Capitolo 20
Diedi un'occhiata a Liam pregando che almeno lui avesse una bugia pronta. Poi a Raff sperando in un piano. E infine a Lydia, magari anche solo per un'interruzione che mi desse il tempo di riflettere un secondo. Ma niente. Non successe niente che potesse andare a mio vantaggio.
Avanti... una bugia veloce e credibile... avanti... pensa un attimo. Cercai di incoraggiarmi.
Quando lo sguardo di quel tizio mi fulminò mi domandai perché le idee migliori non venissero a comando.
«Allora?» chiese.
«Non so cos'hai visto ieri ma non era paura. Io non ho la minima idea di quale sia la mia ma so per certo che non riguarda quella visione... visione che ancora non sappiamo perché sia arrivata, tra l'altro.» Tenni lo sguardo basso, irritata.
Una mano sulla spalla destra mi fece sobbalzare e ancora aspettai di sentire il dolore di quelle dannatissime ustioni.
«Scusa...» domandò Liam sorpreso della conseguenza di quel suo gesto.
«Per il momento c'è solo un'ipotesi: erano ricordi scomodi e qualcuno della tua famiglia ha cercato di nasconderteli.»
«Come? E perché sono tornati adesso?» domandai ancora.
Quell'assassino mi guardò con aria severa.
«Stai facendo troppe domande in cambio di una sola risposta.» disse aspro.
«Considerata la tua domanda, la mia risposta le vale tutte.» Risposi decisa.
Ci scambiammo uno sguardo che fece raggelare l'atmosfera nella camera.
«Il portale che ci ha condotti qui ha anche il compito di proteggere le creature della foresta dagli incantesimi fatti a quelle del vostro mondo. Ogni magheggio o fattura a cui siate mai stati esposti è stato bruciato dalle fiamme del bosco.»
Lì fu ovvio che ormai avessi tanto da pensare ma seppi che se davvero l'avessi fatto sarei crollata. Quindi non risposi neanche.
Quando lì dentro fummo rimasti solo noi ragazzi, passammo il tempo cercando di medicare la ferita sul mio braccio.
Lydia insisitette per cercare qualcuno di più esperto tra gli adulti in infermeria ma fu una proposta che scartai ogni volta. Non potevo sapere fin quando avrei sopportato in quel modo il dolore e l'ultima cosa a servirmi era cedere lacrime a degli sconosciuti. Forse solo lei seppe davvero quanto odio provò per me quando, sobbalzando, mi allontanai da un fasciatura quasi finita distruggendola completamente.
Passai il resto della giornata ad odiare l'infinito scorrere, lentissimo, dei minuti. Rifiutai perfino di uscire sperando che gli altri andassero via ma no. Non lo fecero. Si ostinarono solo a restare.
Un'infermiera portò un solo pranzo che però dividemmo in quattro. Nessuno fu contento di ingerire quella lontana imitazione di cibo e lasciammo mezza ciotola di qualunque cosa fosse quella sottospecie di purè alla gatta. Lei non sembrò essere poi così pretenziosa. Stava accettando quel mondo molto più velocemente di quanto non avremmo mai fatto noi.
Provammo un bel po' di volte a farla uscire da quella camera ma senza risultati. Anche lei era decisa a non muoversi di lì. Come me. Io però potei sfoggiare un motivo: il dolore. Lei, invece, sembrò voler ammirare il nuovo ambiente solo ed esclusivamente dalla finestra.
Restammo tranquilli per mezzo pomeriggio. Fin quando un elfo venne a comunicarci l'orario di lezione previsto per il giorno seguente. Un elfo. Credetti di aver visto davvero tutto.
«MA SIAMO SERI‽» chiese Liam lanciandosi di peso sul mio letto.
«Sì. A quanto pare c'è scuola anche qui.» Rise Raff.
Siamo di fronte a un elfo, io ho un braccio cotto al flambé, e loro pensano alla scuola...
Osservai i movimenti eleganti, quasi taglienti, dell'alto e snello esemplare mentre usciva. Dopodiché, fui quella che parlò di meno. Fu raro che partecipassi a una conversazione quel giorno. Non feci altro che ascoltare l'interno del mio avambraccio pulsare contro la fasciatura.
Ripensai, per un secondo, al momento in cui quella fiamma azzurra e malefica si era avvicinata alla mia pelle senza che quel tizio mi lasciasse la minima via di fuga. Fu così che il mondo lentamente cambiò, accompagnato dall'accelerare del mio battito.
