26 - Chris
Leggete lo spazio autrice e come sempre buona lettura :)
Arriva un momento nella vita in cui devi arrenderti, abbassare le barriere e permettere a qualcuno di aiutarti. È questo che mi sono ripetuto io per giorni, prima di afferrare il telefono e chiamare il numero che c'era scritto sul bigliettino lasciatomi da William.
Non che io fossi entusiasta di andare da una fottutissima psicologa, come se fossi un pazzo. Ma forse è l'unica che può aiutare il mio cervello a smetterla di piangersi addosso.
William ha ragione, devo riprendermi. Lo devo fare per me, per mia madre e per i miei amici, ma di certo da solo non posso fare nulla, per questo alla fine ho deciso di chiamare. E dopo il terzo incontro, mi ritrovo di nuovo qui, in questa stanza dalle pareti bianche a rigirare sulla sedia mentre la Dottoressa Hansen è uscita per un'importante telefonata.
Lo studio è piccolo, molto riservato e incute una certa sensazione di tranquillità. Sicuramente è tutto studiato, quegli strizzacervelli sanno come mettere i propri pazienti a proprio agio.
Sulle pareti sono stati esposti tutti i vari diplomi della dottoressa, giusto per farci capire che lei è una che ci sa fare. La finestra sulla parete sinistra è aperta per metà e i raggi di sole filtrano all'interno illuminando parte del pavimento e della cattedra sulla quale ho poggiato i gomiti. In generale è un bell'ambiente se non fosse per quella donna dall'aria un po' svitata che ti costringe e raccontare tutti i fatti tuoi.
<<Eccomi, scusa per l'interruzione>> la dottoressa Hensen spalanca la porta, lasciando entrare una leggera aria fresca dovuta probabilmente al condizionatore acceso nella sala d'aspetto, poi la richiude subito alle sue spalle. Da fuori intravedo un paio di persone che aspettano seduti in modo annoiato sulle sedie.
<<Ti ho portato un caffè>> dice mentre poggia una tazza fumante nel punto esatto dove le mie mani sono congiunte sulla scrivania.
<<Grazie>> faccio un cenno con la testa, prendendola subito tra le mani.
Il colore del caffè innesca in me una strana sensazione, non so bene a cosa io la ricolleghi, ma è come se a un tratto volessi farlo sparire. Così lo bevo tutto in un sorso e riporto la tazza vuota sul piano in legno.
<<Allora, come hai passato questi ultimi giorni?>> la signora Hansen prende a scrivere qualcosa su un taccuino davanti a sé e nel frattempo si prende la briga di farmi domande.
Scuoto le spalle <<Bene>>
In realtà se sapesse che non ho seguito i suoi consigli si arrabbierebbe a morte, ma andiamo, non avevo voglia di uscire e stare con altre persone.
<<Quindi hai seguito i miei consigli?>>
Ecco.
<<Sì>>
La Hensen smette di scrivere e solleva la testa, scrutandomi con gli occhi socchiusi.
<<Tu lo sai che io capisco quando menti Christoffer, vero?>>
La sedia scricchiola, mentre sposto il mio peso da una parte all'altra. Merda.
<<Senti Christoffer, capisco che non sia facile doverti aprire e parlare con me. Ma se sei qui un motivo c'è, no? Quindi se ci aiutiamo a vicenda sarà tutto più veloce. Tu ti sentirai meglio prima e prima potrai smettere di venire da me. Ma se prendiamo due direzioni opposte allora questi incontri non serviranno a niente.>>
La dottoressa mi fissa seria <<Allora, che intenzioni hai?>>
Sbuffo e mi osservo in giro, limitandomi ad osservare quella stanza che ormai conosco a memoria, solo per non sentire gli occhi frustrati della psicologa addosso.
E poi arrivo ad una conclusione: <<Forse non è stata una buona idea essere venuto da lei.>>
Lei poggia i gomiti sulla scrivania, trascinando la sedia girevole in avanti <<Questo non è vero, e lo sai anche tu. Cosa ti ha spinto a rivolgerti a me? Non ne abbiamo mai parlato. O forse è stata una tua idea?>>
Non mi va di parlarne. Ci sono stati solo tre incontri fino ad ora, o forse dovrei dire "ci sono già stati tre incontri" non lo so. Ma ad ogni modo nessuno dei tre sembra aver funzionato. Lei non è riuscita a farmi parlare ed io non ho avuto intenzione di aprire bocca. Lei sa i miei problemi perché ovviamente sulla mia cartella clinica c'è tutto scritto. Ma le sue conoscenze si fermano lì, su alcune parole scritte a computer da qualche segretaria annoiata che si è finta dispiaciuta e ha provato pena nei miei confronti.
