13 - Chris
Il contrasto tra il freddo e il caldo della stanza di Eva si fa subito sentire, è buio, nella stanza non si vede nulla tranne le nostre ombre proiettate sul muro.
Il profilo di Eva è illuminato da una piccola abatjour.
Tutto il resto è nero, buio, spento.
Eva non ha ancora aperto bocca ed io sto cercando di rimanere in silenzio il più possibile, anche se i graffi sul viso mi fanno sussultare ogni volta che muovo la mascella.
Se in un universo parallelo mi raccontassero che sono scappato nel cuore della notte e sono finito a casa di Eva probabilmente scoppierei a ridere, ma ora non c'è nulla da ridere. Perché la realtà è proprio questa.
<<Cosa ci fai qui?>>
Il suo tono è duro, ma la sua voce rimane comunque delicata. Non la biasimo dopo l'ultima volta dovrebbe prendermi a calci e mandarmi fuori da casa sua.
Me lo meriterei, anzi dovrei essere proprio io a dirle di farlo.
Ma le sue intenzioni non sembrano queste. Si avvicina un po' di più a me, sento i suoi passi alle mie spalle che risuonano nella stanza silenziosa.
Poi poggia la mano su una spalla, sussulto al suo tocco, sono ancora indolenzito e la spalla mi fa male. Mi fa girare, in modo da vedermi interamente.
La luce fioca illumina il mio volto e l'espressione di Eva si fa sempre più spaventata. Mi guarda, cerca di esaminare tutti i lividi, mi afferra il mento e sposta la mia testa da una parte all'altra ed io mi lascio guidare da lei, sconfitto.
Eva si porta una mano sulla bocca, sembra terrorizzata, spaventata, mi guarda con gli occhi lucidi.
<<Cosa ti è successo?>>
Non le voglio rispondere. Ho la sensazione che lo sappia già.
<<Chris per favore puoi rispondermi?>> la voce le trema. È maledettamente vulnerabile in questo momento e sta per piangere.
Tengo gli occhi bassi perché mi sento così in colpa. Per tutto. Per averla baciata. Per aver pensato a lei troppe volte nell'ultimo periodo. Per averla cacciata da casa mia.
Ogni rimpianto, ogni rimorso riaffiora proprio ora, ora che siamo uno di fronte all'altra in una stanza non mia.
<<Chris...>> mi implora di nuovo, ormai la sua voce è annebbiata dal pianto e una lacrima sta scendendo sulla guancia. Rimango immobile a fissarla.
<<Puoi per una volta dirmi cosa sta succedendo? Piombi qui nel cuore della notte facendomi morire di paura, sei pieno di lividi e sangue e non vuoi parlare>>
Inizia ad avanzare verso di me, mi spinge
<<Io non ce la faccio più>>
Un' altra spinta
<<Ho passato le settimane a pensare, a preoccuparmi, quando non ti meritavi nemmeno un briciolo della mia mente>>
Mi dà un leggero pugno sul petto. E poi preme la fronte contro il mio petto.
Non sento nemmeno il dolore fisico. Il dolore è tutto dentro, mi sento uno schifo.
La attiro a me e la stringo, lei rimane immobile, la fronte appoggiata al mio petto e le braccia lungo i fianchi.
Non so nemmeno per quanto rimaniamo così. Siamo legati in una sorta di abbraccio, un abbraccio un po' a modo nostro in cui sto rigettando tutto. Tutto ciò che sento, che provo, dolore, sentimenti. Tutto.
Sento i nostri corpi attaccati, sento i nostri dolori unirsi e combattere per poi stringersi la mano e fare pace.
Sento così tanto che sono spaventato. Terrorizzato.
È lei la prima a sciogliere l'abbraccio, anche se io ci stavo pensando già da un po'.
Essere così vulnerabile era troppo complicato per me, strano, doloroso, ma allo stesso tempo, il suo corpo è come una calamita che mi impediva di allontanarmi.
Tira su dal naso e si passa le dita accanto agli occhi: <<Vado a prendere qualcosa per disinfettarti>>
Poi accende la luce ed esce dalla stanza.
Mi guardo intorno, è la prima volta che metto piede qui e mi sento un estraneo. Sono curioso di scoprire qualcosa in più di Eva, ora che sono nel suo mondo, ora che ho la parte più nascosta di lei a disposizione.
Ma non credo di essere pronto, non so cosa voglio e non so nemmeno se voglio scoprire qualcosa di più di lei. Mi siedo sul suo letto ancora sfatto e aspetto.
Sento i suoi occhi su di me ancora prima di sentire i suoi passi avvicinarsi. Sono fuoco, bruciano e le ferite sembrano aver preso a sanguinare intensamente. Mi porto una mano sul viso, ma non c'è traccia di sangue.
Si siede vicino a me, osservo tutti i suoi movimenti, sono lenti, le mani tremano, sembra avere paura.
Spruzza del disinfettante sul cotone <<Ora brucerà un po'>> sussurra
Sorrido perché non ha nemmeno idea di quanto sia abituato a quel bruciore.
Soffia sul mio viso quando sussulto, mi accarezza quando impreco. Non ce la faccio più.
Le afferro una mano e la blocco <<Va bene così>>
Lei mi guarda sorpresa, non capisce il mio gesto, ma annuisce.
Rimane seduta accanto a me ma si gira, siamo spalla contro spalla.
<<Allora...>> sussurra quasi senza fiato. Le afferro la mano e la porto sulle mie gambe, la stringo.
<<Non ho intenzione di dirti cosa è successo Eva.>> lo dico nel modo più tranquillo che conosco.
Lei si irrigidisce. <<Perché? Non pensi che io meriti una spiegazione? Non è normale che piombi così nel cuore della notte e per lo più ferito>> la sua voce è più dolce, sembra quasi rassegnata.
<<Hai ragione, ma non sono pronto a dartela>>
Stiamo parlando entrambi a voce bassa. Siamo spaventati e tremanti.
Eva non mi risponde, ma sento la sua mano stringersi di più nella mia.
Appoggia la testa alla mia spalla ed io chiudo gli occhi rivivendo ciò che è appena successo nella mia testa.
Urla. Rumore. Ancora urla.
Sono nel mio letto, è tardi, non so bene che ore siano, ma sento dei rumori. Il frastuono è forte e mi sveglia.
Qualcuno ha appena sbattuto una sedia per terra, poi un altro urlo, parolacce, bestemmie, frasi cattive rimbombano al piano inferiore.
Ed io non ci penso più di due secondi, prima di cacciare via le coperte e uscire dal letto. I miei passi sono così veloci che non mi sembra nemmeno di camminare, sembra tutto un incubo.
Scendo le scale due gradini alla volta, sono carico, pronto per affrontare ciò che mi si sta per presentare davanti.
<<Ti prego ragionaci su prima di prendere decisioni affrettate>> la voce sommessa dal pianto di mia madre, arriva alle mie orecchie.
Odio sentirla piangere, odio vederla stare male soprattutto se la ragione delle sue lacrime è l'uomo che mi ha messo al mondo.
Mi avvicino all'ufficio in cui mia madre e mio padre stanno discutendo. La porta è socchiusa e un fascio di luce illumina una parte del corridoio buio.
Rimango accanto al muro, con l'orecchio teso cercando di capire cosa stia succedendo.
<<Non sono affari tuoi. Devi rimanerne fuori.>> sbotta sbattendo la mano sulla scrivania e creando un grande tonfo.
La rabbia nella sua voce fa tremare anche me e mi fa venire voglia di entrare nella stanza e tirargli un pugno, ma per il momento me ne resto qui.
<<Ti prego pensaci, non puoi fare così, è nostro figlio>>
Tira su dal naso, sta piangendo. Mia madre sta piangendo per colpa sua, di nuovo, come al solito.
<<Amalie ti ho detto di starne fuori. Devi starne fuori, stai zitta e rimane fuori da tutto ciò>>
Il rumore della sedia sfrega sul pavimento, poi i passi pesanti di mio padre si avvicinano sempre di più, ma non arrivano alla porta. Si fermano prima.
<<O...ok, scusami. N-non volevo. Ti prego, no>> la voce strozzata di mia madre mi colpisce come un pugno nello stomaco e nello stesso istante in cui lei sta supplicando mio padre, io arrivo al limite. Non posso permettere che lui le faccia del male e spalanco la porta.
Mio padre tiene mia madre per il collo, la sta sovrastando con la sua altezza e lei con il viso sommerso dalle lacrime cerca di ripararsi con le mani.
<<Non toccarla>> urlo con tutta la forza che ho in corpo.
Lui si gira verso di me, la mano ancora alzata. Il sangue negli occhi, il volto contratto dalla rabbia. Farebbe paura se solo non fossi abituato a vederlo in queste condizioni.
La puzza di alcol si fa strada nelle mie narici, dopo che lui ha lasciato mia madre e si è avvicinato a me.
<<Piccolo moccioso. Sei una persona inutile, insignificante>>
Accorcia ancora di più la distanza tra noi. È chiaramente ubriaco, barcolla quando cammina e puzza terribilmente.
Solo ora mi accorgo che a terra c'è un bicchiere in frantumi.
<<Fai schifo, guardati come sei ridotto>> sputo fuori con tutta la rabbia che ho in corpo, con tutto l'odio che provo nei suoi confronti.
Mia madre scoppia a piangere nel momento esatto in cui ha capito come andrà a finire.
Mio padre reagisce alle mie parole. Toglie gli ultimi centimetri che ci dividono, mi afferra per il colletto della maglia e mi sbatte al muro.
<<Non ti permettere di rivolgerti così a me. Sei una nullità. Non hai capito niente dalla vita, sei un perdente dalla nascita... se solo avessi saputo che saresti cresciuto così, nemmeno lo avrei fatto un figlio.>>
Mi dà un altro colpo, spingendomi ancora di più al muro. La testa fa male, sento un dolore lancinante, proprio nel punto in cui ho sbattuto.
Cerco di ripararmi, di spingerlo via. Muovo le mani, agito le gambe, ma lui è più alto e mi sovrasta.
Punto sul suo scarso equilibrio però. È chiaramente ubriaco, e fatica a stare in piedi. Gli tiro un calcio sul polpaccio.
La sua faccia si dipinge di dolore e lascia la presa su di me. Riesco ad allontanarlo il tanto per prendere un po' di fiato, ma lui si avvicina di nuovo.
<<Bastardo. Tu non sei mio figlio>> poi mi sferra un colpo in pieno viso.
I lividi che ormai sembravano essere guariti si riaccendono all'istante. Lo zigomo pulsa, forse c'è del sangue sul mio volto.
D'istinto lancio un'occhiata a mia madre. È in disparte e terrorizzata, sta piangendo. Vorrei andare da lei e abbracciarla, ma lui è ancora qui che cerca di colpirmi.
Mi spinge di nuovo e mi butta a terra.
<<Non voglio più vederti in questa casa. Sparisci, da ora in poi tu qui non ci metterai mai più piede>>
Poi se ne va barcollando, colpendo la porta e facendole fare un rumore assordante.
Mia madre corre in mio aiuto, cerca di rialzarmi, ma non voglio l'aiuto di nessuno.
Voglio andarmene. Ora. Le sposto le mani e mi sollevo in piedi. Poi recupero le scarpe e mi dirigo alla porta.
<<Chris, no ti prego, non andartene>> mia madre urla tra le lacrime. Mi sta implorando di rimanere, ma non ho più nulla da condividere in questa casa.
Non la guardo, vederla in quelle condizioni mi fa troppo male, ma ora ho bisogno di andarmene, almeno per un po'.
Lei si accascia al pavimento <<Chris... sei il mio bambino, per favore>>
Le sue parole sono una lama che mi perfora il cuore. Ma devo andarmene.
Vago per le strade buie, in piena notte. Non so che ore siano, non ho preso nemmeno il cellulare con me.
Inoltre ho il viso insanguinato e la testa mi fa ancora male.
Sono un accumulo di stracci e di lividi. Le ossa mi fanno male e sto iniziando a sentire freddo.
Ma non so dove andare, girare per strada di certo non mi porterà a niente. Probabilmente rischierei di trovarmi domani svenuto su un marciapiede, sempre se non mi trova prima la polizia e mi porta dentro.
Ci sono pochissime macchine per strada e quelle poche che passano, sembrano accelerare proprio nel momento in cui mi vedono. Forse credano io sia un barbone, hanno paura di me.
Tutti dovrebbero avere paura di me, sono un pezzo di merda.
E c'è una persona che più di tutti dovrebbe averne, una persona che nonostante tutto vuole aiutarmi, o forse voleva. Dopo l'ultima volta probabilmente non vorrà più vedermi.
E me lo merito. Io non mi merito il suo aiuto, io non mi merito lei.
Sto cercando di allontanarla da mesi ormai, ma ogni volta mi ritrovo a cercarla.
Doppio aggiornamento, amatemi infinitamente perché non avete idea della fatica che ho fatto.
Vi ringrazio in primis per tutti i commenti positivi che avete lasciato allo scorso capitolo. Spero che anche questo possa piacervi allo stesso modo.
Ovviamente la nottata tra i due non è finita qui, vi spoilero che il prossimo capitolo continuerà proprio da questa notte.
Vi lascio, ovviamente commentate e stellinate.
Passata a leggere "un attimo ancora" e per eventuali aggiornamenti, domande ecc. seguitemi su twitter @perladirosa.
Grazieancora di cuore
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro