Nobody can save me
https://youtu.be/FY9v147BZuE
I'm holding up a light
Chasing out the darkness inside
'Cause nobody can save me...
***
"... e ora diamo la linea a Matt Johnson per le ultime riguardanti lo sport! Buonasera Matt!"
"Sì Gabriel, buonasera a tutti! Iniziamo subito con il football, che ha visto protagonisti..."
L'uomo premette il pulsante e la televisione si spense di colpo, facendo piombare la casa nel silenzio.
Quel giornalista non avrebbe mai saputo che un'altra persona non la stava più ascoltando, ma probabilmente non gli importava neanche. L'unica cosa che importava a Matt Johnson era il risultato delle partite di quella sera.
L'uomo rimase ad osservare se stesso nel riflesso del televisore ancora per qualche istante, poi decise finalmente di alzarsi. Lasciò il salotto e uscì nel corridoio della casa deserta, diretto verso la camera da letto. Era ormai mezzanotte passata, e lui non stava quasi più in piedi.
Forse, per tirarsi un po' su, poteva...
No.
Scacciò quel pensiero dalla testa ed entrò nella camera matrimoniale. Impiegò un attimo a ricordarsi che sua moglie non c'era: giusto, era ancora in vacanza con i suoi figli. Certo, erano partiti già da un paio di giorni per una piccola gita con altri loro amici. Lui era stato costretto a non partire per i troppi impegni di quel periodo.
La celebrità ha un prezzo.
Molto salato, in alcuni casi.
L'uomo si avvicinò al comodino e si fermò a contemplare le fotografie accuratamente infilate nelle cornici da sua moglie. Prese in mano la prima, e sorrise alla vista di tutti i suoi figli che lo salutavano: quella se la ricordava, sua moglie gliela aveva mandata quando lui era lontano, all'estero.
Posò delicatamente la cornice e prese quella più a destra: raffigurava lui e sua moglie che si baciavano appassionatamente. Dio, quanto la amava. Non si ricordava quando era stata scattata, doveva però risalire sicuramente a qualche anno prima, quando portava ancora quel pazzo taglio di capelli.
Ripose anche quella foto e ne prese un'altra: quasi scoppiò a ridere quando la guardò. Lui e il suo gruppo di migliori amici da giovani, in pose a dir poco imbarazzanti. Ripensò sorridendo a tutte le cazzate che avevano combinato in vent'anni. Erano andati lontano, però.
Rimise sul comodino anche quella foto e prese l'ultima, quasi nascosta dietro alle altre, stranamente girata dall'altra parte. L'uomo allungò la mano, ma si bloccò appena un attimo prima di riuscire a prendere la cornice. Si ricordò all'improvviso il motivo per cui quella cornice era girata e non gli sorrideva come le altre.
Rimase immobile, con la mano a mezz'aria, indeciso su cosa fare. Era riuscito a superare quell'avvenimento settimane fa, perché doveva rivangarlo? Sospirò: chi voleva raggirare? Non era mai riuscito ad accettare la sua morte. Aveva provato qualsiasi metodo, qualsiasi terapia, qualsiasi distrazione, ma non era servito a niente. Il suo ricordo era ancora lì, pronto a bussare alla sua porta quando meno se lo sarebbe aspettato.
La mano dell'uomo tremò, iniziando ad avvicinarsi lentamente alla cornice. Arrivato quasi a toccarla, ebbe l'ennesimo ripensamento, che scacciò rapidamente. Con una decisione ritrovata chissà dove, afferrò la cornice e la girò di scatto, preparandosi all'impatto. I suoi occhi stanchi incrociarono quelli giovani e vispi del suo migliore amico, ormai perduto.
L'uomo chiuse gli occhi, tentando inutilmente di ricacciare indietro le lacrime. La fotografia raffigurava lui e il suo migliore amico dopo una serata di bevute: avevano ancora i bicchieri mezzi vuoti in mano, ed entrambi sorridevano alla fotocamera che avrebbe catturato quell'istante e lo avrebbe impresso nella memoria di entrambi.