<<No, non è stata una mia idea>> alla fine mi lascio andare, afflosciandomi sulla sedia e allungando le gambe sotto alla scrivania.
La dottoressa invece appoggia il mento sulle mani congiunte e accenna un lieve sorriso. Finalmente ha ottenuto una mia risposta devo averla resa la donna più felice del mondo.
<<Allora di chi è stata?>>
Ci penso un po' su. Eva mi ha suggerito di chiamare la psicologa e io l'ho fatto, anche se avrei preferito me lo avesse detto personalmente e non tramite William. Ad ogni modo solo ora mi rendo conto del poter che ha quella ragazza su di me.
<<Una persona>> mormoro, puntando gli occhi sulla tazza vuota che ho lasciato sulla scrivania
<<E questa persona è importante per te?>>
Stringo i braccioli della sedia e sollevo le spalle.
<<Christoffer, è importante questa persona?>> ripete lei usando un tono più calmo. Scandendo ogni parola.
<<Le ho già detto di chiamarmi Chris e non Christoffer>>
Solo mio padre usa il mio nome completo ed io lo odio. Dopo il funerale della mamma lo ho visto solo una volta. È tornato a casa a preparare le valige e se ne è andato da qualche parte, non so dove e non me importa. Finché mi lascia in pace io non mi preoccupo di lui. Non mi ha detto una sola parola, mi ha ignorato totalmente e anche se è stato completamente strano ne sono sollevato.
<<Va bene, Chris. Farò un'eccezione, ma ora torniamo alla mia domanda>> la Hansen sposta con un dito la montatura scura dei suoi occhiali e mi scruta in attesa di una mia risposta
<<Sì, forse lo è ma non ha più importanza>>
<<E come mai?>>
La dottoressa tiene gli occhi fissi su di me, come se avessi commesso un delitto e stesse cercando di leggermi nella mente se sono davvero io il colpevole o meno. Tiene gli occhi stretti e le labbra allineate in una sottile linea.
Piega di poco la testa lateralmente, facendo schizzare alcune ciocche fuori dal suo chignon. Mi ricorda mia madre.
Per alcuni versi il suo portamento e la sua determinazione sono molto simili alla donna che mi ha messo al mondo. Ma lo chignon risveglia in me ricordi di quando ero bambino, di quando mi prendeva in braccio ed io cercavo sempre di scioglierle i capelli. Perché quando portava i capelli sciolti era sempre più bella, sembrava più giovane e spensierata. Libera da tutta la merda che era costretta a subire.
Deglutisco e di nuovo sposto agitato il mio peso sulla sedia. Ad un certo punto è come se avessi degli aghi sotto al culo perché non sono più capace di star fermo.
<<A cosa stai pensando?>>
<<A niente>> rispondo secco e immediato.
La Hansen capisce che forse continuare a farmi domande non la porterà da nessuna parte, seccata apre un fascicolo dal color verdastro con un'enorme etichetta al di sopra che però non riesco a leggere. Lo esamina a bassa voce, senza mai alzare gli occhi da esso. Tutta la sua attenzione si sta probabilmente concentrando sul riassunto della mia vita, di quanto non sono mai stato un bravo ragazzo e di tutta la merda che ho passato in diciotto anni della mia vita.
La Hensen chiude il fascicolo e mi lancia un'occhiata esaminatrice. <<Tu mi ricordi tanto il protagonista di una delle mie opere letterarie preferite>>
Sollevo le sopracciglia e arriccio le labbra in una smorfia disinteressata.
<<Hai mai sentito parlare di "Senilità" di Svevo?>> continua poi.
Scuoto la testa <<No, però ho la sensazione che me la stia per raccontare.>>
Lei sorride facendomi capire che ci ho azzeccato, si toglie gli occhiali poggiandoli accanto al fascicolo, distende le braccia e poi fa scrocchiare il collo.
