Capitolo 2
Mi arrampicai sulla metà non carbonizzata e scelsi un ramo non troppo alto su cui sedermi e dare le spalle alla vecchia casa.
Fui consapevole di non essere la ragazza più atletica del mondo, ma anche di esserlo abbastanza da muovermi con discreta agilità anche a quell'altezza.
Una volta messa comoda, con la testa tornai subito alla casa senza però girarmi mai a guardarla.
Mi chiesi come facesse a essere ancora lì. Dubitai perfino che quel paesino fosse mai almeno sembrato un luogo normale.
O meglio... il posto in sé non avrebbe mai potuto far pensare a niente di davvero strano, solo la sua foresta. Quella avrebbe inquietato chiunque. Forse per via del fuoco che di tanto in tanto si diceva evocasse.
O (a mio parere) di quel qualcuno a cui piaceva così tanto appiccarlo.
Si diceva non bruciasse mai completamente (altrimenti non ci sarebbe mai stato un albero tanto vecchio). Ma se quella casa fosse già stata avvolta dalle fiamme diverse volte...
Be', non dovrebbe nemmeno esserci bisogno di dire che lì non sarebbero dovute vedersi neanche più le sue macerie.
La stradina che comprendeva la casa dei miei nonni era abitata quasi del tutto da gente anziana. Molto anziana.
E, tra quella gente, non c'era mai stata persona ad aver dubitato del fatto che quella foresta, secondo loro, prendesse fuoco ogni qual volta un branco di lupi vi mettesse piede.
In fondo, un tempo quello era stato un paesino composto esclusivamente da contadini e pastori. E (sempre nelle loro teste) prendendo fuoco dava semplicemente conferma che dio volesse proteggerli e proteggere il loro bestiame dai famelici predatori.
E, sempre per loro testimonianza, questa foresta non prendeva fuoco da più di cento anni.
Alle volte, io stessa ricordai di aver chiesto come facevano a esserne così sicuri, e tutti (i miei nonni compresi) avevano sempre risposto dicendo che erano stati i loro genitori a raccontarglielo e ad ammonirli di non restare mai da quelle parti dopo il tramonto.
"La foresta è come il mare. Chiede un'anima al giorno." Avevano ripetuto spesso.
Dopo una mezz'ora passata a rimuginare su tutto ciò che sapevo, o mi avevano detto, di quel posto, spostai la mia attenzione sulla musica proveniente dall'altro lato della boscaglia. E fu forse l'unica cosa normale di quella sera.
Ogni fine settimana la solita band (seppur con un cantante piuttosto opinabile) si piazzava lì con un camioncino. E, accordandosi con lo street fooder più famoso di quelle parti, attirava ragazzi della mia età in abbondanza anche dai paesi vicini.
E nonostante ciò, io non c'ero ancora mai andata.
Ovviamente non lo dicevo in giro. A meno che non stessi parlando con qualcuno con una vita sociale scarsa quanto la mia. Ma il fatto in realtà era anche piuttosto semplice. Ovvero: ai miei genitori non piaceva per niente che i giovani passassero le serate per strada. E, di conseguenza, a pagare per questo sarei sempre stata io.
Non avrebbero mai permesso che uscissi da quelle parti. Non perché non si fidassero di me, ma perchè non si fidassero degli "squinternati" che secondo loro c'erano in giro.
Sì, be'... abbastanza iper-protettivi. E probabilmente, se avessero saputo dove mi trovavo in quel momento, anche "iper-arrabbiati".
A me però, tutto sommato, era sempre andato bene davvero tutto. Tutto purché mi accompagnassero a ogni serata karaoke, compleanno o spettacolo in cui potevo cantare o imparare qualcosa su come farlo meglio.
Anche la mia migliore amica Tabitha (seppur rimasta nel mio paese a più o meno sette chilometri di distanza da lì) non era molto diversa.
Che i suoi odiassero l'idea di lasciarla scorrazzare per quelle strade ricordai mi fosse sembrato quasi normale quando me ne aveva parlato.
Sì! In effetti ci eravamo proprio trovate noi due. L'altra, era reciprocamente sempre stata l'unica persona con cui parlare senza essere giudicata. Né come figlia di papà né come nerd almeno.
Comunque, come seguito logico a quella restrizione, entrambe non eravamo mai state abituate a questo genere di feste, e a entrambe quindi, non piacevano.
A noi erano sempre bastate le serate passate con il solito gruppetto di amici (anche se fossero stati più suoi che miei). Le solite serate passate aspettando il mio turno di cantare. O, alle volte, ascoltando qualcun altro di noi che provava farlo.
Quella notte però, assistere da lontano a quel caos fu diverso.
Più tranquillo.
