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Capitolo 16

L'uomo vestito di bianco tornò dopo poche ore.

«Sono tutti impegnati dopo l'ultima bravata dei vampiri. Pare che stavolta toccherà a me.» disse senza che nessuno capisse a cosa si stesse riferendo.

Si sedette davanti a me e dovetti lottare contro ogni mio istinto per non correre via e mettere almeno quattro metri di distanza tra noi.

E così finisce la mia storia eh? Pensai. Quale altro motivo poteva esserci per avvicinarsi così tanto se non uccidermi?

Mi mise una mano sulla spalla facendomi alzare di scatto. Mi ritrovai in piedi con la schiena inarcata come quella di un gatto isterico, e le braccia leggermente allargate davanti a me come se potessi perdere e spezzare le sue.

«Siediti.» ordinò irritato, quasi deluso.

Avanti... vuoi una fine dignitosa, no? Non puoi permetterti di scappare. Non puoi permetterti di...

E nel mezzo del pensiero mi tornarono in mente le parole che quell'uomo aveva pronunciato la notte in cui era arrivato nel bosco.

"Non vi sarà permesso avere paura."

Mi costrinsi a distendere i muscoli nonostante mi sentissi più sicura nel restare tesa e pronta a scappare. Poi mi risedetti davanti a lui.

«Cos'hai visto?» domandò.

Passai in rassegna le immagini che avevano attaccato la mia mente cercando di ricordarne ogni dettaglio. Poi un dubbio si insinuò tra i miei pensieri.

Sarà sicuro dirglielo?

La risposta fu ovvia. Come poteva essere sicuro dirgli qualcosa? Qualsiasi cosa!?
Non gli avrei rivelato neanche cosa mi piacesse mangiare a colazione. Non sarebbe stato sicuro dirgli proprio nulla.

D'altra parte... era talmente vicino da poter quasi sentire la sua voglia di strapparmi via la gola. Così raccolsi la scarsa sicurezza presente e cercai di parlare nonostante ascoltassero anche gli altri.

«Un uomo. Doveva avere qualcosa contro la mia famiglia... o contro di me. Di notte ha appiccato un incendio nella mia stanza. Sì è assicurato che non potessi muovermi per scappare. Ho solo ricordato le bruciature che mi aveva lasciato ovunque. Insomma...» Esitai nel continuare.

«...Credo mi sia solo tornato in mente il motivo per cui non sopporto che mi si tocchi.» dissi cercando di fargli intuire dove avrei voluto dirgli di infilarsi quella stessa mano con cui mi si era avvicinato.

Il resto dei lupi restò in silenzio. Così come quel tizio che però invece, al contrario degli altri, continuò a fissarmi e a studiare ogni singolo centimetro del mio viso.

«Di cosa hai paura?» chiese un'altra volta.

«La mia non è paura!» Quasi ringhiai. Come se fossi offesa da quel pensiero... e forse un po' lo ero davvero. Ero stata la più forte e obbediente fin dall'inizio pur di non farci uccidere tutti e che ora si cercasse ossessivamente la mia paura era quasi un insulto.

«Ha ragione.» Intervenì Lydia.

«Potrebbe essere stress post-traumatico.» Continuò Raff.

«Già.» Cercò di assecondarli Liam.

Fu strano vederli tanto impegnati nel tirar fuori sciocchezze solo per cercare di salvarmi la pelle. Che gli avessi fatto tenerezza con il mio metro e cinquantasette di altezza e il mio spezzone autobiografico strappalacrime?

«Oh, ma io lo so cos'è. È paura, te lo leggo in faccia. Ma di cosa? Fuoco?» Insistette lui.

Aprii la bocca avendo già in mente una risposta, poi mi fermai. Era troppo furbo perché potessi mentirgli ma forse c'era qualche possibilità di ingannarlo.

Fuoco eh? Pensai quasi deridendolo.

Abbassai lo sguardo come se volessi nascondere la mancanza di un modo per negare la sua affermazione. Fargli credere di aver ragione mi avrebbe garantito più tempo per ideare un piano e continuare a depistarlo. Non avrei mai lasciato che giocasse con me come aveva già fatto con Liam.

E, proprio lui, fece per controbattere. L'uomo però non gli diede il tempo di farlo, facendolo bloccare con la bocca aperta e le parole ferme in gola.

«Risparmiate le scuse per quando anche i suoi occhi avranno cominciato a cambiare. È a quel punto che ce ne sarà bisogno.»

«Sì, così stai fresco.» Cercai di sembrare fredda e scontrosa.

Tutti si voltarono a guardarmi.

«Non ero forse io ad avere i "sensi da lupo" più deboli?» domandai.

Un sorisetto affiorò sulle labbra di Liam. Che avesse già capito cosa cercavo di fare?

Gli altri restarono fino a che non fece buio. Poi l'uomo portò tutti con sè, avvisandomi che il mattino dopo sarebbe tornato a prendermi all'alba.
Non potei fare a meno di rabbrividire immaginando Liam ripercorrere tutto il tragitto una seconda volta.

Dopo aver dato un'occhiata al mio letto, dall'aspetto anche piuttosto comodo, decisi che mi sarei lavata il mattino seguente. L'alba era già troppo presto. Quindi che differenza avrebbe fatto un ulteriore mezz'ora di sonno in meno?