<<Non starò qua a raccontarti per filo e per segno la storia, voglio solo farti capire cosa hai tu in comune con il protagonista>> si schiarisce la voce <<Sai cos'è un inetto?>>
Scuoto di nuovo la testa.
<<E' una persona incapace di vivere, incapace di cogliere le occasioni che la vita gli offre, perennemente diviso tra la grandezza delle proprie aspirazioni e l'incapacità di prendere in mano la propria vita e realizzarle. Un po' come te, no? Hai deciso di abbandonare la tua vita invece di prenderla in mano, hai deciso di rimanere a piangerti addosso, invece di risollevarti e ritornare in carreggiata. Tu aspiri a vincere la gara, ma allo stesso tempo non fai nulla per portare la vittoria a casa.>>
La Hensen fa un sospiro dolente, come se stesse soffrendo per la mia situazione. Dovrei essere offeso per le sue parole invece sono interessato.
<<E come va a finire alla storia del... mh... come ha detto che si chiama?>> le domando fissandola dritta negli occhi.
<<Dell'inetto. Non importa come finisce questa storia. Importa come finirà la tua di storia e questo finale solo tu puoi deciderlo.>> lascia passare qualche secondo durante i quali me ne rimango zitto. <<Allora, Chris che finale vuoi dare alla tua storia? Positivo o negativo?>> mi chiede aspettandosi una risposta ovvia.
<<Mh, veramente mi sono sempre piaciute le storie dal finale brutto>> la provoco e lei mi fulmina con lo sguardo.
<<Non siamo qui per scherzare>> mi rimprovera.
<<Ok, ok. Ha ragione. Ma se ci pensa non è vero che io non ho fatto nulla per cambiare la mia situazione. Sono venuto da lei, è già un passo avanti no?>>
<<Sì, certo. Se solo collaborassi però. Invece non ti apri, non hai intenzione di parlare e non mi rispondi mai seriamente. Venire ai nostri incontri senza aver nessun tipo di riscontro non significa fare un passo avanti.>>
Per quanto io voglia tirarla per le lunghe la verità è solo una e cioè che lei ha ragione. Mi sono rivolto a lei solo perché pensavo fosse giusto, pensavo che ad un certo punto fosse parte del rituale rivolgersi a qualcuno che ti risolva i tuoi problemi, ma il fatto è che i problemi sono i tuoi e non c'è nessuno in grado di risolverli se non te stesso. Magari qualcuno ti può dare una mano, ma senza la tua volontà e collaborazione non se ne farà un bel niente.
Mi rilasso sulla pelle nera della sedia girevole, le spine sono improvvisamente scomparse lasciando posto alla mia improvvisa consapevolezza.
<<Ha ragione.>> ammetto. Mento alto e spalle dritte.
La dottoressa annuisce <<Sono felice che tu abbia capito>>
<<Possiamo ricominciare?>>
Lei sorride allungando quella linea sottile in una mezza luna. Poi si solleva in piedi e mi tende la mano.
<<Salve io sono la dottoressa Mari Hensen. Lei deve essere il signor Christoffer Schistad>> ripete le stesse parole usate durante il nostro primo incontro, quando ho fatto capolino per la prima volta in questa stanza spaventosamente bianca.
Le stringo la mano, imitando la sua messinscena <<Salve, può chiamarmi solo Chris per favore?>>
<<Certo, Chris. Siediti pure, di cosa vuoi parlarmi?>> mi chiede radiosa. I raggi di sole ora hanno raggiunto il suo viso, illuminandole parte delle labbra. Deve essere fastidioso, ma lei non accenna a voler chiudere la finestra.
<<Sono qui perché... ecco, una persona mi ha dato il suo numero. Non volevo chiamarla, ma mi manca la mia vita e mi mancano i miei amici e io li rivorrei indietro. Speravo lei mi potesse aiutare.>>
<<Sono più che felice di poterti aiutare Chris.>> il suo atteggiamento è cambiato, così come il suo volto è più rilassato. <<C'è qualcosa in particolare da cui vuoi iniziare?>>
Per un attimo mi sembra di essere a scuola durante un'interrogazione e mi viene da sorridere. È tanto che non ci vado e anche se non avrei mai pensato di dirlo, un po' mi manca.
<<Ho allontanato tutte le persone che avevo vicino>> confesso abbassando gli occhi sul pavimento.