E sebbene la musica fosse appena più alta di un sussurro, riuscii comunque a capire di che canzone si trattava. E a canticchiarla a bassa voce... Nonché a rabbrividire a ogni stonatura dell'artista.
Cantando, finii per riflettere anche su come potevo essere arrivata lì. Mi ritrovai in possesso di davvero pochissimi ricordi aventi a che fare con il tragitto fatto. Ma conoscendo quel posto, fui certa di sapere come tornare indietro.
Ad interessarmi, quindi, non fu la strada.
Bensì cosa diavolo avrebbe potuto portarmi così lontano.
Forse però finii per essere anche troppo concentrata. Soprattutto considerando quel filo di panico che continuò a insistere nell'avvinghiarsi e stringersi al mio stomaco. E come stupirsene? Ero da sola in un bosco di notte senza saperne neanche il perché. La cosa più strana a quel punto fu il modo in cui ancora tenevo l'ansia sotto controllo. Riuscire a ignorarla non sarebbe mai potuta essere un'impresa da poco.
Eppure, di tanto in tanto, i miei ragionamenti si persero nel testo di qualche canzone particolarmente carina.
E senza rendermene neanche conto, la mia voce non fu più un rauco sussurro, ma prese lo stesso volume di una semplice chiacchierata. Non perché l'avessi alzata io. Ma perché, rispetto ai momenti passati in camera mia, o davanti alla vecchia casa abbandonata, fui decisamente più rilassata.
O almeno potei concedermi di esserlo fin quando non arrivò il più insopportabile dei disturbatori...
D'un tratto sentii una voce maschile e palesemente insicura su cosa dire.
Una voce che, prendendomi di sorpresa, bastò a farmi sobbalzare e perdere l'equilibrio.
«Non sapevo che i passerotti cantassero anche di notte.»
Pur non sapendo se fosse volontario o meno, riuscii comunque a sentire un alone d'arroganza macchiare quel suo modo di parlare. Quella voce non troppo profonda, quasi infantile, eppure perfetta. Allora perché lui sembrava così irritante?
Un secondo e mi ritrovai sulla dura terra. Chinata sul ginocchio sinistro, sbucciato e sanguinante, e su cui avrei avuto intenzione di soffiare dato il modo in cui bruciava... Se solo non fosse stato per la presenza di un pubblico ovviamente.
Si avvicinò a me.
Ma, come mio solito, non alzai lo sguardo neanche un secondo per guardarlo in faccia.
Nell'audizione ho messo tanta di quella sicurezza che direi di potermi permettere di tornare a essere timida almeno fino al prossimo anno. Pensai.
«Tutto bene?» chiese.
«Sì...» dissi in modo involontariamente scorbutico.
Provai ad alzare lo sguardo, ma lo riabbassai quasi subito quando incrociai quei suoi occhi bui e allo stesso tempo trasparenti. Scuri come l'abisso più profondo, eppure tanto cristallini da darti l'impressione di potergli guardare dentro.
Pensai lo facesse di proposito: che avere gli occhi di chi non sa mentire fosse solo un inganno. Forse un pericoloso talento.
«Fossi stata più in alto mi avresti avuta sulla coscienza...» Non mi preoccupai affatto di sembrare troppo acida stavolta.
Lui sorrise.
Lo negai nel momento stesso in cui me ne accorsi, ma il suo sorriso non fu poi così fastidioso.
«Come ti chiami?» chiese.
«Shira. Tu?» Provai un'altra volta a guardarlo.
Odiai sembrare così chiusa.
E stavolta riuscii a tenere il suo sguardo per un po'... abbastanza da notare i suoi capelli.
Nessun assurdo ciuffo a visiera sparato in aria. Strano per un ragazzo di quelle parti. Forse si sarebbe rivelato uno dei pochi a non sentirsi un adone... Forse.
«Liam... Siamo qui per lo stesso motivo, no?»
«Cosa te lo fa pensare?» Risposi in modo sarcastico, ma a lui non sembrò importare.
«Allora... io non ho neanche la minima idea di come ci sono arrivato, e tu... be', tu non hai proprio l'aspetto di qualcuno che aveva programmato di uscire.»
Indicò il modo in cui ricordai di essere vestita.
Mi venne spontaneo cercare di coprirmi un po' meglio con l'orlo dell'enorme t-shirt.
«Sai... c'è anche chi dorme di notte.» enunciai consapevole di aver fatto l'esatto opposto fino a quella stessa sera.
Restò a guardarmi per un momento con quel sorrisetto irritante.
«Davvero? Io invece penso di sentire ancora la batteria rimbombarmi nella testa.» disse portandosi la mano a un orecchio.
«Quella la sento anch'io. Non siamo poi così lontani, puoi tornare indietro.» Sorrisi indicandogli il concerto vicino.
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