Toni freddi e schiariti di blu e giallo sostituirono colori che prima vedevo chiaramente. Poi più qualcosa mi stava vicina e meno riuscii a vederla. E, dopo un po' di tempo passato a osservare qualunque cosa intorno a me, capii che non fosse il mondo a essere cambiato. Bensì i miei occhi.
Non durò molto. In qualche secondo tutto tornò normale. Lasciandomi felice che nessuno si fosse accorto di nulla. Potei continuare a estraniarmi da qualunque conversazione.
Quella sera, una volta sola, passai ore sotto la doccia cercando di vedere ancora una volta quella versione della mia vita. Accesi una candela trovata in un vecchio cassetto e, seppur con esitazione, ci avvicinai pericolosamente il palmo. Il fuoco però non potè farmi paura. Se l'incendio nella mia cameretta era davvero accaduto delle fiamme non doveva essermene importato niente.
Iniziai a riflettere e bastò poco perché i miei pensieri affollassero la stanza rendendola ancora più piccola. Restare in quella dannatissima infermeria non mi sembrò accettabile e, ancora una volta, mi ritrovai a osservare il fumo sul fondo della Gola dei Draghi.
Di tanto in tanto scorsi la figura nera di un unico drago solitario aggirarsi nel buio. All'inizio non ci feci caso ma dopo qualche avvistamento notai che fosse ogni volta più in alto e, di conseguenza, ogni volta più vicino a me. Sul momento restai seduta, aspettando di vederlo un'altra volta soltanto. Poi decisi fosse meglio allontanarmi. E magari ci sarei anche riuscita se solo non fosse stato per l'assurda folata vento che mi gettò in terra non appena mi alzai.
La testa per poco non mi penzolò giù dal precipizio e io riuscii a pena a non caderci dentro. Sentii i polpastrelli lacerarsi cercando di artigliare in ogni modo la terra. Riuscii a respirare solo quando l'aria smise di volermi morta.
Mi rialzai a fatica, guardando l'enorme mole del drago davanti a me. Quanto dovevando essere forti delle ali per scatenare quella tempesta?
Il cuore martellò forte nella mia cassa toracica. Riuscii facilmente a vedere ancora una volta quel mondo fatto di istinti, tenui colori, e voglia di sparire.
Avere la creatura così vicino mi fece notare che non fosse nera, ma anche così non riuscii a capire di quale colore si trattasse. Uno tanto scuro da confondere qualunque tipo di occhio. Tanto da sembrare nero come le piume dei corvi di notte.
Il drago venne avanti facendomi attraversare da un brivido di terrore. L'odore pungente del fumo riempì l'aria quando questo abbassò la testa per studiarmi.
Scappa, porca puttana! Pensai costringendomi a chiudere gli occhi per non incrociare il suo sguardo. Qualcosa però mi tenne inchiodata lì. Ovvero: la consapevolezza che non avesse intenzione di attaccare. Non potei esserne sicura ma ci fu qualcosa nel suo modo di muoversi, nella sua postura. Insomma, in un certo senso seppi quali fossero le sue intenzioni.
Ripensai al serpente trovato da Lydia durante il nostro primo incontro. Pensare di aver avuto ragione quella volta mi rassicurò e così riaprii gli occhi lentamente, guardando verso il basso. Sentii il vento provocato dal suo respiro pizzicarmi la pelle e non ebbi più dubbi. Era vero. In qualche modo i draghi sputavano fuoco.
Alzai la testa senza mai guardarlo dritto negli occhi. Fu lui a cercare il mio sguardo e a sbattere le palpebre con calma. Ricambiai istintivamente il suo gesto. Sembrò tranquillo, quasi incuriosito. Si accucciò schiacciando l'erba sotto di sé e restò lì a guardarmi.
Quella notte capii perché gli occhi cambiassero in base ai battiti. Vedere il mondo in quel modo era meglio di qualunque calmante, faceva sentire sicuri di sé come nient'altro.
Non avere nulla che potesse sfuggirmi. Tenere sotto controllo qualunque cosa si muovesse intorno a me. Poter lasciare all'istinto tutto ciò che il cervello avrebbe solo tentato di spiegare. Quasi mi dispiacque quando, abituandomi alla presenza del rettile, il mio battito tornò regolare facendo così sparire quel mondo di sensazioni uniche.
(Mi trovate su instagram con diversi meme sulla storia: @kuma272_wattpad)
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