Aprii lo zaino e tirai fuori la t-shirt con i pantaloncini. Una volta indossati crollai tra le coperte, fermamente convinta di riuscire a dormire. E invece rimasi solo immobile, a guardare il soffitto.

Mi girai verso la gatta. La guardai osservare qualunque cosa si muovesse fuori dalla finestra.

Forse è ora di darti un nome...

Sobbalzai quando la porta della mia stanza si aprì nel silenzio. Una losca figura strisciò dentro la stanza facendomi mettere subito a sedere. Riuscii quasi a sentire il rumore dei miei nervi tendersi come le corde di un violino.

«Ehy, calma. Nel caso un serial killer venisse a trovarti in piena notte posso assicurarti che non lo farebbe disarmato.»

La luce della luna dalla finestra aperta illuminò l'irritante sorrisetto di Liam. Per quanto potesse prendermi in giro sapevo non lo facesse mai con malizia e, per questo, non riusciva ancora a starmi antipatico.

Si accomodò sul letto con la delicatezza di un elefante zoppo, e senza nemmeno chiedermi il permesso. Poi si chinò in avanti, appoggaindo i gomiti sulle cosce.

«Che ci fai tu qui?» Non potei fare a meno di sorridere.

«Cerco disperatamente qualcosa da mettere nello stomaco. Non è che qualche sexy infermiera ti ha lasciato un vassoio con... non so... magari della pizza?»

Realizzai di essermi dimenticata di cenare.

«No... non hai trovato nessun posto decente qui intorno?» domandai.

«Un paio. Comunque nessuno che fosse aperto. Dubito che da queste parti abbiano l'abitudine di cenare.»

«Hai chiesto in giro? Magari le nascondono come con il ponte per arrivare qui.» Scherzai.

«O come questo posto.» disse lui.

Ricordai di come da terra questa piattaforma sembrasse totalmente vuota. Per un secondo mi chiesi anche che gusto ci trovassero nel rendere invisibili le cose, anche se solo perché domandarsi come facessero mi sembrò stupido. Insomma, si era parlato di streghe e incantesimi che sorreggevano le Sale, quindi non era difficile supporre che usassero qualcosa di simile anche per far sparire gli oggetti.

Per un po' nella camera ci fu silenzio mentre guardavamo pensierosi il pavimento e, nel mio caso, la gatta lisciarsi il pelo.

«Hai già provato a usare il telefono?» chiese.

Quell'unica domanda bastò a farmi cadere dalle nuvole. In effetti, seppur minima, c'era la possibilità di poter ancora comunicare con loro. Mio fratello, la mia famiglia, il nonno.

Presi immediatamente il cellulare dallo zaino, poi esitai.

Avanti, cosa stai aspettando? Mi chiesi. Fu ovvio però che l'unica cosa che mi spingesse ad aspettare fosse l'idea di sbagliarmi.

Guardai Liam per un secondo. Si era voltato, ma non per guardare me. Bensì, l'esito di quell'esperimento che stavo ancora per fare. Gli occhi bassi sulle mie mani sembrarono velati dall'ansia. Nemmeno lui avrebbe mai potuto dire di essere sereno.

«Lo facciamo insieme?» chiesi facendolo reagire come se si stesse svegliando da un sogno.

«Ok.» rispose tirando fuori il suo telefono e iniziando a scrivere un messaggio.

Io feci lo stesso, poi li inviammo nello stesso momento. Mi vennero i brividi vedendo le due spunte comparire poco sotto il messaggio.
Era arrivato a destinazione.

«Liam... qui c'è rete.» dissi incredula.

«Qui non c'è nemmeno un posto in cui mangiare.» rispose lui scontroso.

No, il suo messaggio invece non era arrivato.

«Sarà un problema tuo, guarda.» Gli mostrai le spunte e nel momento in cui allungai il telefono sentii il rumore di un messaggio.

«Ehy.» aveva risposto mio fratello in chat. Strani brividi si fermano sulle mie dita tremanti.

«Ti ricordi ancora di me?» Scrissi fulminea.

Nel frattempo notai anche Liam prendere a scrivere. Un sorriso mi venne spontaneo. Poi il rumore di un altro messaggio mi riportò alla chat.

«Adesso sì. Com'è possibile?»

Fu in quel momento che capii. Nessuno si era più ricordato di Greg perché lui era morto. Nessuno lo aveva più visto o sentito... In qualche modo interagire con le persone doveva interferire con l'incantesimo di quel tizio.

«Lascia stare, non importa.» gli scrissi.

Nell'arco di un secondo fui sorpresa da una sua videochiamata. Rivedere i capelli scuri e spettinati per cui lo avevo sempre preso in giro fu bellissimo. La luce del sole poi fece sembrare i suoi occhi verdi ancora più chiari.

«Tutto bene?» domandò lui.

«Sì. Ma da voi è già mattina? Qui non sono nemmeno le undici.»

«Quindi... quando siete arrivati, lì era pomeriggio?» chiese ragionandoci un po'.

«Sì. C'è voluto un po' per abituarmi alla luce.»

Il suono di un messaggio poi interruppe mio fratello mentre cercava di rispondermi e che...

«Cos'è stato?» domandò.

(Mi trovate su instagram con diversi meme sulla storia: @kuma272_wattpad)

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