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19 - Chris


Lost and insicure
you found me.
-The Fray



Nero. 

Tutto dentro di me è nero. A partire dalla mia testa che non vuole ricordare, che non vuole saperne di riportare alla luce ciò che è successo. Il perchè io mi trovo in questo letto d'ospedale. Nera è anche la sensazione che opprime il mio corpo e la mia anima. Ho questa strana sensazione che lacera ogni parte di me. 

Bianco.

Tutto intorno a me invece è bianco. Puro, pulito, candido. Così chiaro che quasi mi abbaglia. Una netta contrapposizione di quello che sto provando.

Fatico a tenere gli occhi aperti, un po' per la stanchezza, un po' per i farmaci. 

Mi sento debole e dolorante, nonostante il dottore poco fa mi ha spiegato di avermi somministrato degli antidolorifici. 

Una boccia di flebo pende alla mia destra, mentre degli aghi sono infilati nella mia pelle bianca cadaverica. E' forse l'unica cosa che si abbina al colore della stanza. 

La puzza di disinfettante è fastidiosa, così come il bip del macchinario al mio fianco. E' ripetitivo e monotono e dopo un po' le mie orecchie sembrano sul punto di esplodere. 

Cerco il pulsante per chiamare un'infermiera, dirle che quel rumore infernale mi sta facendo venire il mal di testa, anzi voglio dirle che io me ne torno a casa perchè questo non è il mio posto. Voglio una sigaretta, recuperare mia madre e tornare a casa. 

La porta si apre con un lieve cigolio e un'infermiera dai capelli biondi legati in una coda stretta si fa avanti nella stanza. Ha tra le mani un'altra boccia di plastica e si avvicina per cambiare quella ormai vuota al mio fianco. Sto per dirle le mie intenzioni, quando altre due persone entrano. 

Rosso. 

Li riconoscerei tra mille quei capelli rossi. Finalmente un po' di colore fa capolino nella stanza, lasciando per un attimo il bianco e il nero a giacere in un angolino remoto. Nonostante sia stanco e i miei occhi fatichino a rimanere aperti, la presenza di Eva la sento più che mai.

Mia zia si fa da parte per lasciare lo spazio alla rossa di avvicinarsi e posizionarsi ai piedi del mio letto. 

Rimane al di là delle sbarre di ferro che fanno da testiera. Si aggrappa con le dita quasi volesse proteggersi e nascondersi. Non vuole avvicinarsi più di così, lo sento e non si fa problemi a lasciarmelo capire. 

E' spaventata e a giudicare dagli occhi gonfi e rossi deve aver pianto molto. Mi sorge immediatamente il dubbio che quelle lacrime siano state spese per me e così una domanda mi sorge spontanea. 

<<Cos'è successo?>> 

Mia zia sobbalza al lato del mio letto, mentre stringe la mia mano con la sua esile e fredda. Eva, invece spalanca leggermente gli occhi come se rispondere a questa domanda potrebbe devastarmi la vita. 

<<Tesoro come ti senti?>> la voce leggermente rauca della zia Frida è l'unico suono nell'aria insieme al rumore del macchinario che nessuno si è preoccupato di spegnere. 

Sembra che le due donne abbiano paura persino a respirare, ho la sensazione che siano a disagio e che mi stiano nascondendo qualcosa. 

Non conosco molto Frida. Lei abita in un paese lontano da Oslo e durante gli anni della mia vita ci siamo visti poche volte, per lo più a Natale. 

Ma durante l'ultimo periodo ho imparato a conoscere Eva e ho memorizzato ogni suo particolare. Anche quello più impercettibile.

So che quando è nervosa si tocca più volte i capelli, proprio come sta facendo adesso e se è triste il labbro inferiore le trema leggermente. 

<<Zia, cosa sta succedendo?>> chiedo di nuovo, alzando di poco la voce. 

La zia lancia un'occhiata alla rossa che ricambia con un'espressione spaventata e malinconica. 

Frida mi accarezza la fronte, facendo attenzione ai punti che mi hanno cucito sopra al sopracciglio destro. 

Non riesco a ricordare nulla. Il vuoto che c'è nella mia testa mi spaventa da morire, è come se tutto ciò che è successo da una settimana a questa parte fosse magicamente scomparso, lasciandomi un fastidioso e opprimento buio. 

Gli occhi mi si chiudono da soli ed io ci metto tutto me stesso per tenerli puntati dritti davanti a me, su quella ragazza minuta in grado di darmi un po' di sollievo e di farmi vedere per un attimo il mondo a colori. 

La zia prende una sedia, la posiziona affianco al letto e invita Eva a sedersi, lei però rifiuta scuotendo la testa. 

Sembra quasi che preferirebbe essere in qualunque altro posto piuttosto che qui. Forse vedermi in queste condizioni non deve essere una delle esperienze più belle della vita, soprattutto quando non sai cosa aspettarti al di là della porta. Quando non sai cosa la vita ha deciso di riservarti. 

Allungo una mano invitandola ad avvicinarsi e quando si posiziona dalla parte opposta del letto rispetto a mia zia, intreccio le dita con le sue. 

Mia zia sorride mentre ci guarda, ma tra la felicità del momento una lacrima scende dai suoi occhi. Si affretta a nasconderla prima che io possa vederla, ma è troppo tardi. 

<<Zia...>> prendo un lungo respiro. <<So perfettamente che qualcosa non va. O me lo dici tu o mi farò raccontare tutto dai dottori. Sono maggiorenne e ho il diritto di sapere>> 

Mia zia scoppia a piangere, anche se non emette nessun suono i suoi occhi sgorgano di lacrime. Sento Eva stringermi la mano sempre più forte. 

<<Tua madre mi aveva chiamata, mi ha chiesto se potevo ospitarvi per qualche giorno, non mi ha spiegato il motivo. Stavate venendo da me e...>> la voce si spezza mentre posa la testa sulle lenzuola. <<Un camion vi ha tagliato la strada. Non so le dinamiche, ma c'è stato un incidente>> 

Una sensazione terribile mi pervade le viscere e il mio cuore comincia a battere più velocemente. Così come il respiro si fa più accelerato. 

<<Dov'è la mamma?>> chiedo con la voce smorzata dal panico. 

Guardo entrambe e giuro di leggere nei loro occhi una luce di colpa. Non so di cosa si colpevolizzino, quello che so è che non ho bisogno di parole per capire. 

Il mondo mi crolla addosso di colpo, trasformando il mio cuore in polvere e macerie. Mi sento soffocare e non c'è male fisico che tenga in confronto al dolore interno. Quello che ti opprime le viscere, che ti spezza il cuore e ti stritola i polmoni. Ti manca l'aria quando succede, è credo la prima sensazione che si percepisce, quella che porta dietro di sè tutto il resto. 

Non c'è un modo preciso per descrive la sensazione che si prova quando perdi qualcuno. E' un po' come se tutto ciò che fino ad ora hai costruito ti crollasse all'improvviso addosso, lasciadoti schiacciato al di sotto. E' come se poco per volta ti uccidesse con una tale brutalità e allo stesso tempo ti lasciasse la mente lucida così da sentire tutto il dolore. 

Mi tiro su di colpo, lasciando la mano di Eva. Cercano di farmi star calmo, di farmi sdraiare. Ma non c'è nessuno al momento a cui io dia ascolto. 

Mi agito, mi tolgo le coperte da dosso. Non importa se ho una gamba ingessata, voglio uscire da questo letto improvvisamente gelido. Voglio uscire da questa stanza le cui pareti si stanno pian piano chiudendo su di me. 

Litigo con i tubi della flebo, non so, forse li strappo non me ne rendo conto. E poi con gli aghi che mi perforano le vene, cerco di strapparmeli dalla pelle. Non mi importa se in questo momento io mi stia facendo un male terribile. 

Il dolore che ho dentro è centomila volte più intenso. 

La zia cerca di prendermi i polsi, mentre Eva tenta di calmarmi. Entrambe invano. 

Urlo, sputo parole cattive. 

<<Mia madre è morta cazzo, lasciatemi andare>> Sgomito nella speranza di riuscire a scappare da questo inferno. 

<<Chris per favore, calmati>> è la prima volta dopo vari minuti che sento la voce tenue di Eva. Ma al momento non mi importa di niente e di nessuno. 

<<Lasciami andare cazzo Eva. Lasciatemi andare tutti.>> sbraito. 

Entrambe le donne stanno ormai piangendo e forse sarebbe la maniera migliore per sfogare il mio dolore invece che urlare e tentare di andarmene, però non ci riesco. 

Non ci sono lacrime da versare al momento solo piccoli frammenti di memoria che tornano a farsi vivi nella mia testa. 

Mia madre seduta in mezzo alle valige. 

Piange. Vuole andarsene. 

Io che salgo alla guida. 

Lei che di nuovo piange. 

Non ricordo altro, ma mi basta per capire. Stavamo scappando da mio padre. 

Sto ancora lottando con i tubi e gli aghi. E' una lotta persa in partenza perchè quei maledetti affari non ne vogliono sapere di levarsi dalla mia carne. Sto pensando di strapparli, ma delle mani più forti delle mie mi bloccano i polsi e mi tengono fermo, mentre sento un pizzicore nel braccio e pian piano tutto diventa più tranquillo.

Smetto di urlare e il mio corpo si indebolisce di colpo. E' quasi come se la mia anima si staccasse di colpo dal resto del corpo e per un momento io stessi volando. 

Vedo degli occhi scuri pieni di lacrime guardarmi terrorizzata, poi un punto rosso diventare sempre più piccolo e offuscato fino ad arrivare al buio ed addormentarmi. 



Fatemi sapere cosa ne pensate e lasciate una stellina.

Se vi va e avete voglia di farmi un enorme favore passate a leggere "Il numero quattro" un bacione.

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