Quanto tempo era passato? L'uomo si sforzò di ricordare: il suo funerale era stato celebrato in piena primavera, quindi erano già passati circa tre mesi da quando lo aveva abbandonato. I ricordi del tempo passato insieme e di tutte le loro avventure iniziarono a turbinargli in testa, costringendolo a sedersi.
L'uomo si lasciò cadere all'indietro, impattando subito dopo contro il morbido materasso, come aveva fatto già troppe volte in passato: quando aveva litigato con sua moglie per... meglio lasciar stare quell'argomento. Oppure quando sua figlia si era arrabbiata con lui per non averle accordato il permesso di uscire con il suo "fidanzato", di ben tre anni più grande di lei. Quel letto era diventato il luogo dove si ritirava per riflettere e trovare una soluzione ai problemi.
Ma questa volta non ci riusciva. Non intravedeva una minima speranza di superare quella perdita, non di nuovo. Non poteva scappare, ma soprattutto non aveva nessuno con cui parlarne.
Ora, nessuno lo poteva salvare.
Era sicuro che, se avesse acceso lo smartphone, gli sarebbero arrivati istantaneamente decine e decine di messaggi di complimenti, ma non poteva parlare con i loro mittenti di quello che stava accadendo nella sua testa.
Aveva... aveva bisogno di silenzio, di calma. E sapeva esattamente come procurarsela. Presto, non avrebbe sentito più niente. Non avrebbe più sofferto...
Accompagnato dal rumore delle molle del materasso, l'uomo si alzò in piedi, barcollando. Poi, guidato da chissà quale forza di volontà, percorse a ritroso il corridoio fino ad arrivare davanti ad una vecchia porta di legno di mogano. L'uomo la spinse leggermente, rivelando una rampa di scale che sfumava misteriosamente nelle tenebre. La scala della cantina, insomma.
L'uomo premette l'interruttore per accendere la luce, ma la scala rimase comunque avvolta nell'oscurità. Provò a premere l'interruttore altre tre volte, ma niente: non funzionava. Aveva cambiato la lampadina rotta, come gli aveva chiesto sua moglie almeno tre settimane prima? No, certo che no.
Sospirò e ripercorse a ritroso il tragitto verso la camera da letto, ma arrivato a metà strada svoltò a destra ed entrò in cucina: era stata ristrutturata da poco, avevano fatto aggiungere l'ottavo piano di cottura e il frigorifero nuovo, decisamente più capiente di quello vecchio, che faticava a contenere tutti i gelati che i bambini compravano. Aprì un cassetto, in cerca di qualcosa di molto antico ma che non avrebbe mai perso utilità.
Finalmente, nel quarto cassetto, la trovò: una candela già usata un paio di volte ma pronta a prestarsi all'uso un'altra volta. Prendendo un accendino da una mensola, l'uomo si avviò di nuovo verso la porta della cantina, più risoluto di prima: aveva la luce dalla sua parte, ora. Fermo dinanzi all'oscurità, l'uomo prese l'accendino con cui aveva acceso ben altro che candele, molti anni prima, e accese la candela.
Poi spense l'accendino e lo abbandonò sul pavimento, tanto non gli sarebbe più servito. Prima di scendere nelle tenebre si fermò per un attimo a contemplare il bagliore della fiamma scintillare nell'oscurità: essa non temeva l'ignoto, ma anzi si stagliava come porto sicuro per tutti coloro che non avevano il coraggio di proseguire da soli. E lui era, in quel momento, uno di loro.
Con cautela, fece il primo passo: gli scricchiolii del legno ammuffito gli fecero venire i brividi. L'uomo lanciò uno sguardo alla fiamma, che tremolava ma non dava l'impressione di star cedendo. Percorse tutta la scala, non senza temere di incespicare, e sbucò nell'abisso oscuro.
Camminò per un po', guardando sempre dritto davanti a lui. Non credeva ai fantasmi, certo, chi credeva ancora ai fantasmi? Ma guardare sagome misteriose che assomigliavano terribilmente a esseri umani e non trasformarsi in appendini e vecchi mobili appena si avvicinava troppo? No grazie.
Dopo alcuni interminabili minuti, o forse secondi, di cammino, raggiunse finalmente la sua destinazione: una vecchia credenza. Non ricordava bene la sua storia, doveva essere appartenuta a sua nonna o qualcosa del genere, ma questo ora non importava. Appoggiò cautamente la candela al suolo e tirò con forza il terzo cassetto. Rimase lì, per un attimo, a fissarla: poteva sentirla sussurrare: "Ciao Charles! È da un po' che non ci vediamo, eh? Ma ero sicura che saresti tornato! Tu torni sempre..."
Charles allungò la mano, tremante, e finalmente la toccò: il freddo vetro venne a contatto con la punta delle sue dita. Eccola lì, finalmente. Prese la bottiglia e la sollevò, quasi ipnotizzato.
Era liquore. Una bottiglia di liquore. Una dannatissima bottiglia di liquore, la stessa che lo aveva tormentato per tanti anni, che gli aveva quasi rovinato la vita. Non le aveva gettate tutte, una la aveva tenuta, non si ricordava neanche perché.
Ma ora era tornata.
No.
No, lui era tornato.
Riprese la candela e, con la bottiglia in mano, iniziò a tornare verso la scala. Ma non era tranquillo. No, qualcosa non andava. Le ombre si muovevano. Sì, le poteva avvertire: stavano venendo per lui. Affrettò il passo, e la luce della candela iniziò a tremolare sempre di più. Arrivato alla scala stava praticamente correndo. Salì i primi tre gradini, inseguito dal nulla, ma poi accadde: la candela si spense.
Il terrore si impadronì di Charles: lasciò cadere la candela e si precipitò su per le scale, intravedendo la luce del corridoio.
Non lo avrebbero preso.
Non ancora.
Giunto finalmente in cima sbatté la porta e vi si appoggiò contro: ce l'aveva fatta. Si sedette sul pavimento, osservando la bottiglia tra le sue mani: era il momento. SI recò in camera, si sedette sul letto e, delicatamente, svitò il tappo: l'odore inebriante del liquore si propagò nella stanza e nei suoi polmoni.
Esitando, portò la bottiglia alle labbra e chiuse gli occhi.
Sua moglie. Mandò giù un sorso. I suoi figli. Un altro. I suoi migliori amici. Un altro ancora. Tutti gli sforzi che aveva fatto. Di più, sempre di più. Tutte le sue promesse. Non poteva più fermarsi...
Arrivato a metà bottiglia, Charles si fermò: poteva bastare. Aveva trovato il coraggio. L'alcool gli aveva dato la forza di fare quello che aveva procrastinato per mesi.
Doveva ringraziarlo, no?
Baciò la bottiglia, poi barcollando si diresse verso il suo armadio, con la testa che gli girava. Estrasse la cintura che gli avevano regalato per il suo compleanno e la legò allo stipite della porta, formando un cappio.
"Water grey... through the windows... up the stairs..." biascicò, prendendo una sedia dalla cucina. Salì infine sulla sedia, passandosi il cappio attorno al collo.
Molte voci gli turbinavano in testa, dei ricordi:
"Ma tanto a che serve? Sto parlando da sola!"
"Non so se riuscirò ad andare avanti... è tutto così...pesante"
"Rallenta ragazzo, rallenta..."
"Hai imparato la lezione, figliolo?"
Alzò lo sguardo, e li vide: i suoi demoni gli sorridevano, da dietro la porta socchiusa della cantina.
Dietro di loro, lui.
Con le lacrime agli occhi, Chester Charles Bennigton sussurrò: "Sto arrivando, Chris..."
E calciò via la sedia.
La celebrità ha un prezzo.
Molto salato, in alcuni casi.
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