#18
·Armin·
Sono preoccupato, decisamente troppo per i miei gusti: non sopporto questo stato d'ansia.
Busso con insistenza alla porta da almeno un quarto d'ora, ma non ho ottenuto risposta. Prendo il cellulare dalla tasca e cerco il contatto avviando la chiamata, e la suoneria del suo smartphone risuona all'interno dell'appartamento.
«Eren, apri per favore! Ti prego!»
È praticamente sparito da una settimana.
Non risponde ai messaggi, figurarsi alle telefonate. Quando ho provato a rintracciarlo allo studio dove lavora e mi hanno detto che ha preso dei giorni di ferie, per poco non sono svenuto: Eren che non si presenta al lavoro - lui che è un vulcano di energie senza fine e non riesce a stare fermo nemmeno con quaranta di febbre - è un evento che preannuncia l'Apocalisse.
A Mikasa ho dovuto dire che è partito per un corso di aggiornamento fortemente voluto dal Sig. Smith e che probabilmente ha dimenticato di avvertirla, perché se avesse saputo della reale situazione sicuramente ora sarebbe qui per buttare giù la porta a suon di calci.
«Eren, per favore, fammi entrare! Parlami, ti supplico! Questo tuo silenzio mi fa paura..!»
Poggio l'orecchio sulla superficie della porta d'ingresso, tentando di captare il minimo fruscio o suono. Il nulla.
E se si fosse sentito male..?
Pensa Armin, pensa..!
Cerco in rubrica il numero dell'unica persona che ora possa davvero aiutare il mio migliore amico.
·Carla·
Ho fatto il tragitto praticamente di corsa.
Il giovane Armin è seduto per terra, accanto la porta dell'appartamento di Eren.
Il suo tono di voce al telefono non prometteva nulla di buono, e l'espressione quasi terrorizzata sul suo viso non mi tranquillizza affatto.
«Cos'è successo?» gli chiedo col fiatone, dovuto alla fretta di arrivare il prima possibile.
«Non lo so, io... So che è in casa, o almeno il suo cellulare lo è. Non si presenta al lavoro da giorni né risponde ad alcuna telefonata.» si passa le mani tra i capelli biondi, frustrato «Lei ha le chiavi di riserva, non è così?»
Frugo nella borsa che pende al mio fianco destro, estraendone il portachiavi a cui è legata la copia che apre la serratura della porta d'ingresso.
Se a mio figlio fosse accaduto qualcosa, ne morirei.
Il meccanismo scatta con un rumore secco e lentamente, con Armin subito alle mie spalle, entro all'interno dell'appartamento.
Nessuna luce è accesa, nonostante sia pomeriggio inoltrato ed il tempo prometta a breve un forte temporale. La porta-finestra è socchiusa, ed il filo d'aria che entra attraverso la fessura muove appena la sottile tenda color crema.
Faccio cenno al ragazzo di non muoversi, ed avanzo a passi lenti verso la zona giorno, dove mi sembra di scorgere sul divano una sagoma scura.
Mi porto le mani alla bocca, alla vista delle condizioni in cui versa mio figlio.
Eren siede in maniera scomposta con le mani abbandonate in grembo; la sua pelle mi sembra pallida rispetto al suo solito colorito, ed il viso è sciupato, stanco.
Fissa il vuoto, le sue bellissime iridi verdi, che da sempre illuminano la mia vita, ora non brillano. Respira in modo regolare, ma i pensieri di Eren sono rivolti altrove. Non ho mai visto mio figlio così spento.
«Eren...» sussurro, infrangendo quel silenzio irreale.
Lui si volta verso di me ed i suoi occhi si inumidiscono nel riconoscermi.
«Mamma...»
«Oh, tesoro mio, cos'è successo?»
Tendo le braccia verso quel piccolo seme che è germogliato nel mio ventre ed è diventato un uomo, e lui vi si getta alla ricerca del calore che solo una madre può dare. Piange, singhiozza, le sue spalle vengono percosse dagli spasmi mentre da libero sfogo alla sua tristezza, e strofina il viso sul mio petto come a volersi nascondere dal mondo, o più semplicemente da una realtà che non riesce ad affrontare.
«Mamma..! Mam-ma..!» balbetta tra un singulto e l'altro ed io lo stringo forte a me, con gli occhi umidi a mia volta.
Mi giro in direzione di Armin, facendogli capire con un lieve cenno del capo di aspettare fuori. Il ragazzo, con un'espressione affranta e sofferente nel vedere l'amico di una vita ridotto in pezzi, esce e richiude la porta alle sue spalle.
«Cucciolo mio, parlami... Cos'è accaduto?» sussurro tra i suoi capelli, baciandogli il capo come ero solita fare quando tornava a casa dopo una brutta lite con gli amichetti di scuola; all'epoca Eren si ritraeva sempre, infastidito, ma ora sento che prova conforto a quel contatto.
Gli concedo il tempo che serve al suo spirito per liberarsi almeno in parte dal dolore che lo affligge.
«Non lo vedrò più, má..! I-io non so cosa fare! Lui, l-lui-»
«Shhh, calmo tesoro, lui chi?»
«L-Levi..! Levi andrà via!»
So che Eren frequenta spesso il cugino di Mikasa, che trascorrono molto tempo insieme e che mio figlio è più felice da quando il giovane uomo è entrato a far parte del suo quotidiano. Più felice ed allo stesso tempo più pensieroso, riflessivo. Spesso, quando ci incontriamo, mi sembra stia meditando su qualcosa, come se si trovasse ad un bivio e non sapesse quale sentiero intraprendere.
Eren è un ragazzo molto maturo per la sua età: io e Grisha gli abbiamo sempre dato libertà di scelta su cosa fosse più giusto per lui; lo abbiamo sempre seguito e a nostro modo consigliato, ma mai abbiamo condizionato le sue decisioni. Ci sono state volte in cui tutto è filato liscio, altre in cui si è trovato in difficoltà, ma è sempre stato autonomo in qualsiasi situazione. In alcuni momenti mi sono chiesta se non lo avessimo "responsabilizzato" un po' troppo: adesso invece vedo mio figlio mostrare i suoi venti anni, con le relative indecisioni ed insicurezze.
«Dove andrà, tesoro?»
Eren si strofina gli occhi arrossati dal lungo pianto e mi guarda con aria colpevole, come se temesse di fare un torto a qualcuno. Poi la sua espressione muta e diventa più decisa, sicura.
«Non posso metterti al corrente dei dettagli, ma Levi si trova a dover scegliere se finire in prigione oppure partire per un'altra missione.»
Cerco di elaborare le informazioni che ho appena ricevuto e trovare loro la giusta collocazione per giustificare il profondo malessere di mio figlio.
«Levi è buono, má, non giudicarlo per ciò che ti ho appena detto.»
«Mi fido del tuo giudizio, Eren: so che sai distinguere giusto e sbagliato. Da come parli della questione, comunque, credo non ci siano altre alternative, dico bene?»
«No...»
Le lacrime, stavolta silenziose, riprendendo a scorrere sul suo viso ed un presentimento inizia a farsi largo nel mio petto.
«Eren, tesoro... Quanto sei legato a Levi?» gli chiedo, carezzandogli il volto per infondergli fiducia. Lui abbassa lo sguardo, timoroso.
«Eren...» gli sollevo il viso, osservando le meravigliose gemme che lo adornano «Ti ho messo al mondo: sei sangue del mio sangue, carne della mia carne. Nulla potrà renderti diverso ai miei occhi, né potrà spingermi ad amarti di meno.»
Mio figlio si lancia su di me, riprendendo a singhiozzare disperatamente. Sorrido, accarezzandogli il capo e la schiena: conosco la sua risposta.
«Cosa prova lui per te..?»
«Mi ama... Ha detto di amarmi, mà..! Io invece non sono riuscito a dirgli niente! Non voglio che parta!» stringe con rabbia il tessuto del cappottino che ho ancora indosso.
«Temo non sia possibile, amore mio.»
«Ma rischia di morire!»
Lo guardo, seria.
«È vero, è così. Ma tu puoi dargli un motivo per tornare.»
Mio figlio mi fissa, tentando di regolarizzare il respiro e mettere un freno al suo pianto.
«Come faccio a capire se è la scelta giusta..?»
«Oh tesoro, non esistono scelte giuste o sbagliate. Nessuno sa cosa ci riserva il destino: l'unica cosa che possiamo fare è prendere quella che non ci darà rimpianti.» mormoro, asciugandogli il viso coi polpastrelli e con dolcezza.
Eren sembra riscuotersi, vedo la sua indole determinata e caparbia riappropriarsi della sua mente.
Si alza dal divano, sul quale si trovava da chissà quanto tempo, e si fionda in bagno dove sento scorrere brevemente l'acqua. Torna qualche minuto dopo in jeans e maglietta, saltellando su un piede mentre infila l'altra Converse a quello ancora scalzo. Afferra poi il cellulare, le chiavi, ed una felpa lasciata sulla sedia lì vicino.
Si china ad abbracciarmi, affondando il viso nell'incavo del mio collo, e sospira.
«Grazie, mà. Ti voglio bene.»
«Anche io, tesoro.» sussurro, consapevole del fatto che la vita ha fatto il suo corso e non saremo più io e suo padre a doverlo affiancare lungo il tragitto «Ora và..!»
Eren mi sorride, un sorriso che finalmente si riflette anche nei suoi occhi verdi come la giada, e si catapulta fuori dell'appartamento come una saetta lasciando la porta d'ingresso spalancata.
Vedo Armin alzarsi da terra, sul pianerottolo, dove ha aspettato fino a quel momento. Entra, e dal suo sguardo capisco che ha udito gran parte della discussione ma ha un'espressione perplessa, stupita.
«Eren e Levi...» mormora, forse più a sé stesso che a me.
«Già.»
«Mikasa darà di matto.» afferma, grattandosi il capo «Però non capisco... Per lui questa non è la prima relazione ma non ha mai reagito in questo modo, in precedenza. Non so, è come se ogni sua reazione, sensazione, fosse amplificata...»
«È più semplice di quello che pensi, Armin.»
«Cioè?» domanda con curiosità.
«Sta vivendo il suo primo amore.»
·Eren·
Ignoro le numerose chiamate perse sul cellulare, sperando che la batteria duri quel che basta per avere le informazioni che mi servono.
Ha iniziato a piovere con violenza, e sono costretto a ripararmi sotto un cornicione per evitare che lo smartphone si bagni e diventi inservibile.
Che sciocco sono stato.
Mi sono fatto travolgere dagli eventi, perdendo di vista l'unica cosa veramente importante: Levi.
Il telefono all'altro capo squilla, e batto ripetutamente il piede a terra, facendo schizzare l'acqua già presente sull'asfalto.
«Pronto?»
«Mi occorre l'indirizzo di Levi, subito.» dico senza troppi preamboli: non ho tempo da perdere, ne ho già sprecato a sufficienza ad autocommiserarmi.
«Te lo invio tramite sms.»
Un bip, e sul display compare il messaggio con le indicazioni che mi occorrono.
«Grazie!» dico sbrigativo e chiudo la conversazione.
Corro veloce, incurante del fatto che stia diluviando e ormai sia zuppo dalla testa ai piedi. Non evito nemmeno le pozzanghere, prendendole in pieno schizzando i passanti che imprecano al mio passaggio, guardandomi come se fossi un pazzo fuggito da chissà dove.
Forse pazzo lo sono davvero, chiunque penserebbe che io abbia qualche rotella fuori posto.
La pioggia non accenna a diminuire, ma l'unica cosa a cui riesco a pensare è arrivare il prima possibile.
Finalmente svolto l'angolo del palazzo ed inizio a percorrere le scale salendo i gradini due a due, mi manca il fiato per lo sforzo.
Mi fermo davanti la sua porta, l'acqua che impregna i miei vestiti ha iniziato ad accumularsi sul pavimento.
Resto lì fermo qualche secondo.
Mi tornano in mente le ultime parole che ci siamo scambiati.
Dimenticami.
Stringo i pugni gettando alle ortiche quel poco di raziocinio che mi resta e, determinato come mai nella mia vita, busso.
Passano alcuni attimi lunghi un'eternità, poi sento lo scatto della serratura.
La porta si apre con una lentezza quasi esasperante ed eccolo lì, l'espressione indecifrabile come sempre.
«Eren...»
Ormai ho deciso. Non ho intenzione di tornare sui miei passi.
«Levi.»
·Levi·
Eren è qui, sulla porta di casa mia.
É completamente bagnato, con questo tempo del cazzo è uscito senza ombrello..?
Mi fissa dritto negli occhi con espressione decisa, quelle iridi verde smeraldo nella penombra del pianerottolo sembrano quasi brillare.
Mi sembra più magro, ha il viso stanco di chi non dorme da giorni, e sento una fitta all'altezza del petto al pensiero di essere la causa del suo malessere.
Forse, quel giorno, mi sono spinto troppo oltre. Magari il suo è stato l'impulso del momento, dettato dal fatto che presto sarò lontano.
Che ci fa qui, allora?
«Come fai a sapere dove abito?»
«Ho chiesto ad Hanji.»
Stupida quattrocchi di merda. Domani scriveranno il suo nome tra i necrologi.
«Immagino tu sia qui per un motivo, moccioso.»
«Infatti.»
«Allora sputa il rospo, non ho tutto il giorno.»
Continua a fissarmi per qualche altro secondo senza aprire bocca. Cristo santo, Eren, parla!
Sono tentato di sbattergli la porta in faccia, ho i nervi tesi all'inverosimile anche se cerco di non darlo a vedere.
E se..?
Una nuova speranza si impossessa della mia mente cercando di farsi strada anche nel mio cuore, ma non posso - non voglio - permettermelo.
«...»
«...»
Deglutisco a fatica, il colletto della camicia sembra si sia ristretto all'improvviso.
Finalmente si decide a rispondermi.
«Ci ho pensato a lungo, Levi: ho pensato a un modo per non perderti. Ho cercato una soluzione - qualunque cosa! - per impedirti di allontanarti da me, ma non l'ho trovata. Perciò sono qui per dirti di partire.»
Lo fisso, senza capire.
«Se vinci, vivi. Se perdi, muori. Se non combatti, non puoi vincere. Combatti e vinci, per me.»
Ora sono certo di aver sgranato gli occhi, e che lui se ne sia accorto.
«Torna da me, Levi: io ti aspetto.»
Non mi sembra vero, forse sto dormendo e questo è un sogno del cazzo.
«... Ne sei sicuro?»
Non risponde, continua a fissarmi. Mi passo frustrato una mano tra i capelli.
«Sai cosa ci attende, vero..?»
«Sì. Non m'importa.»
«Moccioso, pensaci bene. Da qui non si torna indietro.»
«Lo so, ma questa è la mia scelta. La mia scelta senza rimpianti.»
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