<<E perché lo hai fatto?>>
<<Perché non li merito>>
<<Però ti mancano?>>
Da morire.
Annuisco.
<<Perché pensi di non meritarli?>> chiede la dottoressa confusa.
<<Perché nell'ultimo periodo mi sono isolato ed ho evitato tutti. Mi sono comportato da stronzo e loro non lo farebbero mai con me.>>
<<Ma tu li rivuoi nella tua vita?>>
<<Sì>>
<<E allora perché non parli con loro? Sono sicura che capirebbero>>
<<Non posso. Non ci riesco. Ogni volta che penso di chiamarli, di chieder loro scusa è come se nella mia testa si proiettassero una serie di motivi per cui loro non dovrebbero perdonarmi e alla fine ci rinuncio. Sono riuscito a chiamare solo una persona fino ad ora e non so, forse è un po' merito suo>>
La Hensen solleva un sopracciglio <<Merito mio? Pensavo che fino ad ora non avessimo avuto riscontri positivi, però beh... se sei riuscito a chiamare uno di quei tuoi amici allora qualcosa di buono è stato fatto>>
All'improvviso sembra soddisfatta, averle confessato che ho chiamato Eva per merito suo le ha fatto piegare ancora di più il sorriso fino a scoprire i denti bianchi e perfettamente dritti.
<<Ho chiamato la ragazza che mi ha consigliato di venire da lei, le ho detto di aver seguito il suo consiglio>>
<<E come ti sei sentito quando le hai parlato?>>
<<Bene.>>
La dottoressa resta in silenzio a fissarmi. Solo "bene" non le basta, vuole di più.
<<Più leggero, libero, per un attimo mi è sembrato di non avere tutti questi problemi. Mi sono solo seduto su una panchina e ho parlato con lei.>>
La Hensen scrive qualcosa sul foglio bianco davanti a lei e con la testa bassa e la mano impegnata a scrivere mi chiede: <<E' importante per te questa persona?>>
Mi ha già fatto questa domanda, circa un'ora fa. Ma questa volta entrambi facciamo sul serio, non solo lei così le rispondo sinceramente.
<<Sì, credo di sì>>
Lei tira su la testa e mi osserva inarcando un sopracciglio?
<<Credi? Una persona o è importante o non lo è. E sono piuttosto sicura che ognuno di noi sappia con certezza se una persona è importante o meno.>>
<<Beh sì, ehm... lo è. È importante, anche se probabilmente ora mi odia>>
<<Perché mai dovrebbe odiarti?>>
Mi passano nella mente come una serie di scatti fotografici tutti i momenti passati insieme nell'ultimo periodo e poi tutte le volte che l'ho allontanata e poi ripresa e poi allontanata di nuovo.
<<Con lei è stato diverso, non l'ho solo allontanata. Ho approfittato di lei in un momento in cui ero fuori di me e nonostante questo il giorno dopo, il giorno del funerale di mia madre lei è venuta da me, mi ha costretto a farmi la doccia, mi ha preparato i vestiti e mi ha accompagnato in Chiesa e ha passato il pomeriggio con me per non lasciarmi solo. Ma dopo quel giorno ho smesso di risponderle ai messaggi e alle chiamate, l'ho allontanata di nuovo e questa volta mi ha preso in parola.>>
La dottoressa sbuffa col naso e assume una posizione meno professionale, più da mamma direi.
<<Ascolta Chris, sai cosa capisco da questa conversazione? Che tu pensi che tutti per un motivo o per l'altro ti odino. Ma hai mai pensato che non sia così? Odiare è un sentimento grosso e questa ragazza probabilmente è arrabbiata perché l'hai ignorata, ma non ti odia. Anzi sicuramente tiene molto a te e sono piuttosto sicura che se magari tu la richiamassi e le chiedessi scusa, potreste tornare ad avere una relazione.>>
<<Non avevamo una relazione>> la blocco prima che possa proseguire.
<<No, giusto non hai detto questo>>
C'è un momento di silenzio in cui nessuno dei due apre bocca. Io sono troppo concentrato a rimuginare sulle sue parole e lei probabilmente si aspetta qualcosa in più da me, qualcosa che però al momento non sono ancora disposto a darle.
<<Perché non parti col chiederle scusa?>> riposiziona gli occhiali sul naso e poi riprende a parlare << Puoi iniziare con un tuo amico, se non vuoi iniziare da lei>>
Scuoto la testa <<Non riesco a fare nemmeno quello, gliel'ho detto. Quando ho intenzione di chiamarli scatta una sirena nella mia testa che mi avverte di non farlo>>
La psicologa si allunga un po' di più sulla scrivania fino ad avere il bordo di legno premuto al petto, poi con sguardo rammaricato prosegue nella sua analisi.
<<Chris. Io penso che ci sia un problema di fondo a causare questo tuo comportamento. Il senso di colpa per la morte di tua madre ha instaurato nella tua testa il pensiero di non meritare delle persone al tuo fianco. Ma tu non hai nessuna colpa Chris. Ed è su questo che dobbiamo lavorare, perché è questo che ti causa tutti questi problemi>>
La Hensen ha lo sguardo triste, parla a piano e ogni sua parola mi perfora la pelle facendomi sprofondare sempre di più sulla sedia. L'aria si è fatta pesante nella stanza e le orecchie cominciano a fischiare. Le lancette girano e i secondi passano, poi i minuti e infine le ore. Sembra che tutto si muova con estrema lentezza e un passo alla volta sono davanti alla porta di legno bianca.
<<Mi dispiace ma il tempo è terminato. Ci vediamo al prossimo incontro>>
Senza aspettare una risposta sono fuori da lì.
Allora, questo capitolo in teoria doveva essere pubblicato la settimana scorsa, precisamente dopo la clip di Chris. Quindi ero già super mega felice di parlare con voi riguardo alla clip, su quanto Chris ed Eva fossero belli insieme, di quanto Chris fosse innamorato e di quanto fossi sicura che Eva avrebbe accettato di stare con lui e che ci sarebbe stato il lieto fine per noi fan dei Mohnstad.
Ma...
Ovviamente non è andato niente per il verso giusto:
Il capitolo non sono riuscita a pubblicarlo entro la settimana scorsa perchè sono stata male e quindi non ho avuto il tempo di finire di scriverlo.
Il finale di Skam per quanto riguarda Chris ed Eva è stato deludente. Non nego che per il resto è scesa la lacrimuccia, ripensare al discorso per Sana con le immagini dell'intero cast che scorrevano in sottofondo mi fa piangere anche tutt'ora, mentre sto scrivendo.
Tornando ai Chriseva, credo che il loro finale sia stato ridicolo e scritto veramente male. Non so quale idea Julie volesse affermare, forse il fatto che il fuckboy rimarrà sempre un fuckboy? Non so, probabile. Ma se era questo il suo scopo, poteva farlo in maniera diversa secondo il mio parere.
Chris ha parlato per un'intera settimana, mandato messaggi a chiunque, di quanto fosse innamorato di Eva. Poi arriva ad una festa, vede una ragazza che non ha mai visto e sbam si dimentica di Eva e si limona questa a caso. Ma per favore.
Jonas ha trattato di merda Eva quando stavano insieme, vi ricordato durante la prima puntata quando lui prendeva in giro Eva per aver preso un brutto voto? La sottovalutava e la screditava. Ha rovinato il loro fine settimana invitando i suoi amici e ha preferito farsi le canne col fratello di Ingrid piuttosto che incontrare la madre della sua fidanzata.
E alla fine di tutto Eva decide comunque di tornare con lui? Dopo essersi lasciati da due anni e senza aver più avuto nessun tipo di rapporto (se non qualche settimana prima come lei aveva rivelato in un messaggio). Boh, sinceramente mi ha lasciata un po' sconcertata e non mi è piaciuto per niente.
Ad ogni modo ormai è andata così, Skam è finito ed io ho pianto come una bambina leggendo gli hashatag su twitter e i vari ringraziamenti del cast. Sì, sono una persona sensibile.
Comunque, scusatemi per il piccolo sfogo, ma come avete notato questa cosa non mi è proprio andata giù.
Tornando a noi, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e se anche voi la pensate come me riguardo la fine di Skam. Lasciate una stellina se vi va e niente, vi ringrazio da morire perchè in pochissimo tempo siamo aumentati di una cosa tipo settemila visualizzazioni e pensate che io tempo fa volevo abbandonare la storia.
Ad ogni modo un bacione enorme e grazie ancora.
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