della mano su una guancia, come se cercassi di pulirla dal rosso che fui ormai convinta ci fosse sopra. Spostai lo sguardo. Lo sentii sorridermi e non potei fare a meno di accennargliene uno anch'io.
Quando Lydia aprì la porta facendola cigolare, lui sobbalzò e io mi alzai in piedi senza neanche scendere dal divano e ignorando la fitta che mi fulminò il costato.
«Penso che andrò a sistemare la mia roba.» dissi camminando sui morbidi cuscini per poi scendere e sparire dietro la porta della mia stanza.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro